Matteo Matzuzzi
“Dobbiamo dire che questo è un genocidio e quindi dobbiamo 
fare qualcosa a riguardo”.  
A dirlo, durante un incontro che si è tenuto 
qualche giorno fa alla Catholic University of America di Washington, è stato il vescovo caldeo Francis Kalabat,
 titolare dell’eparchia di San Tommaso Apostolo a Detroit. “E’ un trauma
 fisico, emotivo e spirituale”, ha aggiunto poi in un’intervista apparsa
 sul Catholic Standard, giornale ufficiale della diocesi della Capitale 
americana.
"Noi stiamo cercando di rimanere chi siamo. Vogliamo pregare 
Gesù con la lingua e i modi attraverso i quali lo abbiamo incontrato fin
 dall’inizio”. Kalabat ha puntato l’indice sulle cosiddette Primavere 
arabe, speranza per un futuro migliore nel 2011 che si sono rivelate la 
più grande delle trappole e la cui fine (eccezion fatta, seppur con 
molta prudenza, per la Tunisia) ancora non si vede all’orizzonte. “Il 
Cristianesimo in medio oriente ha avuto una lunga vita, ma ora lo si 
vuole eliminare in Iraq, Siria e negli altri paesi delle Primavere 
arabe. Se questa è la primavera, non vorrei vedere l’inverno”, ha 
aggiunto il presule.
Lo Stato islamico, ha osservato Kalabat, “ha causato sì molta distruzione, ma non ha distrutto solo gli edifici, bensì anche le relazioni tra vicini. Molti musulmani iracheni intimiditi dal Califfato hanno cambiato atteggiamento riguardo i vicini cristiani e questo a fomentato solo diffidenza. La persecuzione sistematica delle comunità cristiane in medio oriente” vuole “la distruzione mirata di una cultura, di una fede, di una storia umana e di una persona umana”.
Lo Stato islamico, ha osservato Kalabat, “ha causato sì molta distruzione, ma non ha distrutto solo gli edifici, bensì anche le relazioni tra vicini. Molti musulmani iracheni intimiditi dal Califfato hanno cambiato atteggiamento riguardo i vicini cristiani e questo a fomentato solo diffidenza. La persecuzione sistematica delle comunità cristiane in medio oriente” vuole “la distruzione mirata di una cultura, di una fede, di una storia umana e di una persona umana”.
I cattolici in Iraq, ha spiegato il vescovo caldeo, “sono 
sopravvissuti, ma è sufficiente vivere per sempre da sopravvissuti?”, 
s’è domandato. Sopravvivere è un conto, vivere è un altro, ha osservato.
 Parole di ringraziamento per quei musulmani che hanno preso le difese 
dei cristiani minacciati: “Lavorano duramente per proteggere i 
cristiani, sono eroi e nostri amici”.
Il pericolo maggiore, già ribadito in questi anni più volte 
dai vescovi locali, è la scomparsa delle comunità cristiane dalla 
regione: “C’è un esodo massiccio di cristiani da terre con legami 
biblici e storici profondi. Se ogni cristiano lasciasse l’Iraq, cosa 
accadrebbe? Pregate e lavorate perché questo non accada”, ha aggiunto 
Kalabat. 
Un
 messaggio rivolto anche alla futura Amministrazione americana, dunque, 
affinché non abbandoni a se stesso il vicino oriente. In questo senso 
vanno lette le parole affidate al portale AsiaNews dal Patriarca di 
Baghdad, Louis Raphaël Sako, che aveva definito la vittoria di Donald 
Trump il sintomo “della stanchezza verso guerre non giustificate, morti,
 violenze e distruzione. Vi è uno scontento diffuso verso una politica 
non chiara, poco equilibrata e la speranza è che vi possa essere un 
cambiamento in un’ottica di pace e di stabilità”.