A motivo della costante sollecitudine per la concordanza tra i
Codici, mi sono reso conto di alcuni punti non in perfetta armonia tra
le norme del Codice di Diritto Canonico e quelle del Codice dei Canoni
delle Chiese Orientali.
I due Codici possiedono, da una parte, norme comuni, e, dall’altra,
peculiarità proprie, che li rendono vicendevolmente autonomi. È tuttavia
necessario che anche nelle norme peculiari vi sia sufficiente
concordanza. Infatti le discrepanze inciderebbero negativamente sulla
prassi pastorale, specialmente nei casi in cui devono essere regolati
rapporti tra soggetti appartenenti rispettivamente alla Chiesa latina e a
una Chiesa orientale.
Ciò si verifica in modo particolare ai nostri giorni, nei quali la
mobilità della popolazione ha determinato la presenza di un notevole
numero di fedeli orientali in territori latini. Questa nuova situazione
genera molteplici questioni pastorali e giuridiche, le quali richiedono
di essere risolte con norme appropriate. Occorre ricordare che i fedeli
orientali hanno l’obbligo di osservare il proprio rito ovunque essi si
trovino (cfr CCEO can. 40 § 3; Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Orientalium Ecclesiarum,
6) e, di conseguenza, l’autorità ecclesiastica competente ha la grave
responsabilità di offrire loro i mezzi adeguati perché possano adempiere
tale obbligo (cfr CCEO can. 193 § 1; CIC can. 383 §§ 1-2; Esort. ap.
postsin. Pastores gregis, 72). L’armonizzazione normativa è
certamente uno dei mezzi che gioverà a promuovere lo sviluppo dei
venerabili riti orientali (cfr CCEO can. 39), permettendo alle Chiese sui iuris di agire pastoralmente nel modo più efficace.
Bisogna tuttavia tenere presente la necessità di riconoscere le
particolarità disciplinari del contesto territoriale in cui avvengono i
rapporti inter-ecclesiali. Nell’Occidente, prevalentemente latino,
occorre trovare un giusto equilibrio tra la tutela del Diritto proprio
della minoranza orientale e il rispetto della storica tradizione
canonica della maggioranza latina, in modo da evitare indebite
interferenze e conflitti e promuovere la proficua collaborazione tra
tutte le comunità cattoliche presenti in un dato territorio.
Un ulteriore motivo per integrare la normativa del CIC con esplicite
disposizioni parallele a quelle esistenti nel CCEO è l’esigenza di
meglio determinare i rapporti con i fedeli appartenenti alle Chiese
orientali non cattoliche, ora presenti in numero più rilevante nei
territori latini.
Si deve infine rilevare che anche la dottrina canonica ha fatto
notare alcune discrepanze tra i due Codici, indicando, con sostanziale
convergenza, quali fossero i punti problematici e come renderli
concordi.
L’obiettivo delle norme introdotte con il presente Motu Proprio è quello di raggiungere una disciplina concorde che offra certezza nel modo di agire pastorale nei casi concreti.
Il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, per mezzo di una
Commissione di esperti in Diritto canonico orientale e latino, ha
identificato le questioni principalmente bisognose di adeguamento
normativo, elaborando un testo inviato a una trentina di Consultori ed
esperti in tutto il mondo, nonché alle Autorità degli Ordinariati latini
per gli orientali. Dopo il vaglio delle osservazioni pervenute, la
Sessione Plenaria del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi ha
approvato un nuovo testo.
Tutto ciò considerato, dispongo ora quanto segue:
Art. 1. Il can. 111 CIC è integralmente sostituito dal testo seguente, che include un nuovo paragrafo e modifica alcune espressioni:
§1 Con la ricezione del battesimo è
ascritto alla Chiesa latina il figlio dei genitori, che ad essa
appartengono o, se uno dei due non appartiene ad essa, ambedue i
genitori di comune accordo abbiano optato che la prole fosse battezzata
nella Chiesa latina; che, se manca il comune accordo, è ascritto alla
Chiesa sui iuris, cui appartiene il padre.
§2 Se poi soltanto uno dei genitori è cattolico, è ascritto alla Chiesa alla quale il genitore cattolico appartiene.
§3 Qualsiasi battezzando che abbia
compiuto quattordici anni di età, può liberamente scegliere di essere
battezzato nella Chiesa latina o in un'altra Chiesa sui iuris; nel qual caso, egli appartiene a quella Chiesa che avrà scelto.
Art. 2. Il can. 112 CIC è integralmente sostituito dal testo seguente, che include un nuovo paragrafo e modifica alcune espressioni:
§l. Dopo aver ricevuto il battesimo, sono ascritti a un'altra Chiesa sui iuris:
1° chi ne abbia ottenuto la licenza da parte della Sede Apostolica;
2° il coniuge che, nel celebrare il matrimonio o durante il medesimo, abbia dichiarato di voler passare alla Chiesa sui iuris dell'altro coniuge; sciolto però il matrimonio, può ritornare liberamente alla Chiesa latina;
3° i figli di quelli, di cui nei nn. 1 e
2, prima del compimento dei quattordici anni di età e parimenti, nel
matrimonio misto, i figli della parte cattolica, che sia passata
legittimamente a un'altra Chiesa sui iuris; raggiunta però questa età, i medesimi possono ritornare alla Chiesa latina.
§2. L'usanza, anche se a lungo protratta, di ricevere i sacramenti secondo il rito di un’altra Chiesa sui iuris, non comporta l'ascrizione alla medesima Chiesa.
§3. Ogni passaggio ad altra Chiesa sui
iuris ha valore dal momento della dichiarazione fatta alla presenza
dell'Ordinario del luogo della medesima Chiesa o del parroco proprio
oppure del sacerdote delegato da uno di essi e di due testimoni, a meno
che un rescritto della Sede Apostolica non disponga diversamente; e si
annoti nel libro dei battezzati.
Art. 3. Il paragrafo secondo del can. 535 CIC è integralmente sostituito dal testo seguente:
§2. Nel libro dei battezzati si annoti anche l'ascrizione a una Chiesa sui iuris o il passaggio ad altra Chiesa, nonché la confermazione e tutto ciò
che riguarda lo stato canonico dei fedeli, in rapporto al matrimonio,
salvo il disposto del can. 1133, all'adozione, all'ordine sacro e alla
professione perpetua emessa in un istituto religioso; tali annotazioni
vengano sempre riportate nei certificati di battesimo.
Art. 4. Il secondo capoverso del primo paragrafo del can. 868 CIC è integralmente sostituito dal testo seguente:
§1. 2° che vi sia la fondata speranza che sarà educato nella religione cattolica fermo restando il §3;
se tale speranza manca del tutto, il battesimo venga differito, secondo
le disposizioni del diritto particolare, dandone ragione ai genitori.
Art. 5. Il can. 868 CIC avrà d’ora in poi un terzo paragrafo col testo seguente:
§3. Il bambino di cristiani non
cattolici è lecitamente battezzato, se i genitori o almeno uno di essi o
colui che tiene legittimamente il loro posto lo chiedono e se agli
stessi sia impossibile, fisicamente o moralmente, accedere al proprio
ministro.
Art. 6. Il can. 1108 CIC avrà d’ora in poi un terzo paragrafo col testo seguente:
§3. Solo il sacerdote assiste
validamente al matrimonio tra due parti orientali o tra una parte latina
e una parte orientale cattolica o non cattolica.
Art. 7. Il can. 1109 CIC è integralmente sostituito dal testo seguente:
L'Ordinario del luogo e il parroco,
eccetto che con sentenza o decreto siano stati scomunicati o interdetti o
sospesi dall'ufficio oppure dichiarati tali, in forza dell'ufficio
assistono validamente, entro i confini del proprio territorio, ai
matrimoni non solo dei sudditi, ma anche dei non sudditi, purché almeno una delle due parti sia ascritta alla Chiesa latina.
Art. 8. Il primo paragrafo del can. 1111 CIC è integralmente sostituito dal testo seguente:
§1. L'Ordinario del luogo e il parroco,
fintanto che esercitano validamente l'ufficio, possono delegare a
sacerdoti e diaconi la facoltà anche generale di assistere ai matrimoni
entro i confini del proprio territorio, fermo restando quanto disposto dal can. 1108 § 3.
Art. 9. Il primo paragrafo del can. 1112 CIC è integralmente sostituito dal testo seguente:
§1. Dove mancano sacerdoti e diaconi, il
Vescovo diocesano, previo il voto favorevole della Conferenza Episcopale
e ottenuta la licenza dalla Santa Sede, può delegare dei laici perché
assistano ai matrimoni, fermo restando quanto disposto dal can. 1108 § 3.
Art. 10. Il can. 1116 CIC avrà d’ora in poi un terzo paragrafo col testo seguente:
§3. In aggiunta a quanto stabilito dal §
1, nn. 1 e 2, l'Ordinario del luogo può conferire a qualunque sacerdote
cattolico la facoltà di benedire il matrimonio dei fedeli cristiani
delle Chiese orientali che non hanno piena comunione con la Chiesa
cattolica se spontaneamente lo chiedano, e purché nulla osti alla valida
e lecita celebrazione del matrimonio. Il medesimo sacerdote, tuttavia
con la necessaria prudenza, informi della cosa l'autorità competente
della Chiesa non cattolica interessata.
Art. 11. Il primo paragrafo del can. 1127 CIC è integralmente sostituito dal testo seguente:
§1. Relativamente alla forma da usare nel
matrimonio misto, si osservino le disposizioni del can. 1108; se
tuttavia la parte cattolica contrae matrimonio con una parte non
cattolica di rito orientale, l'osservanza della forma canonica della
celebrazione è necessaria solo per la liceità; per la validità, invece,
si richiede l'intervento di un sacerdote, salvo quant'altro è da osservarsi a norma del diritto.
Quanto deliberato con questa Lettera Apostolica in forma di Motu
Proprio, ordino che abbia fermo e stabile vigore, nonostante qualsiasi
cosa contraria anche se degna di speciale menzione, e che sia promulgato
tramite pubblicazione su L’Osservatore Romano e quindi pubblicato nel
commentario ufficiale degli Acta Apostolicae Sedis.
Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 31 maggio dell’anno 2016, quarto del Nostro Pontificato.
FRANCISCUS PP.