Si è tenuta stamani a Parigi una Conferenza stampa organizzata dall’Episcopato francese e da L’Oeuvre d’Orient sulle sfide e le attese delle comunità cristiane orientali in vista del prossimo Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente, che inizierà in Vaticano il prossimo 10 ottobre. All’incontro è intervenuto anche il cardinale arcivescovo di Parigi André Vingt-Trois, presidente della Conferenza episcopale francese e ordinario degli Orientali cattolici in Francia.
Ma quale contributo possono dare i cristiani francesi alle comunità ecclesiali orientali? Helene Destombes lo ha chiesto a padre Pascal Gollnisch, direttore generale de L’Oeuvre d’Orient:
R. Si tratta anzitutto di essere eco di ciò che vivono: quindi una vita di Chiesa, una missione che portano avanti, la possibilità di operare nello stesso tempo a livello di evangelizzazione e di promozione sociale. C’è una grande tradizione francese - come si sa - per le numerose scuole presenti in Medio Oriente, che hanno formato l’élite del Medio Oriente e non soltanto cristiana, ma anche musulmana. Di conseguenza c’è una forte tradizione culturale d’influenza francese e soprattutto della Chiesa francese in questa regione. Noi facciamo sentire la voce dei cristiani del Medio Oriente ed è per noi importante seguirli, incontrarli ed ascoltarli. Credo che si siano creati dei forti legami di amicizia e di fraternità tra di noi, che vanno al di là dell’aiuto materiale che possiamo portare loro. Questo è quello che maggiormente si aspettano da noi.
D. - Quali sono oggi le sfide e le attese dei cristiani d’Oriente?
R. C’è anzitutto un’attesa di poter essere dei cittadini integrati e riconosciuti nei Paesi nei quali vivono. In questo senso noi siamo disposti ad aiutarli, siamo al loro fianco. Si tratta, però, di un’azione lunga e che deve essere perseverante e costante: non si tratta evidentemente di un’azione diretta contro qualcuno, ma soltanto di un’azione a sostegno dei cristiani che vivono in Medio Oriente, perché possano avere effettivamente la piena capacità di esercitare la loro cittadinanza. Noi siamo coscienti di aiutare questi Paesi nella loro integralità: in un certo Paese in Medio Oriente in cui vive una minoranza cristiana, ci sforziamo di aiutare questa minoranza cristiana a vivere pienamente la loro appartenenza, la loro cittadinanza, cercando però di aiutare questo Paese nella sua totalità. C’è, quindi, anzitutto questa voglia di appartenenza, di piena cittadinanza. C’è poi una prospettiva evidentemente professionale: è necessario che i cristiani in Medio Oriente abbiano degli sbocchi professionali, che gli permettano di affrontare serenamente l’avvenire. E’ anche necessario permettergli di professare la loro religione in modo libero, in modo sereno, senza vergogna e senza paura. Certo, non si vergognano della loro religione, ma non devono aver paura a causa della loro religione. Gli deve, quindi, essere permesso di poterla vivere senza alcuna preoccupazione, senza alcun timore. L’auspicio è che i cristiani possano avere una speranza ragionevole di restare nei loro Paesi e questo in ragione delle difficoltà che, a volte, possono incontrare nella loro vita quotidiana e quindi di un qualche tipo di esodo che si può verificare in un Paese piuttosto che in un altro. Il rischio è di pensare queste Chiese soltanto come un ricordo del passato: ma non rappresentano un qualcosa del passato, sono chiese rivolte al futuro, proprio perché caratterizzate da grandi speranze. Noi confidiamo nel fatto che riusciranno, negli anni che verranno, a vivere la loro missione.