By SIR
Daniele Rocchi
Daniele Rocchi
“La diocesi di Mosul non esiste più”: è lapidario monsignor Shimoun
Nona, arcivescovo emerito di Mosul, dal 2014 capitale irachena
dell'Isis. Il presule caldeo ha guidato la città per oltre quattro anni,
dalla fine di novembre del 2009 sino all’arrivo dell’Isis che lo ha
cacciato come tutti gli altri cristiani iracheni. Racconta dell'attesa
dei cristiani per la liberazione di Mosul e della Piana di Ninive, delle
loro domande - se restare o partire - e della mancanza di fiducia verso
i vicini musulmani, i primi ad appropriarsi dei loro beni, all'arrivo
dello Stato Islamico. L'Iraq di oggi è spaccato nelle sue componenti
etniche e religiose. Potranno mai tornare a convivere vittime e
aguzzini? Il genocidio delle minoranze non è solo eliminazione fisica ma
anche cancellazione della loro storia passata e futura.
Un lapidario monsignor Emil Shimoun Nona,
arcivescovo emerito di Mosul, parla così della sua città, che ha
guidato per quattro anni, dal novembre del 2009 fino all’arrivo
dell’Isis che lo ha cacciato come tutti gli altri cristiani iracheni.
Oggi, dopo aver vissuto da profugo in Kurdistan, a Erbil, è a Sydney a
dirigere l’eparchia cattolica caldea in Australia. Nella sede di Aiuto
alla Chiesa che soffre (Acs) mons. Nona ricorda che da quando l’Isis ha
preso possesso della città irachena, “i cristiani sono tutti fuggiti.
Erano circa 10mila prima del 2014 e oltre 100mila nei villaggi cristiani
della Piana di Ninive. Oggi –sottolinea – si trovano a Erbil e nel
Kurdistan iracheno o in Libano, Turchia e Giordania. Gran parte aspetta
un visto per emigrare, soprattutto in Australia”.“L’attesa del visto
dura almeno due anni ma c’è anche chi, nei campi in Kurdistan, attende
che l’esercito iracheno liberi la piana di Ninive e Mosul”.
Una speranza che potrebbe rivelarsi vana,
spiega l’arcivescovo caldeo. “Liberare Mosul non è facile. La città è
grande e nella Piana di Ninive ci sono tanti villaggi. Attendiamo con
ansia di vedere ciò che accadrà nei prossimi mesi. Molti sfollati, non
solo cristiani, aspettano di tornare per verificare cosa è accaduto ai
loro beni, case e terreni. Se sarà possibile riaverli o meno. E da lì
poi decidere se restare o meno”. La posizione dei cristiani è ancora più
complicata.
"Per i nostri fedeli la speranza di tornare e restare è sempre minore" dice mons. Nona. “I primi che hanno cominciato a rubare nelle nostre case sono stati i nostri vicini musulmani. Per questo oggi non c’è più fiducia.
"Per i nostri fedeli la speranza di tornare e restare è sempre minore" dice mons. Nona. “I primi che hanno cominciato a rubare nelle nostre case sono stati i nostri vicini musulmani. Per questo oggi non c’è più fiducia.
Conosco cristiani che dopo
aver convissuto per 40 anni con famiglie musulmane si sono visti
cacciare e derubare proprio da queste ultime. Come si può pretendere che
la nostra gente torni, in futuro, a vivere in un ambiente così
insicuro?” La speranza, tuttavia, è che “la comunità cristiana di Mosul
possa rinascere e con essa anche i villaggi della Piana di Ninive. Ma
questo potrà accadere solo se ci saranno condizioni ideali. La nostra gente aspetta garanzie internazionali e governative per tornare nell’area. Diversamente, ripeto, sarà difficile”.
In pericolo è la struttura statale unitaria del Paese adesso.
“Mosul è tradizionalmente sunnita – afferma il presule – i curdi dicono
che parte della provincia è curda, gli sciiti ribadiscono che Mosul fa
parte integrante dell’Iraq e non si tocca. La domanda allora è: ma chi
deve liberare Mosul? Gli sciiti, i curdi? E con quali milizie? Se l’Iraq
rimarrà uno Stato unitario questo sarà comunque diviso al suo interno
nelle sue componenti etniche e religiose. Gli scontri etnici
scoppiati nel 2003 e le cui conseguenze arrivano fino ad oggi hanno di
fatto cancellato ogni forma di convivenza e rispetto dell’altro, non importa se sciita o sunnita. Si potrà più vivere insieme in Iraq?
Chi ha visto uccidere i propri familiari potrà vivere con i loro assassini?”
Domande che non trovano risposta. Alla luce di questa situazione per mons. Nona non
è sbagliato “parlare di genocidio delle minoranze. Che non significa
solo eliminarle fisicamente ma cancellare la loro storia passata e
quella futura”.
Papa Francesco, nella messa a Santa Marta in suffragio
di padre Jacques Hamel, il prete assassinato dai terroristi a Rouen, ha
detto che “uccidere in nome di Dio è satanico”. “L’Isis incarna un
pensiero dell’Islam – ribadisce il presule – ci sono versetti che
istigano alla violenza. Difficile staccare questo pensiero dai versetti.
Un problema anche per l’Islam, difficile da affrontare”. Si tratta, in
sostanza, di spiegare meglio questi versetti, darne una interpretazione
moderna. Su questa base “il dialogo interreligioso è impossibile se
intende trovare qualcosa in comune tra le religioni. Il dialogo è
possibile se resta nelle cose umane. Si può dialogare perché ci sono
tanti buoni musulmani. Il problema è l’interpretazione della religione”.
E ricorda: “i nostri cristiani hanno dovuto lasciare tutto per non far convertire all’Islam i propri figli e siamo felici di questo.
Abbiamo
sentito molto la vicinanza delle Chiese anche europee e australiana.
Questa solidarietà ha fatto comprendere ai nostri fedeli che esiste una
Chiesa forte che resiste agli attacchi”. E chissà se un giorno si possa
vedere Papa Francesco in Iraq. Mons. Nona sorride: “il patriarca caldeo
Mar Sako lo inviterà in Iraq in occasione del suo viaggio in Georgia”.
Papa Francesco visiterà il 30 settembre a Tbilisi, prima volta nella
storia di un papa, una chiesa caldea (S. Simone Bar Sabbae, ndr.) e
incontrerà la comunità assiro-caldea. “Difficile che venga – ammette
mons. Nona – sono tanti gli ostacoli, in primis la sicurezza”.