Sono stati liberati dalle forze governative a sud di Mosul, in Iraq,
circa mille uomini tenuti dai miliziani del sedicente Stato islamico in
una sorta di prigione sotterranea. Il ritrovamento è avvenuto mentre i
soldati di Baghdad esaminavano il terreno alla ricerca di mine lasciate
dai gruppi jihadisti, per rallentare l’avanzata lealista verso Mosul.
Mentre in Siria gli aerei della coalizione internazionale a guida Usa
hanno compiuto raid su postazioni dell'Is a Raqqa, a sostegno
dell'offensiva lanciata dalle forze curde che ha portato nelle ultime
ore al controllo di due villaggi a nord della città, rimane critica la
situazione umanitaria. In particolare per la popolazione irachena
sfollata da Mosul, accanto alla quale da due anni lavora la Focsiv, la
'Federazione degli organismi cristiani Servizio internazionale
volontario', impegnata nei Campi di Erbil, nel villaggio di Dibaga ed a
Kirkuk, nell’ambito della campagna “Humanity. Esseri umani con gli
esseri umani”.
Giada Aquilino ha raggiunto telefonicamente ad Erbil Jabbar Mustafa Fatah, coordinatore Focsiv-Kurdistan:
La situazione nella città di Erbil è abbastanza tranquilla visto che, prima dell’avvio dell’offensiva dei peshmerga e dell’esercito iracheno, avevano già predisposto una decina di Campi fuori dalla città di Mosul: attualmente questi Campi ricevono gli sfollati che arrivano a migliaia quasi tutti i giorni da Mosul. Quando i quartieri della città vengono conquistati sia dai peshmerga sia dall’esercito iracheno, queste persone vengono trasferite - anche con mezzi di trasporto dei peshmerga o delle forze di Baghdad - in questi Campi, che distano una trentina di km da Mosul.
Cosa raccontano queste persone?
Tutti raccontano di una liberazione dall’Is. Vivevano sotto l’incubo di questo gruppo terroristico che ad esempio non permetteva alle donne nemmeno di uscire da casa. Le persone vivevano in una situazione disastrosa su tutti i piani, umanitario, sanitario, socio-culturale…
Le ultime testimonianze riferiscono addirittura di una fossa comune con cento cadaveri decapitati, ritrovata a sud di Mosul. Perché tanta atrocità?
Perché questa era la strategia dell’Is per avere il controllo sul territorio: tutti dovevano convertirsi alla loro ideologia e chi non lo faceva veniva letteralmente eliminato, senza nessuna pietà.
Voi avete raccolto la testimonianza di due anziane a Qaraqosh al riguardo…
Sì, sono entrambe donne cristiane, rimaste lì per alcuni mesi. Poi, per caso, sono state scoperte dagli uomini dell’Is e sono state minacciate: o si convertivano all’islam o sarebbero state eliminate. Una di queste donne è non vedente, sorda e muta, non può fare niente; l’altra sta un po’ meglio dal punto di vista della salute. Ma, sotto la minaccia, hanno detto: “Sì, va bene accettiamo”. Così ogni tanto veniva dato loro da mangiare e un po’ d’acqua: hanno vissuto tutto il tempo sotto questa minaccia. Sono state poi rintracciate dalle forze di Baghdad circa una settimana dopo la liberazione di Qaraqosh.
Quindi erano state costrette a convertirsi?
Giada Aquilino ha raggiunto telefonicamente ad Erbil Jabbar Mustafa Fatah, coordinatore Focsiv-Kurdistan:
La situazione nella città di Erbil è abbastanza tranquilla visto che, prima dell’avvio dell’offensiva dei peshmerga e dell’esercito iracheno, avevano già predisposto una decina di Campi fuori dalla città di Mosul: attualmente questi Campi ricevono gli sfollati che arrivano a migliaia quasi tutti i giorni da Mosul. Quando i quartieri della città vengono conquistati sia dai peshmerga sia dall’esercito iracheno, queste persone vengono trasferite - anche con mezzi di trasporto dei peshmerga o delle forze di Baghdad - in questi Campi, che distano una trentina di km da Mosul.
Cosa raccontano queste persone?
Tutti raccontano di una liberazione dall’Is. Vivevano sotto l’incubo di questo gruppo terroristico che ad esempio non permetteva alle donne nemmeno di uscire da casa. Le persone vivevano in una situazione disastrosa su tutti i piani, umanitario, sanitario, socio-culturale…
Le ultime testimonianze riferiscono addirittura di una fossa comune con cento cadaveri decapitati, ritrovata a sud di Mosul. Perché tanta atrocità?
Perché questa era la strategia dell’Is per avere il controllo sul territorio: tutti dovevano convertirsi alla loro ideologia e chi non lo faceva veniva letteralmente eliminato, senza nessuna pietà.
Voi avete raccolto la testimonianza di due anziane a Qaraqosh al riguardo…
Sì, sono entrambe donne cristiane, rimaste lì per alcuni mesi. Poi, per caso, sono state scoperte dagli uomini dell’Is e sono state minacciate: o si convertivano all’islam o sarebbero state eliminate. Una di queste donne è non vedente, sorda e muta, non può fare niente; l’altra sta un po’ meglio dal punto di vista della salute. Ma, sotto la minaccia, hanno detto: “Sì, va bene accettiamo”. Così ogni tanto veniva dato loro da mangiare e un po’ d’acqua: hanno vissuto tutto il tempo sotto questa minaccia. Sono state poi rintracciate dalle forze di Baghdad circa una settimana dopo la liberazione di Qaraqosh.
Quindi erano state costrette a convertirsi?
Sì, costrette a convertirsi. Però quando sono state liberate la
prima cosa che hanno fatto è stata entrare in chiesa per pregare!
Mustafa, ci ha parlato dei Campi di accoglienza. Focsiv da due
anni è al fianco degli sfollati nei Campi di Erbil, ma non solo. Come
lavorate con loro?
Sosteniamo i bambini attraverso la creazione di scuole, di
attività sportive e di intrattenimento. A coloro che vivono nei Campi
forniamo il cibo. Infatti la settimana scorsa abbiamo distribuito mille
pacchi di generi alimentari a mille famiglie in un Campo vicino ad
Erbil, che si chiama Dibaga. Attualmente stiamo preparando duemila
pacchi per duemila famiglie che stanno arrivando in questi Campi. Poi
cerchiamo di offrire pannolini, medicinali: tutto quello che è a nostra
disposizione sarà destinato a loro.
Tutto il lavoro, in base alla vostra campagna “Humanity. Essere
umani con gli esseri umani”, è rivolto ai più vulnerabili. Chi sono?
Tutti sono coinvolti, tutti sono colpiti da questa situazione,
dal bambino neonato all’anziano di 80, 90 anni. Quindi noi cerchiamo di
sostenere i più deboli.
Lei è musulmano e lavora con tutti, senza distinzione. Qual è la sua esperienza?
Sono curdo iracheno, vivo anche in Italia, la mia famiglia è in
Italia, ho la doppia cittadinanza. Per me basta essere al servizio di un
essere umano, senza distinguere il colore della pelle, la lingua, la
religione. Basta esser “al servizio”. Per questo motivo ho dedicato
quasi tutto il mio tempo agli sfollati cristiani. Sono architetto, ho
partecipato con le mie mani a costruire due chiese nel Campo di “Ashti
1” e “Ashti 2” e un Centro religioso anche per gli yazidi in un Campo
yazida. Quello che faccio lo faccio per l’umanità.