By SIR, 27 settembre 2010
a cura di Daniele Rocchi
Il numero dei cristiani iracheni si è dimezzato dal 2003, anno dell'invasione americana, ad oggi, passando da più di un milione ai circa 500 mila attuali. Lo ha affermato il responsabile governativo degli affari religiosi dei non musulmani, Abdullah Alnaufali, nel corso di una recente visita alla città santa sciita di Najaf. Dichiarazioni che non lasciano dubbi sull'entità del dramma che stanno vivendo i cristiani iracheni, come anche quelli di altri Paesi, che in numero sempre maggiore decidono di lasciare le loro case in cerca di un futuro migliore, lontano dalle loro terre d'origine.
"Essere o non essere". Il futuro dei cristiani in Medio Oriente sarà uno degli argomenti cruciali che il prossimo Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente (Vaticano, 10-24 ottobre) sarà chiamato a discutere, come spiega al SIR l'arcivescovo di Kirkuk, mons. Louis Sako. "L'assemblea sarà un'opportunità per rivedere l'intera situazione dei cristiani della regione e, in particolare, il loro status politico". Sullo sfondo, infatti, si verificano fatti come la crescita dell'Islam radicale e politico, il mancato rispetto delle minoranze, la crisi socio-economica, una stabilizzazione dell'area che non arriva, fatti che non fanno ben sperare come conferma al sito Ankawa.com, Joe Obayada, membro dell'esecutivo di "Icin" ("Iraqi Christians in need"), "charity" inglese che si occupa di rifugiati cristiani. "La maggioranza dei cristiani - dice - ha lasciato il Paese a causa delle persecuzioni perpetrate nei loro confronti da estremisti. Ora che gli Usa hanno lasciato l'Iraq i cristiani sono diventati un bersaglio più di prima". "Essere o non essere o forse, saremo o non saremo?", recupera una citazione shakespeariana, mons. Sako, per descrivere lo stato d'animo dei cristiani mediorientali. "L'emigrazione dei cristiani da queste terre è causata non solo dall'estremismo musulmano o dall'Islam politico ma anche dalla divisione dei cristiani, da una debole coscienza della testimonianza cristiana, da un'immagine falsata dell'Occidente, dalla paura per i diritti umani, dalla preoccupazione per l'istruzione dei figli". "Sono tante ragioni che richiedono un lavoro serio e comune anche da parte delle Chiese se si vuole continuare a restare in queste terre", sottolinea l'arcivescovo caldeo pensando al Sinodo.
Una percezione sbagliata. Il futuro dei cristiani passa necessariamente attraverso il dialogo con l'Islam e con le altre denominazioni cristiane, come dimostrato chiaramente dalla vicenda del pastore americano Terry Jones e dalla sua intenzione, rientrata, di bruciare il Corano. Per mons. Sako, "è stata una provocazione che ha dimostrato quale percezione hanno le masse musulmane dei cristiani. Le folle islamiche non distinguono gli atti individuali, per loro dire una chiesa è come dire la Chiesa o tutte le Chiese. Ne deriva l'equazione secondo la quale 'i cristiani sono contro i musulmani', ma non è così. Da parte nostra abbiamo cercato di far capire che si trattava del gesto di un singolo e non delle Chiese e dei cristiani. Qualcuno ha capito ma molti ci definiscono infedeli. Per questo bisogna insistere nel dialogo e nella conoscenza reciproca". Stesso discorso per il divieto introdotto in Francia del burqa. "Questa legge è vista come un attacco all'Islam, una discriminazione, senza sapere che la Costituzione francese è di stampo laico e che il divieto di simboli religiosi in spazi pubblici riguarda anche i simboli cristiani. Credo che i musulmani debbano comprendere che il radicalismo è un pericolo pure per loro". Altro problema che le minoranze cristiane si trovano ad affrontare nella Regione "è la richiesta da parte di frange islamiche radicali di introdurre la legge islamica, la Sharia". Questa, ribadisce mons. Sako, "non può essere imposta agli altri cittadini. Noi cristiani rispettiamo la religione islamica ma vogliamo rispetto anche per la nostra. Non si possono imporre il Ramadan, o altri costumi come il velo, agli altri".
La risposta cristiana. Davanti ad una situazione simile la risposta dei cristiani e delle Chiese deve essere unitaria, quindi, per l'arcivescovo di Kirkuk, è fondamentale il dialogo ecumenico: "L'unità delle Chiese, altro tema centrale del Sinodo, è possibile ma non dobbiamo agire da soli. Serve fare riforme, riorganizzare le strutture ecclesiastiche, le diocesi, la liturgia, migliorare la formazione e la catechesi. Con l'Islam, poi, bisogna essere sinceri, parlare in maniera diretta, dialogare con loro anche su temi sensibili come il ruolo dell'autorità religiosa e politica". Un'idea condivisa anche dall'arcivescovo cattolico melchita di Haifa, mons. Elias Chacour, che dal Sinodo si attende "una migliore comprensione della presenza cristiana in questa area tribolata, una maggiore attenzione alla presenza umana e non solo a quella dei santuari, e una definizione del ruolo dei cristiani all'interno della maggioranza ebraica e musulmana".
a cura di Daniele Rocchi
Il numero dei cristiani iracheni si è dimezzato dal 2003, anno dell'invasione americana, ad oggi, passando da più di un milione ai circa 500 mila attuali. Lo ha affermato il responsabile governativo degli affari religiosi dei non musulmani, Abdullah Alnaufali, nel corso di una recente visita alla città santa sciita di Najaf. Dichiarazioni che non lasciano dubbi sull'entità del dramma che stanno vivendo i cristiani iracheni, come anche quelli di altri Paesi, che in numero sempre maggiore decidono di lasciare le loro case in cerca di un futuro migliore, lontano dalle loro terre d'origine.
"Essere o non essere". Il futuro dei cristiani in Medio Oriente sarà uno degli argomenti cruciali che il prossimo Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente (Vaticano, 10-24 ottobre) sarà chiamato a discutere, come spiega al SIR l'arcivescovo di Kirkuk, mons. Louis Sako. "L'assemblea sarà un'opportunità per rivedere l'intera situazione dei cristiani della regione e, in particolare, il loro status politico". Sullo sfondo, infatti, si verificano fatti come la crescita dell'Islam radicale e politico, il mancato rispetto delle minoranze, la crisi socio-economica, una stabilizzazione dell'area che non arriva, fatti che non fanno ben sperare come conferma al sito Ankawa.com, Joe Obayada, membro dell'esecutivo di "Icin" ("Iraqi Christians in need"), "charity" inglese che si occupa di rifugiati cristiani. "La maggioranza dei cristiani - dice - ha lasciato il Paese a causa delle persecuzioni perpetrate nei loro confronti da estremisti. Ora che gli Usa hanno lasciato l'Iraq i cristiani sono diventati un bersaglio più di prima". "Essere o non essere o forse, saremo o non saremo?", recupera una citazione shakespeariana, mons. Sako, per descrivere lo stato d'animo dei cristiani mediorientali. "L'emigrazione dei cristiani da queste terre è causata non solo dall'estremismo musulmano o dall'Islam politico ma anche dalla divisione dei cristiani, da una debole coscienza della testimonianza cristiana, da un'immagine falsata dell'Occidente, dalla paura per i diritti umani, dalla preoccupazione per l'istruzione dei figli". "Sono tante ragioni che richiedono un lavoro serio e comune anche da parte delle Chiese se si vuole continuare a restare in queste terre", sottolinea l'arcivescovo caldeo pensando al Sinodo.
Una percezione sbagliata. Il futuro dei cristiani passa necessariamente attraverso il dialogo con l'Islam e con le altre denominazioni cristiane, come dimostrato chiaramente dalla vicenda del pastore americano Terry Jones e dalla sua intenzione, rientrata, di bruciare il Corano. Per mons. Sako, "è stata una provocazione che ha dimostrato quale percezione hanno le masse musulmane dei cristiani. Le folle islamiche non distinguono gli atti individuali, per loro dire una chiesa è come dire la Chiesa o tutte le Chiese. Ne deriva l'equazione secondo la quale 'i cristiani sono contro i musulmani', ma non è così. Da parte nostra abbiamo cercato di far capire che si trattava del gesto di un singolo e non delle Chiese e dei cristiani. Qualcuno ha capito ma molti ci definiscono infedeli. Per questo bisogna insistere nel dialogo e nella conoscenza reciproca". Stesso discorso per il divieto introdotto in Francia del burqa. "Questa legge è vista come un attacco all'Islam, una discriminazione, senza sapere che la Costituzione francese è di stampo laico e che il divieto di simboli religiosi in spazi pubblici riguarda anche i simboli cristiani. Credo che i musulmani debbano comprendere che il radicalismo è un pericolo pure per loro". Altro problema che le minoranze cristiane si trovano ad affrontare nella Regione "è la richiesta da parte di frange islamiche radicali di introdurre la legge islamica, la Sharia". Questa, ribadisce mons. Sako, "non può essere imposta agli altri cittadini. Noi cristiani rispettiamo la religione islamica ma vogliamo rispetto anche per la nostra. Non si possono imporre il Ramadan, o altri costumi come il velo, agli altri".
La risposta cristiana. Davanti ad una situazione simile la risposta dei cristiani e delle Chiese deve essere unitaria, quindi, per l'arcivescovo di Kirkuk, è fondamentale il dialogo ecumenico: "L'unità delle Chiese, altro tema centrale del Sinodo, è possibile ma non dobbiamo agire da soli. Serve fare riforme, riorganizzare le strutture ecclesiastiche, le diocesi, la liturgia, migliorare la formazione e la catechesi. Con l'Islam, poi, bisogna essere sinceri, parlare in maniera diretta, dialogare con loro anche su temi sensibili come il ruolo dell'autorità religiosa e politica". Un'idea condivisa anche dall'arcivescovo cattolico melchita di Haifa, mons. Elias Chacour, che dal Sinodo si attende "una migliore comprensione della presenza cristiana in questa area tribolata, una maggiore attenzione alla presenza umana e non solo a quella dei santuari, e una definizione del ruolo dei cristiani all'interno della maggioranza ebraica e musulmana".