By Oasis
Jean-Maurice Fiey
Quando i domenicani francesi subentrarono ai domenicani italiani a Mosul nel 1856 c’era una grande carenza di libri cristiani.
Le lotte religiose del passato ne avevano provocato la distruzione e in
molti casi l’incuria e la negligenza erano stati causa della scomparsa
di molti manoscritti preziosi. A questo riguardo, monsignor Addaï Scher
(Arcivescovo dell’eparchia caldea di Seert. Di origine assira, nel 1915
fu ucciso dagli ottomani durante il genocidio, NdT) cita un esempio
pietoso, non l’unico purtroppo, per la biblioteca del vecchio convento
di San Giacomo il recluso, un’ora a sud di Seert. “La biblioteca era
aperta a tutti – dice – e ognuno prendeva i manoscritti che voleva senza
curarsi di restituirli. Alcuni tra i più importanti manoscritti,
utilizzati come libri di testo, sono stati addirittura strappati o
perduti dagli studenti”.
Queste ragioni sono sufficienti a spiegare l’ignoranza alla quale erano votati i cristiani. La maggior parte di loro – ci dice padre Chéry – non soltanto non sapeva né leggere né scrivere, ma non capiva neppure la propria lingua nazionale. I cristiani parlavano un arabo sfigurato che, in alcune località, non somigliava quasi più all’arabo letterario. Niente libri di preghiera, niente catechismo, niente Vangeli. Si erano ridotti a servirsi di antichi manoscritti, logorati dal tempo, per lo più presi in prestito dai nestoriani, e coperti di cancellature sotto le quali un calamo poco abile aveva cercato di far scomparire i passaggi eretici… Il Cristianesimo si fondava perciò quasi interamente sulla tradizione orale; la fede cristiana si trasmetteva di bocca in bocca e veniva inculcato solamente attraverso le cerimonie e i riti sacri. Gli stessi libri liturgici offrivano spesso, da un esemplare all’altro, varianti che nuocevano all’unità del culto caldeo o siriaco. Tutt’al più, come libri stampati, si trovava qualche esemplare di un’opera curata da Propaganda [Fide]: il Compendio della dottrina cristiana di S. Bellarmino.
Fin dai primi mesi del suo arrivo a Mosul (30 novembre 1856), il primo superiore francese, padre Besson, riorganizzò le scuole fondate dai padri italiani e completò il programma di studi aggiungendovi lo studio della lingua araba, francese, caldea e siriaca. Siccome non c’era modo di far pagare i libri né tantomeno l’istruzione, padre Besson puntò ad avere una tipografia. Iniziò con una stampa litografica e litografò lui stesso gli alfabeti e i disegni che servivano nelle scuole.
Questa situazione provvisoria durò quasi quattro anni. Nell’ottobre 1859 monsignor O.P. Amanton, amministratore di Baghdad e delegato della Santa Sede per la Persia (dal 1857), ritornò in Francia avendo fatto suo il progetto del Superiore della Missione: sarebbe tornato a Mosul con una pressa tipografica. La generosità dell’Œuvre d’Orient gli consentì di realizzare il suo progetto e a fine aprile 1860, monsignor Amanton ritornava in Oriente portando con sé dalla Francia una “Marinoni” con caratteri arabi e siriaci. Avere la macchina però non era tutto, occorreva essere in grado di utilizzarla. Non essendoci persone competenti a Mosul, il prelato passò a Gerusalemme e chiese aiuto ai francescani che possedevano una florida tipografia. Il Custode di Terra Santa rispose generosamente alla richiesta di monsignor Amanton offrendogli uno dei suoi giovani, caldeo di nascita, anima della sua tipografia, compositore tipografico abituato alle lingue orientali, incisore capace di produrre sul posto i caratteri caldei, mettere subito in uso la pressa per l’arabo e formare giovani alla funzione di compositori.
Sotto la sua direzione quattro giovani avrebbero ben presto messo in moto la tipografia. Il fratello aprì una fonderia che consentiva di riprodurre i caratteri portati da Parigi da monsignor Amanton, e i caratteri siriaci anch’essi provenienti da Parigi. I Lazzaristi di Persia gli procurarono i caratteri caldei e il giovane imitò i caratteri più belli del tempo, quelli della ricca tipografia protestante di Urmia.
Grazie ai ripetuti aiuti dell’Œuvre d’Orient, che ai primi 6.000 franchi ne aggiunse altri 1.200, la tipografia poté svilupparsi sotto la nuova direzione alla quale monsignor Amanton l’aveva affidata nel gennaio 1862: i padri domenicani di Mosul. Nel marzo 1862 il vescovo scriveva: «Possiamo già offrire un libro di preghiere, un cammino della Croce (è stata la prima pubblicazione), un compendio di Geografia, e stiamo per dare alle stampe un libro di lettura arabo». […]
Testo tratto da : Jean-Maurice Fiey, L’imprimerie des dominicains de Mossoul 1860-1914, «Aram» 5 (1993), pp. 163-165.
Queste ragioni sono sufficienti a spiegare l’ignoranza alla quale erano votati i cristiani. La maggior parte di loro – ci dice padre Chéry – non soltanto non sapeva né leggere né scrivere, ma non capiva neppure la propria lingua nazionale. I cristiani parlavano un arabo sfigurato che, in alcune località, non somigliava quasi più all’arabo letterario. Niente libri di preghiera, niente catechismo, niente Vangeli. Si erano ridotti a servirsi di antichi manoscritti, logorati dal tempo, per lo più presi in prestito dai nestoriani, e coperti di cancellature sotto le quali un calamo poco abile aveva cercato di far scomparire i passaggi eretici… Il Cristianesimo si fondava perciò quasi interamente sulla tradizione orale; la fede cristiana si trasmetteva di bocca in bocca e veniva inculcato solamente attraverso le cerimonie e i riti sacri. Gli stessi libri liturgici offrivano spesso, da un esemplare all’altro, varianti che nuocevano all’unità del culto caldeo o siriaco. Tutt’al più, come libri stampati, si trovava qualche esemplare di un’opera curata da Propaganda [Fide]: il Compendio della dottrina cristiana di S. Bellarmino.
Fin dai primi mesi del suo arrivo a Mosul (30 novembre 1856), il primo superiore francese, padre Besson, riorganizzò le scuole fondate dai padri italiani e completò il programma di studi aggiungendovi lo studio della lingua araba, francese, caldea e siriaca. Siccome non c’era modo di far pagare i libri né tantomeno l’istruzione, padre Besson puntò ad avere una tipografia. Iniziò con una stampa litografica e litografò lui stesso gli alfabeti e i disegni che servivano nelle scuole.
Questa situazione provvisoria durò quasi quattro anni. Nell’ottobre 1859 monsignor O.P. Amanton, amministratore di Baghdad e delegato della Santa Sede per la Persia (dal 1857), ritornò in Francia avendo fatto suo il progetto del Superiore della Missione: sarebbe tornato a Mosul con una pressa tipografica. La generosità dell’Œuvre d’Orient gli consentì di realizzare il suo progetto e a fine aprile 1860, monsignor Amanton ritornava in Oriente portando con sé dalla Francia una “Marinoni” con caratteri arabi e siriaci. Avere la macchina però non era tutto, occorreva essere in grado di utilizzarla. Non essendoci persone competenti a Mosul, il prelato passò a Gerusalemme e chiese aiuto ai francescani che possedevano una florida tipografia. Il Custode di Terra Santa rispose generosamente alla richiesta di monsignor Amanton offrendogli uno dei suoi giovani, caldeo di nascita, anima della sua tipografia, compositore tipografico abituato alle lingue orientali, incisore capace di produrre sul posto i caratteri caldei, mettere subito in uso la pressa per l’arabo e formare giovani alla funzione di compositori.
Sotto la sua direzione quattro giovani avrebbero ben presto messo in moto la tipografia. Il fratello aprì una fonderia che consentiva di riprodurre i caratteri portati da Parigi da monsignor Amanton, e i caratteri siriaci anch’essi provenienti da Parigi. I Lazzaristi di Persia gli procurarono i caratteri caldei e il giovane imitò i caratteri più belli del tempo, quelli della ricca tipografia protestante di Urmia.
Grazie ai ripetuti aiuti dell’Œuvre d’Orient, che ai primi 6.000 franchi ne aggiunse altri 1.200, la tipografia poté svilupparsi sotto la nuova direzione alla quale monsignor Amanton l’aveva affidata nel gennaio 1862: i padri domenicani di Mosul. Nel marzo 1862 il vescovo scriveva: «Possiamo già offrire un libro di preghiere, un cammino della Croce (è stata la prima pubblicazione), un compendio di Geografia, e stiamo per dare alle stampe un libro di lettura arabo». […]
Testo tratto da : Jean-Maurice Fiey, L’imprimerie des dominicains de Mossoul 1860-1914, «Aram» 5 (1993), pp. 163-165.