Di Magdi Allam
Perché mai è un musulmano a promuovere una manifestazione che ha come parola d'ordine «Salviamo i cristiani »? Perché mai in tanti qui in Italia, nella culla del cattolicesimo e in una terra di libertà, si sono sentiti come affrancati dalle catene interiori che impedivano loro di scandire ad alta voce in una piazza pubblica l'orgoglio di essere cristiani?
Perché mai è un musulmano a promuovere una manifestazione che ha come parola d'ordine «Salviamo i cristiani »? Perché mai in tanti qui in Italia, nella culla del cattolicesimo e in una terra di libertà, si sono sentiti come affrancati dalle catene interiori che impedivano loro di scandire ad alta voce in una piazza pubblica l'orgoglio di essere cristiani?
È con questi interrogativi che verso le 22 di ieri ho preso la parola di fronte a migliaia di persone, formalmente desiderose di salvare gli altri, i cristiani perseguitati nel mondo, di fatto per riscattare se stessi, i propri valori e la propria identità, violati e traditi dal dilagare del relativismo culturale e religioso.
Il senso dell’impegno comune l’ho così riassunto: «Siamo qui riuniti in questa straordinaria manifestazione quali persone di buona volontà che, al di là della propria religione e nazionalità, si sentono unite dall’imperativo di affermare e difendere il diritto alla libertà religiosa di tutti e ovunque nel mondo. E proprio perché siamo persone di buona volontà genuinamente credenti e impegnate a favore della verità, del bene e del legittimo interesse proprio e altrui, noi eleviamo coralmente la nostra voce per denunciare la discriminazione, la violenza, la persecuzione e l’esodo forzato dei cristiani in Medio Oriente». Ed è a questo punto che mi sono trovato quasi costretto a giustificare una scelta criticata, anche in ambito cattolico e cristiano, da coloro che sostengono che sarebbe sbagliato limitarsi a denunciare la persecuzione dei cristiani, trascurando tutte le altre minoranze oppresse o estendendo la casistica anche a tutte le violazioni dei diritti fondamentali dell’uomo. «Tutto ciò va bene —ho voluto puntualizzare—ma a condizione che la relativizzazione del male comune non ci porti a negare la specificità della persecuzione dei cristiani e non ci induca a restare inerti». Che cosa significa? Significa, a mio avviso, «che è giunta l’ora della chiarezza della realtà, del coraggio della verità, della scelta del bene e della determinazione a realizzare l’interesse comune tra tutti coloro che condividono una civiltà umana dove non venga messa in alcun modo in discussione la libertà religiosa. Oggi dobbiamo riappropriarci della verità che si radica nella realtà che riesca, ad esempio, a infrangere la cappa di mistificazione della realtà che ci ha voluto far credere che la liberazione di Rahmatullah Hanefi, un cittadino afghano amico dei Taliban, fosse una priorità nazionale mentre gravano un vergognoso, ignobile e inaccettabile silenzio ed indifferenza sulla sorte di padre Giancarlo Bossi, un sacerdote italiano cattolico che ha offerto la sua vita per testimoniare tramite la bontà dei suoi atti la sua fede religiosa». Ho aggiunto al riguardo che «padre Bossi oggi è diventato il parametro della nostra eticità. Voi avete riscattato questa eticità partecipando in massa a questa manifestazione per affermare in modo forte e determinato che la vita di padre Bossi non vale meno di quella degli altri ostaggi italiani, voi avete testimoniato il rifiuto assoluto della relativizzazione del bene supremo della vita, chiarendo che la vita di tutti è per noi ugualmente importante».
Il concetto fondamentale che ho voluto trasmettere è stato che «va benissimo preoccuparci per le sorti dei tanti Paesi dove la libertà religiosa è violata e dove i diritti umani sono negati. Ma cominciamo a occuparci della libertà religiosa a casa nostra. Se vogliamo essere credibili quando rivendichiamo la libertà religiosa per i cristiani in Turchia o in Cina, dobbiamo avere la certezza che questo diritto venga rispettato in Italia, in Europa e in Occidente. Ebbene non è così dal momento che molti musulmani in Europa non possono avvicinarsi alle moschee che sono state trasformate nel quartier generale degli estremisti islamici, pena la loro uccisione. Non è così dal momento che i musulmani non praticanti, o ancor di più coloro che liberamente si convertono ad un’altra fede, rischiano la vita».
La conclusione non poteva che essere un appello all’auto-emancipazione: «Affranchiamoci dai nostri pregiudizi, liberiamoci dalle ideologie malsane, vinciamo la nostra paura che ci fanno immaginare che pur di aver salva la pelle, pur di poter sopravvivere non importa come, pur di scamparla dai taglia-gola, ci si debba sottomettere ai taglia- lingua, accettando lo stato giuridico di dhimmi e lo stato umano di zombie, individui privati della loro dignità e della loro libertà. Ecco perché la battaglia per la libertà dei cristiani in Medio Oriente e per la libertà religiosa ovunque nel mondo coincide con la battaglia per riconquistare la nostra dignità e la nostra libertà che sono venute meno con il dilagare del relativismo cognitivo, valoriale, culturale, religioso e politico». E nel finale un appello che è anche un impegno forte: «Di fronte alla persecuzione sistematica e all’esodo di massa indotto o imposto dei cristiani dal Medio Oriente, noi non possiamo non dire "Siamo tutti cristiani"».