By Radiovaticana
Un appuntamento di natura del tutto spirituale col pensiero rivolto ai cristiani martiri della Siria e all’Iraq. E’ quanto si attende dall’incontro del Papa con la comunità assiro caldea, riunita a Tbilisi venerdì, primo giorno della visita del Pontefice in Georgia. Nella Chiesa di San Simone sarà presente anche gran parte del Sinodo caldeo dall’Iraq guidato dal patriarca Sako. L’emozione è tanta nelle parole del parroco padre Benny Beth Yadegar che presenterà la comunità al Papa:
La comunità è frutto di una emigrazione dell’inizio del secolo scorso dall’Iran e dalla Turchia, dei caldei cattolici e non cattolici scappati allora dai curdi e dai turchi. Ci sono anche degli immigrati venuti dalla Siria e dall’Iraq. Sono cristiani e non avevano nient’altro che la chiesa. Quando sono arrivati qui, hanno visto solo le chiese , la croce e i campanili, e hanno deciso di rimanere.
Ci sono state delle difficoltà?
Sì, qui in Chiesa sono arrivate quasi 25 famiglie. Abbiamo pagato loro un anno e quattro mesi di affitto della casa, medicinali, vitto, alloggio, tutto perché potessero poi andare in Europa. Ma tutte le ambasciate europee ci hanno risposto che eravano fuori da una zona di pericolo, che qui in Georgia nessuno li avrebbe ammazzati o cacciati via, e quindi hanno detto loro di rimanere. Ma rimanere come? Non davano alcun aiuto! I fondi che la Chiesa usa per aiutare un po’ questa comunità vengono tutti dall’estero. La maggior parte dei soldi vengono dalla comunità caldea che ormai si è stabilita negli Stati Uniti: sono loro che danno un grande aiuto a questa comunità.
Proprio dagli Stati Uniti, ma anche da altre parti del mondo, arriveranno in tanti per questo incontro con il Papa: cosa rappresenta per voi questo momento?
È la prima volta nella storia, da quanto ci risulta, che un Papa entra in una chiesa caldea-cattolica. C’è tanta emozione, e anche tanto lavoro da fare. C’è poi il Sinodo con i patriarchi che arriveranno: saranno con noi quindici vescovi, sacerdoti, monache…
Un segno importante quindi il suo solo ingresso nella vostra comunità…
Sì, perché anche il Papa ha detto immediatamente che sarebbe venuto a visitare la comunità “anche se piccola” ha detto “sono sempre i miei figli”.-E questa è stata una gioia immensa per noi, e anche una cosa giusta: insomma, noi siamo cristiani – siamo cattolici – e rappresentiamo delle tradizioni molto antiche in Oriente. Abbiamo vissuto tutte le difficoltà delle persecuzioni, e abbiamo visto molto sangue e anche tante distruzioni. E quindi era anche giusto avere accanto il padre della nostra Chiesa: che viene a visitare la nostra comunità e a darci il coraggio, confermarci nella nostra fede.
Sarà un momento soprattutto di preghiera. In che modo pregherete?
Il Papa vuole ascoltare le preghiere di questa gente. Abbiamo dieci-dodici minuti per pregare con i Salmi, alcuni inni dei martiri del II, III, IV secolo e con le melodie antichissime, canti dalla profonda meditazione, fede e coraggio.
Padre Beniamino, le intenzioni profonde nei vostri cuori, di questa preghiera, quali sono?
Prima di tutto, vogliamo far sapere a tutto il mondo che tutte le persecuzioni e i disastri che accadono in Medio Oriente non ci cambiano, perché solo la bontà alla fine vincerà la violenza. E vogliamo anche attirare l’attenzione del Papa su tutti i caldei immigrati in questi ultimi anni, dalla prima guerra contro l’Iraq fino ad oggi: sono dispersi in tutta Europa – dalla Grecia fino al Nord Europa – e sono senza un pastore, un vescovo o una diocesi. Se avremo una chiesa caldea un po’ più forte in Europa, potremmo forse ancora per i prossimi 100-150 anni salvare queste tradizioni antichissime: pregheremo per questo. E poi, quando il Papa è con noi, ciò vuol dire che tutta la comunità cristiana - cattolica - del mondo è con noi. Ecco, vogliamo far capire anche questo alla gente: che siamo uniti con Roma, con tutta la comunità cristiana, e abbiamo bisogno del loro appoggio spirituale e del loro incoraggiamento.
L’Anno della Misericordia nella vostra comunità come lo state vivendo e che cosa sta significando per voi proprio la misericordia?
Praticamente lo abbiamo vissuto con i profughi in modo concreto. Tutto quello che avevamo lo abbiamo diviso con loro. Spesso abbiamo fatto delle preghiere per la pace e a volte abbiamo anche invitato dei musulmani che venivano dall’Iran per non far crescere un odio cieco contro una religione, perché questo non risolve assolutamente niente. Quello che ci unisce è molto, molto più grande di quello che semplicemente ci divide.
Un appuntamento di natura del tutto spirituale col pensiero rivolto ai cristiani martiri della Siria e all’Iraq. E’ quanto si attende dall’incontro del Papa con la comunità assiro caldea, riunita a Tbilisi venerdì, primo giorno della visita del Pontefice in Georgia. Nella Chiesa di San Simone sarà presente anche gran parte del Sinodo caldeo dall’Iraq guidato dal patriarca Sako. L’emozione è tanta nelle parole del parroco padre Benny Beth Yadegar che presenterà la comunità al Papa:
La comunità è frutto di una emigrazione dell’inizio del secolo scorso dall’Iran e dalla Turchia, dei caldei cattolici e non cattolici scappati allora dai curdi e dai turchi. Ci sono anche degli immigrati venuti dalla Siria e dall’Iraq. Sono cristiani e non avevano nient’altro che la chiesa. Quando sono arrivati qui, hanno visto solo le chiese , la croce e i campanili, e hanno deciso di rimanere.
Ci sono state delle difficoltà?
Sì, qui in Chiesa sono arrivate quasi 25 famiglie. Abbiamo pagato loro un anno e quattro mesi di affitto della casa, medicinali, vitto, alloggio, tutto perché potessero poi andare in Europa. Ma tutte le ambasciate europee ci hanno risposto che eravano fuori da una zona di pericolo, che qui in Georgia nessuno li avrebbe ammazzati o cacciati via, e quindi hanno detto loro di rimanere. Ma rimanere come? Non davano alcun aiuto! I fondi che la Chiesa usa per aiutare un po’ questa comunità vengono tutti dall’estero. La maggior parte dei soldi vengono dalla comunità caldea che ormai si è stabilita negli Stati Uniti: sono loro che danno un grande aiuto a questa comunità.
Proprio dagli Stati Uniti, ma anche da altre parti del mondo, arriveranno in tanti per questo incontro con il Papa: cosa rappresenta per voi questo momento?
È la prima volta nella storia, da quanto ci risulta, che un Papa entra in una chiesa caldea-cattolica. C’è tanta emozione, e anche tanto lavoro da fare. C’è poi il Sinodo con i patriarchi che arriveranno: saranno con noi quindici vescovi, sacerdoti, monache…
Un segno importante quindi il suo solo ingresso nella vostra comunità…
Sì, perché anche il Papa ha detto immediatamente che sarebbe venuto a visitare la comunità “anche se piccola” ha detto “sono sempre i miei figli”.-E questa è stata una gioia immensa per noi, e anche una cosa giusta: insomma, noi siamo cristiani – siamo cattolici – e rappresentiamo delle tradizioni molto antiche in Oriente. Abbiamo vissuto tutte le difficoltà delle persecuzioni, e abbiamo visto molto sangue e anche tante distruzioni. E quindi era anche giusto avere accanto il padre della nostra Chiesa: che viene a visitare la nostra comunità e a darci il coraggio, confermarci nella nostra fede.
Sarà un momento soprattutto di preghiera. In che modo pregherete?
Il Papa vuole ascoltare le preghiere di questa gente. Abbiamo dieci-dodici minuti per pregare con i Salmi, alcuni inni dei martiri del II, III, IV secolo e con le melodie antichissime, canti dalla profonda meditazione, fede e coraggio.
Padre Beniamino, le intenzioni profonde nei vostri cuori, di questa preghiera, quali sono?
Prima di tutto, vogliamo far sapere a tutto il mondo che tutte le persecuzioni e i disastri che accadono in Medio Oriente non ci cambiano, perché solo la bontà alla fine vincerà la violenza. E vogliamo anche attirare l’attenzione del Papa su tutti i caldei immigrati in questi ultimi anni, dalla prima guerra contro l’Iraq fino ad oggi: sono dispersi in tutta Europa – dalla Grecia fino al Nord Europa – e sono senza un pastore, un vescovo o una diocesi. Se avremo una chiesa caldea un po’ più forte in Europa, potremmo forse ancora per i prossimi 100-150 anni salvare queste tradizioni antichissime: pregheremo per questo. E poi, quando il Papa è con noi, ciò vuol dire che tutta la comunità cristiana - cattolica - del mondo è con noi. Ecco, vogliamo far capire anche questo alla gente: che siamo uniti con Roma, con tutta la comunità cristiana, e abbiamo bisogno del loro appoggio spirituale e del loro incoraggiamento.
L’Anno della Misericordia nella vostra comunità come lo state vivendo e che cosa sta significando per voi proprio la misericordia?
Praticamente lo abbiamo vissuto con i profughi in modo concreto. Tutto quello che avevamo lo abbiamo diviso con loro. Spesso abbiamo fatto delle preghiere per la pace e a volte abbiamo anche invitato dei musulmani che venivano dall’Iran per non far crescere un odio cieco contro una religione, perché questo non risolve assolutamente niente. Quello che ci unisce è molto, molto più grande di quello che semplicemente ci divide.