Fonte: SIR
Da tempo si registrano, da parte di terroristi e integralisti islamici, vere e proprie persecuzioni ai danni della minoranza cristiana irachena costretta a lasciare città come Baghdad e Mosul per trovare rifugio nel Nord del Paese o all'estero. Le notizie di rapimenti, anche di sacerdoti, tasse sulla protezione, conversioni forzate e uccisioni preoccupano sempre più la Chiesa caldea che si trova a dover fronteggiare questa "emergenza persecuzione" come continui sono gli appelli alla pace, alla riconciliazione, al rispetto dei diritti di Benedetto XVI. Sulla persecuzione dei cristiani in Iraq, e non solo, il SIR ha posto alcune domande all'ambasciatore della Repubblica d'Iraq presso la Santa Sede, il cristiano Albert Edward Ismail Yelda, una laurea in letteratura antica e una specializzazione in diritti umani internazionali. Dal 1987 al 2003 si è dedicato alla consulenza legale e a progetti di assistenza per immigrati iracheni a Londra.
In che modo le Istituzioni possono proteggere la minoranza cristiana?
"Personalmente faccio parte di questa antica e fragile comunità e, in veste di ambasciatore dell'Iraq, condanno profondamente tutte le atrocità commesse contro i cristiani dell'Iraq e contro altre venerabili minoranze, atrocità che hanno assunto varie forme, pulizie etniche, minacce, persecuzioni e uccisioni da parte di gruppi radicali ed estremisti collegati e aiutati dai sostenitori del vecchio regime. Con queste azioni compiute nel nome dell'Islam - e l'Islam come religione è ben distante da queste - cercano di creare il caos per minare l'operato e gli sforzi del nuovo governo nella lotta al terrorismo, all'estremismo e al radicalismo religioso e contro la violenza religiosa settaria, per creare un ambiente sano che permetta di coinvolgere tutti i partiti politici iracheni in un dialogo reale e sincero oltre che in un'effettiva riconciliazione nazionale tra tutti gli strati della società irachena che crede in un nuovo Iraq pacifico, stabile, multiculturale, multinazionale, multireligioso, democratico e federale. Ciò significa che nel nuovo Iraq non dovrebbe esserci posto per cittadini di prima, di seconda o di terza classe. Ci rendiamo conto che esistono molti elementi provenienti dai Paesi di confine che sostengono le atrocità commesse contro il nostro popolo dagli estremisti e dai resti del vecchio regime, che stanno rendendo la vita di tutti gli iracheni infelice e che vogliono far fallire la giovane democrazia irachena e sostituirla nuovamente con un'altra tirannia e dittatura, costringendo il popolo iracheno a subire ancora persecuzioni, soppressioni e oppressioni quotidiane per almeno altri 35 anni. Il nostro governo di unità nazionale è al potere da soltanto un anno e ha bisogno di tutto il sostegno della comunità internazionale per costruire una nazione unita e non settaria che garantisca la sicurezza di tutti gli iracheni, rendendo l'Iraq stabile e pacifico. Sono ben cosciente del fatto che il governo sta cercando di fare il possibile per aiutare, assistere e sostenere tutti i cittadini iracheni e in particolare i cittadini venerabili, come i cristiani d'Iraq. So che i leader religiosi cristiani in Iraq e i politici cristiani dell'Iraq, rappresentati nel governo centrale e in quello regionale del Kurdistan, stanno cercando di mettere in evidenza la situazione attuale e i tragici eventi che i cristiani, come del resto, la maggioranza degli iracheni, stanno subendo".
C'è spazio per i cristiani nel nuovo Iraq e che ruolo hanno nella ricostruzione del Paese?
"I cristiani d'Iraq sono i semi della terra di Mesopotamia, l'attuale Iraq, e non credo che esista una forza su questa terra che possa sradicare tali semi dalla loro terra avita. Oggi i cristiani d'Iraq sono attivamente impegnati negli aspetti politici, sociali, culturali ed economici del nuovo Iraq. Essi sono rappresentati in Parlamento, nel governo centrale, nel Parlamento regionale e nel governo del Kurdistan oltre che in tutte le missioni diplomatiche, e pertanto i cristiani d'Iraq hanno attualmente risorse decisionali benché a livello ridotto. Posso garantire che i cristiani d'Iraq rivestono e rivestiranno un ruolo positivo e importante nello sforzo di costruzione di uno Stato iracheno pacifico, secolare, pluralista, democratico e federale. I cristiani d'Iraq hanno sofferto enormemente durante il periodo dell'ex regime, e specialmente a causa delle politiche scioviniste di arabizzazione attuate dall'ideologia del partito socialista del Baath Arab. Gli assiri e i caldei si sono opposti a tali politiche e hanno preso le parti delle forze nazional-democratiche dell'Iraq, inclusi i movimenti islamici, curdi, i comunisti, progressisti e i membri del Baath che si opponevano al regime di Saddam Hussein, che si basava su esecuzioni di massa e persecuzioni, per insediare l'alternativa democratica, in cui tutti gli iracheni, indipendentemente dalla loro religione, cultura, etnia o nazionalità, fossero rispettati nei loro diritti".
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C'è rischio che si crei un'enclave cristiana nella piana di Ninive a nord del Paese?
"Per quanto riguarda un'enclave sicura per i cristiani nel nord del Paese e in particolare nella pianura di Ninive, credo che la questione sia stata esagerata dai mass media e da alcuni politici mossi da interessi personali e in qualche caso fraintesa. Purtroppo le tragiche conseguenze dell'espulsione dei cristiani iracheni dalle loro case, i crimini commessi contro di loro e le autorità religiose, il bombardamento delle chiese a Baghdad e a Mosul da parte di estremisti, hanno costretto le autorità religiose cristiane d'Iraq e i politici cristiani del Paese a cercare la via migliore per proteggere la comunità cristiana, inclusa la discussione se esercitare i propri diritti costituzionali applicando l'articolo 125 della nuova Costituzione irachena per avere diritti amministrativi nelle zone dell'Iraq in cui essi costituiscono la maggioranza. Non esiste un piano per una zona separata per i cristiani; non è questo ciò che vuole la maggior parte dei cristiani in Iraq. I cristiani (assiri, caldei, compresi i siriaci e gli armeni) sono sparsi in tutto l'Iraq e hanno vissuto fianco a fianco con i musulmani (sciiti e sunniti), gli arabi, i curdi e i turcomanni oltre ad altri gruppi e minoranze religiose e hanno condiviso con loro il bene e il male, la felicità e la tristezza, periodi ed eventi tragici e piacevoli. Spero che riescano a continuare questa convivenza pacifica, nel mantenimento e nell'esercizio dei propri diritti costituzionali".
Da ambasciatore iracheno presso la Santa Sede ha avuto contatti con rappresentanti vaticani circa la condizione della minoranza cristiana irachena?
"La Santa Sede è molto preoccupata della situazione di tutto il popolo iracheno e segue con particolare interesse la situazione della comunità cristiana, che appartiene in maggioranza alla Chiesa cattolica romana. Già Giovanni Paolo II e ora Benedetto XVI hanno spiegato di avere molto a cuore gli iracheni, indipendentemente dalla loro religione. In molte delle mie udienze speciali con il Papa, Sua Santità ha affermato che, specialmente durante questi tragici eventi in Iraq, egli ha continuato a pregare per la pace, per la stabilità e prosperità di tutti gli iracheni. Fortunatamente, essendo il primo ambasciatore cristiano della Repubblica irachena presso la Santa Sede, non ho mai perso occasione di dare rilievo alla situazione di tutti gli iracheni e ho parlato con gli alti funzionari vaticani della situazione attuale e della strada da perseguire per un processo politico che riesca ad alleviare le sofferenze del nostro popolo. Ho anche messo in evidenza la situazione degli iracheni ai rappresentanti della Lega Araba, alle missioni diplomatiche islamiche e non islamiche, compresi gli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede e ai mass media, per poter aiutare il giovane governo iracheno negli sforzi per un vero dialogo e una riconciliazione nazionale, per la pace duratura".
È d'accordo nel dire, come diversi analisti, che la priorità per l'Iraq attuale è la sicurezza? O individua anche altre urgenze?
"Credo che la sicurezza sia in questo momento la questione più importante ed essenziale. Per avere un Iraq sicuro, dobbiamo avere una forza di sicurezza affidabile e potente, che garantisca la protezione dei confini, impedendo ai terroristi di entrare in Iraq e uccidere civili innocenti e creare scompiglio terrorizzando gli iracheni per ostacolare gli sforzi governativi di ricostruzione. È essenziale che la comunità internazionale fornisca aiuti più concreti al governo iracheno oltre ad attrezzare bene le nostre forze di sicurezza con i mezzi più recenti e potenti per impedire agli elementi oscuri, compresi i terroristi, di mettere in pratica i loro piani malvagi e distruggere la vita del popolo iracheno. Abbiamo bisogno di una migliore condivisione delle informazioni dei servizi segreti col nostro governo e con le agenzie di intelligence dei Paesi confinanti, per coordinare tutti gli sforzi e infliggere un duro colpo ai nemici del popolo iracheno e del Medio Oriente. Sono convinto che le forze multinazionali in Iraq, comprese le unità statunitensi, debbano coordinare le proprie operazioni, non importa se politiche o militari, con il nostro governo e che, prima di qualsiasi azione, il nostro governo dovrebbe essere accuratamente informato; sarebbero necessari accordi preliminari con il nostro governo e con la leadership politica in Iraq".
Nei media l'Iraq fa notizia per le violenze e attentati. Ma c'è, a suo avviso, qualcosa che i giornali non dicono e che merita di essere conosciuto?
"Purtroppo i mass media hanno concentrato i propri sforzi nel dare notizia degli aspetti negativi di ciò che accade all'interno dell'Iraq. Hanno sempre dato spazio alla campagna propagandistica dei perversi gruppi terroristici e criminali, che stanno cercando di destabilizzare gli sforzi del governo per la riconciliazione nazionale. I mass media non sono stati abbastanza onesti e coraggiosi nell'indagare i fatti con missioni conoscitive, nel riferire dei cambiamenti positivi e democratici che si sono verificati in Iraq dopo la caduta del vecchio regime. Nell'Iraq di oggi, abbiamo la libertà di parola, di opinione, di assemblea, di manifestare, di creare opposizione politica, tutti diritti che non esistevano nel regime di Saddam. I salari degli iracheni sono enormemente aumentati, esiste un mercato economico libero in cui quasi tutto è disponibile nei negozi e nei supermercati; sono stati eliminati gli ostacoli che impedivano agli iracheni di viaggiare, oggi gli iracheni possono viaggiare all'interno dell'Iraq, fuori dall'Iraq e tornare in Iraq quando vogliono. Attualmente, in Iraq, ci sono centinaia di quotidiani e canali satellitari liberi e senza limitazioni, che rappresentano tutti gli strati della società, oltre a un mercato aperto, in cui a tutti gli iracheni sono concesse opportunità di affari senza discriminazioni. In Iraq sono stati attuati molti progetti, in particolare nelle zone sicure del Paese. I programmi del governo prevedono vari progetti di ricostruzione che porteranno vantaggi a tutti gli iracheni, ma l'attuazione di questi progetti e di questi programmi è notevolmente rallentata dagli sforzi compiuti in senso opposto dalle forze malvagie dell'oscurità; ecco perché è necessario mettere in evidenza la questione della sicurezza, che è prioritaria. Nella regione del Kurdistan iracheno, il governo regionale sta rimodellando positivamente la parte importante dell'Iraq, ignorata dal vecchio regime e sta attuando la ricostruzione della regione a vantaggio di tutta la popolazione che vive in pace e armonia, esercitando i propri diritti costituzionali, senza il timore di persecuzioni o arresti per avere espresso o rivendicato i propri diritti nell'ambito della legge. Spero che questa esperienza positiva del Kurdistan iracheno sia un giorno estesa a tutte le zone dell'Iraq".
Dopo il colloquio del 28 maggio, il 24 luglio si sono incontrati gli ambasciatori di Iran e Usa a Baghdad. Quale contributo può dare un Iraq stabile al Medio Oriente?
"L'Iran è un vicino molto importante, con forti legami culturali, sociali e religiosi con la maggior parte della società irachena, per cui ritengo che le relazioni con il nostro vicino, la Repubblica Islamica dell'Iran, debbano essere il più normali e stabili possibili, basate su politiche di reciproco rispetto e di non interferenza negli affari interni. Credo inoltre che l'Iraq e l'Iran debbano stabilire legami economici, che andrebbero a beneficio dei due Stati e delle loro popolazioni. Sono sicuro che rapporti normali tra gli Usa e Repubblica Islamica dell'Iran avranno ripercussioni positive sugli aspetti politici, sociali ed economici dell'Iraq, e si raggiungerà un esito valido e positivo non soltanto per le popolazioni irachene e iraniane ma per tutta la regione, oltre che nell'interesse degli Usa. Il vecchio regime iracheno ha cercato con tutte le sue forze di distruggere i rapporti con l'Iran e i legami storici con il popolo iraniano. Saddam Hussein ha lasciato l'Iraq isolato, e in quel periodo non esistevano relazioni normali tra l'Iraq e i Paesi vicini. Un Iraq stabile e pacifico gioverà alla stabilità e alla pacifica convivenza di tutti i Paesi del Medio Oriente e contribuirà a promuovere il processo di pace, specialmente tra gli Stati arabi, gli islamici e lo Stato di Israele".