By Asia News
Samir Youssef
P. Samir ha raccolto le testimonianze di quattro capi famiglia, fuggiti
nel 2014 con l’arrivo dello Stato islamico. Cristiani, yazidi, sabei e
arabi musulmani raccontano le violenze jihadiste le difficoltà
dell’esilio, insieme alle speranze per la liberazione di Mosul. L’aiuto
“amorevole” della Chiesa e della comunità cristiana una risposta alla
violenza jihadista. Prima parte.
Dolore e sofferenza ricordando i drammatici momenti della fuga,
in seguito all’avanzata dei miliziani dello Stato islamico (SI, ex Isis)
a Mosul e nella piana di Ninive. Le case cristiane marchiate dai
jihadisti, i parenti lasciati alle spalle a morire, soldi e beni
espropriati. Ma, al tempo stesso, un desiderio di ricominciare a vivere,
nutrito dalla ragionevole speranza offerta dalla Chiesa che ha saputo
accogliere “con molto amore” e “non ci ha fatto mancare nulla”.
Sono le testimonianze raccolte da p. Samir Youssef, un
dialogo sotto forma di intervista con quattro rifugiati in
rappresentanza di altrettante fedi ed etnie: si tratta di Zaenl, uno
yazidi originario di Sinjar; Emad, cristiano di Mosul; Abad, della
comunità dei Sabei di Qaraqosh; Omar Abu Lukman, arabo musulmano di
Sinjar.
P. Samir è parroco della diocesi di Zakho e Amadiya (Kurdistan), che cura 3500 famiglie di profughi cristiani, musulmani, yazidi che hanno abbandonato le loro case e le loro terre per sfuggire ai jihadisti. Il sacerdote è in prima linea sin dall’estate del 2014, da quando è iniziata l’emergenza. Con lui econ i vescovi irakeni, AsiaNews vuole rilanciare la campagna "Adotta un cristiano di Mosul" in occasione del Natale per aiutarli ad avere cherosene, scarpe, vestiti per l'inverno, sostegno per la scuola ai bambini.
P. Samir è parroco della diocesi di Zakho e Amadiya (Kurdistan), che cura 3500 famiglie di profughi cristiani, musulmani, yazidi che hanno abbandonato le loro case e le loro terre per sfuggire ai jihadisti. Il sacerdote è in prima linea sin dall’estate del 2014, da quando è iniziata l’emergenza. Con lui econ i vescovi irakeni, AsiaNews vuole rilanciare la campagna "Adotta un cristiano di Mosul" in occasione del Natale per aiutarli ad avere cherosene, scarpe, vestiti per l'inverno, sostegno per la scuola ai bambini.
Di seguito, la prima parte delle testimonianze e dei racconti
(per guardare i video delle interviste cliccare su titolo del post).
(per guardare i video delle interviste cliccare su titolo del post).
P. Samir: Partiamo dall’inizio, dall’arrivo dello Stato islamico. Puoi raccontare come e perché sei fuggito?
Zaenl: In un primo momento avevamo cercato rifugio sulla montagna di Sinjar, dove siamo rimasti per un certo periodo. Poi il 3 agosto 2014 abbiamo deciso di andarcene, per una strada molto difficile e tortuosa. Mio fratello, portatore di handicap, è morto sulla montagna, perché non ho potuto portarlo più con me avendo già mia madre anziana, e i miei bambini da trasportare. Eravamo seduti per riposare, per cercare di riprendere fiato e sono arrivati all’improvviso gli uomini dello Stato islamico. Per questo ho dovuto lasciare mio fratello e ho portato mia mamma, mentre mia moglie si occupava dei bambini. In seguito abbiamo saputo che mio fratello era morto. E dopo qualche giorno siamo arrivati a Enishke.
Emad: Era il 30 giugno 2014 quanto i miliziani dello Stato islamico sono entrati nella città di Mosul. All’inizio non hanno fatto niente, ma dopo 20 giorni hanno iniziato a scrivere sui muri delle nostre case la lettera “N” (ن), iniziale di “nazareno”, ovvero cristiano e con questo ci hanno costretto a scappare. Siamo uscito con la nostra macchina e, poco prima di abbandonare la città, vicino alla zona di Shalalat, alcuni miliziani dell’Isis ci hanno fermato e ci hanno fatto scendere dalla macchina. Eravamo io, mia moglie e le mie due figlie. Hanno preso la macchina, i nostri soldi e l’oro e ci hanno abbandonato sulla strada. Ci hanno anche minacciato, dicendo che se non avessimo consegnato i soldi avrebbero preso le figlie. Poi, abbiamo iniziato a camminare, preso un taxi che ci ha portato fino a Bashiqa, quindi a Qaraqosh, a seguire Duhok, infine Enishke. Grazie [alla Chiesa] che ci avete dato una casa.
Abas: Era la mezzanotte del 6 agosto 2014 quando siamo scappati da Qaraqosh, senza poter portare nulla con noi. Pensavo di poter tornare dopo qualche giorno, ma non è stato così. Siamo arrivati vicino a Erbil e vi era molta gente, tutti scappavano dall’Isis. Dopo alcune ore siamo riusciti a entrare a Erbil, ma la situazione era molto difficile, gli hotel erano pieni. Alla fine abbiamo trovato un hotel, ma dopo alcuni giorni i nostri soldi erano finiti. In seguito, tramite un amico che ci ha aiutato, siamo riusciti ad arrivare qui a Enishke, e vi vogliamo ringraziare ancora per averci accolto. La Chiesa e la gente del villaggio ci hanno davvero accolto con molto affetto.
Omar Abu Lukman: Io e la mia famiglia, le mie figlie sposate e loro mariti, eravamo in tutto 18 persone. L’8 agosto 2014 siamo scappati da Sinjar, non abbiamo voluto collaborare con loro. Sulla via della fuga alcuni miliziani dell’Isis ci hanno fermato e hanno preso mio figlio e mio nipote. Un mese più tardi abbiamo saputo che mio nipote stava male ed è morto; mio figlio, invece, è stato ucciso. Siamo rimasti nel deserto e abbiamo passato lì la prima notte di fuga. Il giorno seguente abbiamo percorso a piedi un lungo tratto, fino a che non ci siamo imbattuti in una macchina. Il guidatore ha accettato di darci un passaggio, dopo che gli abbiamo pagato un milione e mezzo di dinari (circa 1200 dollari), solo per portarci a Badreke, vicino a Duhok. E poi siamo arrivati sin qui.
Zaenl: In un primo momento avevamo cercato rifugio sulla montagna di Sinjar, dove siamo rimasti per un certo periodo. Poi il 3 agosto 2014 abbiamo deciso di andarcene, per una strada molto difficile e tortuosa. Mio fratello, portatore di handicap, è morto sulla montagna, perché non ho potuto portarlo più con me avendo già mia madre anziana, e i miei bambini da trasportare. Eravamo seduti per riposare, per cercare di riprendere fiato e sono arrivati all’improvviso gli uomini dello Stato islamico. Per questo ho dovuto lasciare mio fratello e ho portato mia mamma, mentre mia moglie si occupava dei bambini. In seguito abbiamo saputo che mio fratello era morto. E dopo qualche giorno siamo arrivati a Enishke.
Emad: Era il 30 giugno 2014 quanto i miliziani dello Stato islamico sono entrati nella città di Mosul. All’inizio non hanno fatto niente, ma dopo 20 giorni hanno iniziato a scrivere sui muri delle nostre case la lettera “N” (ن), iniziale di “nazareno”, ovvero cristiano e con questo ci hanno costretto a scappare. Siamo uscito con la nostra macchina e, poco prima di abbandonare la città, vicino alla zona di Shalalat, alcuni miliziani dell’Isis ci hanno fermato e ci hanno fatto scendere dalla macchina. Eravamo io, mia moglie e le mie due figlie. Hanno preso la macchina, i nostri soldi e l’oro e ci hanno abbandonato sulla strada. Ci hanno anche minacciato, dicendo che se non avessimo consegnato i soldi avrebbero preso le figlie. Poi, abbiamo iniziato a camminare, preso un taxi che ci ha portato fino a Bashiqa, quindi a Qaraqosh, a seguire Duhok, infine Enishke. Grazie [alla Chiesa] che ci avete dato una casa.
Abas: Era la mezzanotte del 6 agosto 2014 quando siamo scappati da Qaraqosh, senza poter portare nulla con noi. Pensavo di poter tornare dopo qualche giorno, ma non è stato così. Siamo arrivati vicino a Erbil e vi era molta gente, tutti scappavano dall’Isis. Dopo alcune ore siamo riusciti a entrare a Erbil, ma la situazione era molto difficile, gli hotel erano pieni. Alla fine abbiamo trovato un hotel, ma dopo alcuni giorni i nostri soldi erano finiti. In seguito, tramite un amico che ci ha aiutato, siamo riusciti ad arrivare qui a Enishke, e vi vogliamo ringraziare ancora per averci accolto. La Chiesa e la gente del villaggio ci hanno davvero accolto con molto affetto.
Omar Abu Lukman: Io e la mia famiglia, le mie figlie sposate e loro mariti, eravamo in tutto 18 persone. L’8 agosto 2014 siamo scappati da Sinjar, non abbiamo voluto collaborare con loro. Sulla via della fuga alcuni miliziani dell’Isis ci hanno fermato e hanno preso mio figlio e mio nipote. Un mese più tardi abbiamo saputo che mio nipote stava male ed è morto; mio figlio, invece, è stato ucciso. Siamo rimasti nel deserto e abbiamo passato lì la prima notte di fuga. Il giorno seguente abbiamo percorso a piedi un lungo tratto, fino a che non ci siamo imbattuti in una macchina. Il guidatore ha accettato di darci un passaggio, dopo che gli abbiamo pagato un milione e mezzo di dinari (circa 1200 dollari), solo per portarci a Badreke, vicino a Duhok. E poi siamo arrivati sin qui.
P. Samir: Come avete trascorsi questi due anni e mezzo e
quali sono le maggiori difficoltà incontrate? E la Chiesa vi ha accolto
bene?
Zaenl: La Chiesa ci ha accolto con molto amore, non ci ha fatto mancare nulla. Voi, e tutte le altre organizzazioni umanitarie, i vostri amici. Dopo che abbiamo perso tutto, voi ci avete donato tutto quello di cui avevamo bisogno, ci avete dato la speranza. Abbiamo ricominciato a credere che c’era speranza nella vita.
Emad: Quando siamo arrivati eravamo disperati, ma grazie all’incontro con padre Samir abbiamo trovato un luogo per dormire, una casa. Dal primo giorno la Chiesa ci ha dato da mangiare, da vestire, ci ha fatto sentire bene. Avevo paura per le mie figlie, ma ci avete garantito la sicurezza; sentiamo davvero la pace e l’amore nei nostri riguardi. E voi state continuando ad aiutarci.
Abas: Parlo non solo a nome mio, ma a nome di tutte queste 400 famiglie di profughi che stanno qui e dico la verità quando affermo che la Chiesa locale, assieme alla comunità cristiana di Enishke, hanno fatto una cosa indimenticabile, storica. Non ci scorderemo mai di tutto quello che avete fatto e che state facendo per noi. Solo la Chiesa si prende cura di noi, e nessun altro.
Omar Abu Lukman: Da oltre due anni e mezzo, dopo tante sofferenze, ci avere accolto. Lo Stato islamico ha cercato di separarci, ma voi ci avere unito. Non avete fatto differenze fra cristiani, musulmani, yazidi. Non ci avete fatto mancare nulla. Abbiamo sentito e vissuto la fraternità e l’amore. Ci avete fatto credere e comprendere il vostro amore. Avete diviso il vostro pane con noi. Che Dio vi ricompensi.
Zaenl: La Chiesa ci ha accolto con molto amore, non ci ha fatto mancare nulla. Voi, e tutte le altre organizzazioni umanitarie, i vostri amici. Dopo che abbiamo perso tutto, voi ci avete donato tutto quello di cui avevamo bisogno, ci avete dato la speranza. Abbiamo ricominciato a credere che c’era speranza nella vita.
Emad: Quando siamo arrivati eravamo disperati, ma grazie all’incontro con padre Samir abbiamo trovato un luogo per dormire, una casa. Dal primo giorno la Chiesa ci ha dato da mangiare, da vestire, ci ha fatto sentire bene. Avevo paura per le mie figlie, ma ci avete garantito la sicurezza; sentiamo davvero la pace e l’amore nei nostri riguardi. E voi state continuando ad aiutarci.
Abas: Parlo non solo a nome mio, ma a nome di tutte queste 400 famiglie di profughi che stanno qui e dico la verità quando affermo che la Chiesa locale, assieme alla comunità cristiana di Enishke, hanno fatto una cosa indimenticabile, storica. Non ci scorderemo mai di tutto quello che avete fatto e che state facendo per noi. Solo la Chiesa si prende cura di noi, e nessun altro.
Omar Abu Lukman: Da oltre due anni e mezzo, dopo tante sofferenze, ci avere accolto. Lo Stato islamico ha cercato di separarci, ma voi ci avere unito. Non avete fatto differenze fra cristiani, musulmani, yazidi. Non ci avete fatto mancare nulla. Abbiamo sentito e vissuto la fraternità e l’amore. Ci avete fatto credere e comprendere il vostro amore. Avete diviso il vostro pane con noi. Che Dio vi ricompensi.