Zuhair al Jezairy
Il 15 febbraio, 14 razzi hanno colpito la base militare statunitense nei pressi dell’aeroporto di Erbil, capoluogo del Kurdistan iracheno.
Un contractor è stato ucciso e altri nove sono rimasti feriti. L’Iran, considerato il principale sospetto, ha negato ogni responsabilità e ha affermato di essere contrario a qualunque azione che possa danneggiare il vicino Iraq.
Anche la maggior parte delle milizie irachene ha condannato l’accaduto. Solo un piccolo gruppo sconosciuto, che si fa chiamare Saraya awliyaa al dam (Brigate dei guardiani del sangue), ha rivendicato di aver condotto l’attacco per mostrare che “non esiste un luogo sicuro per chi occupa l’Iraq”.
Gli iracheni ora attendono con ansia la rappresaglia degli Stati Uniti.
Il 3 gennaio 2020 un attacco simile, durante il quale gli Stati Uniti uccisero il comandante militare iraniano Qassem Soleimani, stava per scatenare una guerra. L’amministrazione statunitense di Joe Biden ha espresso la sua collera per l’attacco, considerato un modo per mettere alla prova Washington.
Ma ha sottolineato che la sua risposta sarà “coordinata con i nostri alleati iracheni”, trattandosi di una “questione di sovranità irachena”.
Per questo motivo l’ambasciatore statunitense a Baghdad ha tenuto degli incontri urgenti con le massime autorità nella capitale e a Erbil.
Queste nuove tensioni giungono in un momento particolarmente difficile per il primo ministro Mustafa al Kadhimi, alle prese con un drastico aumento dei contagi di covid-19.
Ai 3.500 casi giornalieri si sommano la crisi economica causata dal crollo dei prezzi petroliferi e il ritorno delle operazioni militari del gruppo Stato islamico.
Insieme alla sua controparte del governo regionale del Kurdistan, Masrur Barzani, il premier ha avviato un’inchiesta per scoprire chi si nasconde dietro alle Brigate dei guardiani del sangue.
I razzi sono stati una prova difficile tanto per la nuova amministrazione a Washington quanto per il governo iracheno, che deve dimostrare il suo impegno nella limitazione delle armi illegali.
Ma in definitiva si tratta soprattutto dell’ennesima prova per la pazienza degli iracheni, di fronte alla possibilità di una nuova guerra nella loro travagliata terra.
Nessun ritardo
Il 20 febbraio Ismail al Hadidi, consigliere del presidente della repubblica, ha confermato che la decisione di imporre un coprifuoco non inciderà sulla visita del papa in Iraq prevista per il mese prossimo.
Al Hadidi ha dichiarato all’agenzia di stampa ufficiale: “La pandemia e il rafforzamento delle misure restrittive non comprometteranno il programma della visita del pontefice in Iraq”, sottolineando che “il viaggio non subirà ritardi”. “I preparativi per l’accoglienza continuano”, ha aggiunto.
Il cardinale Louis Sako, patriarca della chiesa cattolica caldea in Iraq, ha rivelato il programma del viaggio di papa Francesco in Iraq, spiegando che “il pontefice sarà ricevuto all’aeroporto di Baghdad dal primo ministro. In seguito incontrerà il presidente della repubblica al palazzo della pace e poi le autorità religiose cristiane”. Inoltre, ha aggiunto, “il secondo giorno il papa visiterà Najaf, dove terrà un colloquio con l’ayatollah Ali al Sistani, la massima autorità sciita irachena”.
Sako ha precisato che in seguito “il pontefice visiterà la storica città di Ur, dove incontrerà i rappresentanti delle diverse religioni del paese, cristiani, musulmani, sabei e yazidi, con la partecipazione anche di un rappresentante della religione ebraica. Lì si svolgerà una preghiera congiunta cristiano-islamica, e poi il papa tornerà a Baghdad per celebrare la messa”.
Secondo il programma il pontefice visiterà anche il governatorato di Erbil e lì incontrerà gli esponenti del governo regionale, poi andrà nella città vecchia di Mosul, da cui manderà un messaggio. La tappa successiva sarà Qaraqosh, per rafforzare la fiducia tra i vicini cristiani e musulmani con l’auspicio di un futuro migliore. Infine il papa tornerà a Erbil per celebrare messa e incoraggiare i cristiani a essere più forti e a non arrendersi alla situazione attuale.
(Traduzione di Francesco De Lellis)
Un contractor è stato ucciso e altri nove sono rimasti feriti. L’Iran, considerato il principale sospetto, ha negato ogni responsabilità e ha affermato di essere contrario a qualunque azione che possa danneggiare il vicino Iraq.
Anche la maggior parte delle milizie irachene ha condannato l’accaduto. Solo un piccolo gruppo sconosciuto, che si fa chiamare Saraya awliyaa al dam (Brigate dei guardiani del sangue), ha rivendicato di aver condotto l’attacco per mostrare che “non esiste un luogo sicuro per chi occupa l’Iraq”.
Gli iracheni ora attendono con ansia la rappresaglia degli Stati Uniti.
Il 3 gennaio 2020 un attacco simile, durante il quale gli Stati Uniti uccisero il comandante militare iraniano Qassem Soleimani, stava per scatenare una guerra. L’amministrazione statunitense di Joe Biden ha espresso la sua collera per l’attacco, considerato un modo per mettere alla prova Washington.
Ma ha sottolineato che la sua risposta sarà “coordinata con i nostri alleati iracheni”, trattandosi di una “questione di sovranità irachena”.
Per questo motivo l’ambasciatore statunitense a Baghdad ha tenuto degli incontri urgenti con le massime autorità nella capitale e a Erbil.
Queste nuove tensioni giungono in un momento particolarmente difficile per il primo ministro Mustafa al Kadhimi, alle prese con un drastico aumento dei contagi di covid-19.
Ai 3.500 casi giornalieri si sommano la crisi economica causata dal crollo dei prezzi petroliferi e il ritorno delle operazioni militari del gruppo Stato islamico.
Insieme alla sua controparte del governo regionale del Kurdistan, Masrur Barzani, il premier ha avviato un’inchiesta per scoprire chi si nasconde dietro alle Brigate dei guardiani del sangue.
I razzi sono stati una prova difficile tanto per la nuova amministrazione a Washington quanto per il governo iracheno, che deve dimostrare il suo impegno nella limitazione delle armi illegali.
Ma in definitiva si tratta soprattutto dell’ennesima prova per la pazienza degli iracheni, di fronte alla possibilità di una nuova guerra nella loro travagliata terra.
Nessun ritardo
Il 20 febbraio Ismail al Hadidi, consigliere del presidente della repubblica, ha confermato che la decisione di imporre un coprifuoco non inciderà sulla visita del papa in Iraq prevista per il mese prossimo.
Al Hadidi ha dichiarato all’agenzia di stampa ufficiale: “La pandemia e il rafforzamento delle misure restrittive non comprometteranno il programma della visita del pontefice in Iraq”, sottolineando che “il viaggio non subirà ritardi”. “I preparativi per l’accoglienza continuano”, ha aggiunto.
Il cardinale Louis Sako, patriarca della chiesa cattolica caldea in Iraq, ha rivelato il programma del viaggio di papa Francesco in Iraq, spiegando che “il pontefice sarà ricevuto all’aeroporto di Baghdad dal primo ministro. In seguito incontrerà il presidente della repubblica al palazzo della pace e poi le autorità religiose cristiane”. Inoltre, ha aggiunto, “il secondo giorno il papa visiterà Najaf, dove terrà un colloquio con l’ayatollah Ali al Sistani, la massima autorità sciita irachena”.
Sako ha precisato che in seguito “il pontefice visiterà la storica città di Ur, dove incontrerà i rappresentanti delle diverse religioni del paese, cristiani, musulmani, sabei e yazidi, con la partecipazione anche di un rappresentante della religione ebraica. Lì si svolgerà una preghiera congiunta cristiano-islamica, e poi il papa tornerà a Baghdad per celebrare la messa”.
Secondo il programma il pontefice visiterà anche il governatorato di Erbil e lì incontrerà gli esponenti del governo regionale, poi andrà nella città vecchia di Mosul, da cui manderà un messaggio. La tappa successiva sarà Qaraqosh, per rafforzare la fiducia tra i vicini cristiani e musulmani con l’auspicio di un futuro migliore. Infine il papa tornerà a Erbil per celebrare messa e incoraggiare i cristiani a essere più forti e a non arrendersi alla situazione attuale.
(Traduzione di Francesco De Lellis)