"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

25 marzo 2010

Mons. Tomasi: in aumento le violenze contro le minoranze religiose, i cristiani i più colpiti


La tutela del diritto alla libertà religiosa è particolarmente importante in quanto “i valori religiosi sono un ponte per tutti i diritti umani”. Ma questo diritto è oggi ripetutamente oltraggiato da pregiudizi, discriminazioni e violenza. E’ quanto ha affermato ieri l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’ufficio dell’Onu di Ginevra, in occasione della 13.ma Sessione del Consiglio dei diritti umani nella città elvetica.
Il servizio di Amedeo Lomonaco:
Aumentano i casi in cui la religione viene ridicolizzata e si assiste ad una sempre più grave “mancanza di rispetto per personalità e simboli religiosi”. Sono in aumento anche i casi di “discriminazione e di uccisioni” di fedeli di minoranze religiose. A questo – fa notare l’arcivescovo Silvano Tomasi - si aggiunge nell’opinione pubblica una diffusa considerazione negativa della religione, ritenuta “dannosa” per la coesistenza pacifica. Si tratta di fenomeni che sollevano “questioni politiche e giuridiche” sull’attuazione dei diritti umani e, in particolare, per la tutela del “diritto alla libertà religiosa”. Dal momento che i sistemi di fede sono diversi e anche in contrasto tra loro, la motivazione del loro rispetto dovrà provenire da un “fondamento universale che è la persona umana”. Una legislazione pertinente – osserva mons. Tomasi - dovrebbe realizzare il bene comune e dovrebbe essere basata su valori, principi e norme che riflettono la “natura dell'uomo” e fanno parte “della coscienza della famiglia umana”, pur tenendo conto delle “implicazioni della libertà di espressione e di religione”. Il rispetto del diritto di tutti alla libertà religiosa – sottolinea il presule - non richiede la “completa secolarizzazione della sfera pubblica o l'abbandono di tutte le tradizioni culturali”. Un quadro normativo che tuteli “il bene comune e l'uguaglianza dei cittadini in una società sempre più pluralistica” implica che i sistemi legislativi applicabili ai credenti non debbano essere imposti “ai fedeli di altre religioni e ai non credenti”. In caso contrario - afferma mons. Silvano Tomasi - i diritti umani e il diritto alla libertà religiosa possono diventare uno strumento politico per la discriminazione, piuttosto che uno strumento etico nelle relazioni interpersonali. Uno Stato non può diventare l’arbitro dell’ortodossia religiosa, decidendo su questioni teologiche o dottrinali. Sarebbe la “negazione del diritto alla libertà di religione”. Misure contro atteggiamenti offensivi verso la religione basate su discrezione dello Stato per l'introduzione di un concetto vago di “diffamazione” nel sistema dei diritti umani, “non supportano una soluzione efficace e soddisfacente”. C’è il rischio reale – spiega il presule - che l’ulteriore interpretazione di ciò che comporta la diffamazione possa condizionare l'atteggiamento verso la religione o le convinzioni personali, spesso “a tragico discapito delle minoranze”. Questo è purtroppo il caso di quei Stati che non fanno “distinzione tra materia civile e religiosa”. Stati che si identificano con una fede particolare, interpretano la diffamazione in base alle convinzioni della religione o le convinzioni cui aderiscono. Inevitabilmente vengono discriminati i cittadini che non condividono le stesse convinzioni. La Santa Sede – conclude mons. Tomasi - esorta gli Stati ad un nuovo impegno per il dialogo e la riaffermazione del diritto all'appartenenza ad una comunità di fede. Tale scelta, come espressione di personali diritti fondamentali della persona umana, “deve sempre essere esercitata nel contesto del bene comune”.
In diversi Paesi le minoranze religiose sono vittime di attacchi drammatici come in Pakistan, dove un cristiano è stato bruciato vivo perché si è rifiutato di convertirsi all'islam. Come si difende la libertà religiosa?
R. – La comunità internazionale deve assumersene una responsabilità, in qualche modo, nel trattare anche tale questione in maniera sistematica. Tra l’affermazione dei grandi principi che sono enunciati, per esempio nella dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, e la pratica quotidiana in molti Paesi c’è di mezzo un grande vuoto. Dobbiamo rinnovare la volontà politica di poter proteggere i diritti di tutti i cittadini e questo lo si fa attraverso l’educazione in modo che, ad esempio, nelle scuole non ci siano dei manuali o dei testi che sostengono posizioni fondamentaliste o incitino all’odio di altre religioni diverse dalla propria. Lo si fa attraverso non solo l’educazione pubblica ma anche attraverso i mezzi di comunicazione, creando un senso di accettazione reciproca finalizzato ad avere lo spazio pubblico sereno per cercare insieme la verità.
Nel suo intervento ha anche affermato che uno Stato non può diventare l’arbitro dell’ortodossia religiosa introducendo leggi sulla diffamazione che poi, in realtà, possono diventare discriminatorie…
R. – C’è una forte divisione, soprattutto tra i Paesi occidentali e i Paesi in cui c’è una maggioranza islamica. Nel mondo occidentale l’accento viene messo sulla persona come fonte di diritto, mentre nel mondo mediorientale c’è una cultura che dà un certo peso alla comunità. In questo caso, però, si rischia di discriminare le minoranze, perché se il gruppo dominante ha diritti per difendere le proprie posizioni ideologiche o religiose, le minoranze vengono discriminate, messe in una posizione di sottomissione. Dobbiamo perciò riaffermare il diritto della persona alla sua libertà religiosa e, allo stesso tempo, tener presente che le persone sono naturalmente aperte a relazionarsi con gli altri e quindi anche a creare comunità. Certo, i più discriminati in questo momento sono i cristiani. Non è solo questione di caricature o di articoli diffamatori, ma si tratta di vita e morte.
In Occidente si assiste ad un altro allarmante fenomeno: la ridicolizzazione della religione…
R. – La religione viene vista come un qualcosa di sorpassato, un blocco allo sviluppo e al progresso scientifico. Ci sono ancora molti funzionari pubblici – a volte anche nell’Unione Europea – e gruppi o correnti di pensiero che vedono nella religione un ostacolo alla modernità. Quest’atteggiamento porta poi a discriminare la maggioranza della popolazione che è credente. Mi pare che la cultura pubblica occidentale che ridicolizza la religione non faccia un servizio a se stessa ma crei dei problemi per il suo futuro.