Daniele Rocchi
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| Foto SIR | 
Il barcone su cui si trovava con la sua famiglia, infatti, si è 
inabissato nelle acque del Mediterraneo. Scampata alla furia di Daesh, 
morta sulla via che doveva condurla alla salvezza. Lei e la sua 
famiglia. Nessun superstite. 
La tunica di Malaak. 
Ora il suo volto, con i grandi occhi azzurro-verdi, incastonato in un 
caschetto di capelli rossicci, si trova rappresentato nel grande 
affresco dietro l’altare della chiesa di padre Hani, insieme a quelli di
 bambini di altri Paesi. “È il sogno di don Orione – spiega il parroco 
ad un gruppo di giornalisti della Fisc, la Federazione che riunisce i 
settimanali diocesani, giunti a Zarqa con il viaggio Fisc-8×1000 “Senza 
frontiere” – avuto dal santo quando era ventenne e ancora seminarista.  Davanti al rischio di chiudere il suo oratorio a Tortona, don 
Orione chiese alla Madonna di non abbandonarlo e di salvare lui e i suoi
 giovani orfani. Quella stessa notte, la Madonna gli apparve in sogno 
con il manto celeste che si stendeva su tanti ragazzi di diversi colori.
 La protezione di Maria ieri come oggi”. 
Padre Hani è certo: la piccola Malaak ora riposa sotto il manto di Maria. “L’affresco è opera di un profugo iracheno di Mosul – ricorda il parroco -. Mentre lo realizzava è stato raggiunto dalla notizia che la sua richiesta di visto di espatrio per l’Australia era stata accettata. Prima di lasciare Zarqa per Sidney, ha voluto completare la sua opera ritraendo anche la piccola Malaak, dipingendone la storia sulla tunica colorata”.
Padre Hani è certo: la piccola Malaak ora riposa sotto il manto di Maria. “L’affresco è opera di un profugo iracheno di Mosul – ricorda il parroco -. Mentre lo realizzava è stato raggiunto dalla notizia che la sua richiesta di visto di espatrio per l’Australia era stata accettata. Prima di lasciare Zarqa per Sidney, ha voluto completare la sua opera ritraendo anche la piccola Malaak, dipingendone la storia sulla tunica colorata”.
Il piccolo abito mostra nel punto più basso il tempo della gioia, i
 girotondi con gli amici a Qaraqosh, la chiesa illuminata dal sole. Poco
 più sopra l’arrivo di Daesh, la croce della Chiesa divelta e i corpi 
delle persone uccise a terra. Una fila di fiori separa questa immagine 
da quella della fuga su un barcone stracolmo di profughi ed infine, 
all’altezza del cuore, l’immagine di un piccolo angelo che sale al cielo
 per abbracciare la Croce del martirio. In mano la piccola Malaak tiene 
una palma, la pace e il martirio in un unico simbolo”.
Un destino tragico che accomuna tanti iracheni e siriani, non solo 
cristiani. A Zarqa, padre Hani, con i suoi confratelli della Fondazione 
don Orione, cerca di dare loro assistenza e conforto. Almeno fino 
all’arrivo dell’agognato visto di espatrio per gli Usa, il Canada e 
soprattutto per l’Australia. Nessuno ha intenzione di ritornare in Iraq o
 in Siria. Nel centro “San Giuseppe” vige il motto “A chi bussa alla tua porta non chiedere chi sei, ma di cosa hai bisogno”.  
Alla persecuzione nei confronti dei cristiani e di coloro che si oppongono ai fondamentalisti, le risposte sono due, dice con un sorriso il parroco iracheno, “la carità e la misericordia”.
Nel piazzale del centro intanto si radunano gli alunni della scuola: 580 ragazzi, dei quali solo 120 di fede cristiana. Tra questi anche giovani iracheni rifugiati. Per loro la Cei e gli orionini portano avanti un progetto di educazione e sviluppo che prevede anche laboratori di meccanica, di falegnameria e di scuola alberghiera. La cucina della scuola viene usata anche dalle 9 famiglie di profughi iracheni, ospitate nel centro. Passano il tempo ad aspettare un visto che sembra non arrivare mai. Come Majeed Al Janaf e Nisreen Zaki, marito e moglie, di Qaraqosh. Prima dell’arrivo di Daesh una vita tranquilla. “Vivevamo con il mio lavoro di riparatore di televisioni. Poi le minacce per farci convertire all’Islam.
Fuggendo via ho rinunciato a tutto, ma non alla mia fede.
Nessuno dei 150 mila cristiani fuggiti in quei giorni si è convertito. Oggi aspetto di emigrare con la mia famiglia. Spero che i miei figli possano lasciarsi dietro il ricordo tragico di Daesh e superare i problemi psicologici che purtroppo ora hanno”.
Poco distante Ranna Sabah Shema, giovane madre di Mosul, annuisce. Seduta sul letto della sua piccola stanza, con in braccio il figlio, non vuole ricordare quei giorni e inveisce contro Daesh. Anche Ranna, come tutti al Centro di Zarqa, vuole partire.
Padre Hani li guarda e rivela: “su tutti quelli che accogliamo chiediamo che scenda il manto celeste di Maria, come nel sogno di don Orione, affinché trovino salvezza e un futuro migliore. Nessuno più deve piangere la perdita di un Angelo”
Alla persecuzione nei confronti dei cristiani e di coloro che si oppongono ai fondamentalisti, le risposte sono due, dice con un sorriso il parroco iracheno, “la carità e la misericordia”.
Nel piazzale del centro intanto si radunano gli alunni della scuola: 580 ragazzi, dei quali solo 120 di fede cristiana. Tra questi anche giovani iracheni rifugiati. Per loro la Cei e gli orionini portano avanti un progetto di educazione e sviluppo che prevede anche laboratori di meccanica, di falegnameria e di scuola alberghiera. La cucina della scuola viene usata anche dalle 9 famiglie di profughi iracheni, ospitate nel centro. Passano il tempo ad aspettare un visto che sembra non arrivare mai. Come Majeed Al Janaf e Nisreen Zaki, marito e moglie, di Qaraqosh. Prima dell’arrivo di Daesh una vita tranquilla. “Vivevamo con il mio lavoro di riparatore di televisioni. Poi le minacce per farci convertire all’Islam.
Fuggendo via ho rinunciato a tutto, ma non alla mia fede.
Nessuno dei 150 mila cristiani fuggiti in quei giorni si è convertito. Oggi aspetto di emigrare con la mia famiglia. Spero che i miei figli possano lasciarsi dietro il ricordo tragico di Daesh e superare i problemi psicologici che purtroppo ora hanno”.
Poco distante Ranna Sabah Shema, giovane madre di Mosul, annuisce. Seduta sul letto della sua piccola stanza, con in braccio il figlio, non vuole ricordare quei giorni e inveisce contro Daesh. Anche Ranna, come tutti al Centro di Zarqa, vuole partire.
Padre Hani li guarda e rivela: “su tutti quelli che accogliamo chiediamo che scenda il manto celeste di Maria, come nel sogno di don Orione, affinché trovino salvezza e un futuro migliore. Nessuno più deve piangere la perdita di un Angelo”
