By SIR
"Era un gran brava persona. Lo avevo conosciuto quando ero parroco a Mosul, prima di venire qui a Kirkuk". Inizia con il ricordo dell'ultima vittima della mattanza di cristiani in corso a Mosul, Sabah Yacoub Adam, sposato e padre di un bambino, freddato a colpi di pistola il 17 marzo davanti alla sua vetreria nella zona araba della città, l'intervista con mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk. "Siamo ripiombati nella paura - afferma - la morte di Yacoub ripropone in maniera sempre più drammatica la domanda della sorte dei cristiani iracheni. Dopo il voto la gente, le famiglie stavano facendo ritorno nelle proprie case, a Mosul, adesso non sanno più cosa fare, non sappiamo cosa sia successo. È tornata la paura". Nel frattempo lo spoglio dei circa 12 milioni di voti espressi nelle elezioni del 7 marzo è arrivato all'80% del totale e si profila un testa a testa tra il premier uscente Al-Maliki e Iyad Allawi alla corsa per la guida dell'Iraq. Al-Maliki appare in testa in sette delle 18 province del Paese, tra cui quelle che assegneranno il maggior numero dei 325 seggi del futuro Parlamento. Allawi guida lo spoglio in cinque province, seguito con tre ciascuna dall'Alleanza nazionale irachena e dall'Alleanza Curda. Per i risultati finali bisognerà attendere ancora, anche perché la Commissione elettorale dovrà esaminare prima i ricorsi, circa 2 mila, presentati sino ad oggi.
Ci sono concrete speranze che da queste elezioni possa cambiare qualcosa per l'Iraq?
"Fra pochi giorni il risultato sarà chiaro ma questa volta, credo, sarà necessario un governo di unità nazionale, non settario, la cui priorità dovrà essere, innanzitutto, la sicurezza".
Crede che un governo di coalizione sia la risposta migliore alle esigenze dell'Iraq di oggi che vuole sicurezza, ma anche stabilità e speranza nel futuro?
"Penso di sì. I due blocchi maggiori saranno chiamati a collaborare per governare, così come gli altri partiti. Rispetto alle scorse elezioni credo che qualcosa sia cambiato…".
Cosa, in particolare?
"Nel 2005 le liste erano chiuse e settarie mentre questa volta sono state molte di più e non settarie, aperte a curdi, arabi, turkmeni, cristiani, sciiti, sunniti e tutto ciò è positivo. L'elemento religioso in politica mi è sembrato meno preponderante rispetto al passato. La popolazione, credo, abbia scelto candidati laici e liste non collegate al clero religioso, sia sciita sia sunnita. La popolazione ha potuto scegliere".
Ha notizie circa i cristiani eletti?
"Questa volta i cristiani godranno di una maggiore rappresentatività. Dovremmo avere cinque parlamentari, previsti dalla quota di legge, più altri due o tre votati in altre liste. Tutti insieme potranno lavorare per il bene comune e per mostrare come anche i cristiani iracheni abbiano a cuore le sorti del Paese".
Stante una situazione di instabilità interna, il prossimo governo rischia, però, di subire l'influenza di Paesi vicini, come l'Iran…
"Quello che uscirà dalle urne del 7 marzo dovrà essere un governo forte, libero e non condizionato da influenze esterne. L'Iraq ha tutto per imporsi come una forza regionale importante, di stampo laico, e fronteggiare derive integraliste. L'importante è che sia lasciato libero di crescere. La democratizzazione avviata qui nel Paese, la possibilità di fare liberamente campagna politica, presentare un programma sono cose nuove in queste zone. Il nepotismo è finito".
Quale aiuto potrà venire al nuovo governo dalla comunità internazionale, Usa e Ue in testa?
"Gli Usa e l'Unione europea devono appoggiare il futuro governo per promuovere l'unità e la riconciliazione interna. Lo stesso ritiro americano, credo, non sarà definitivo; una presenza sarà mantenuta".