Le difficoltà che da anni straziano l’Iraq. L’incertezza in un futuro che non tutti sono convinti la repubblica irachena sappia e possa gestire dopo il ritiro dalle strade delle truppe USA nelle gigantesche basi sparse per il paese. Lo stallo politico che ancora, a cinque mesi dalle elezioni, impedisce al paese di avere un governo.
La violenza cha ancora imperversa dal nord al sud.
Queste e molte altre potrebbero essere le ragioni della perdita di ogni speranza. Nonostante tutto però essa non muore. Certo, procede a piccoli passi, ma su un sentiero che ha una sola meta: la rinascita del paese.
A questa speranza di rinascita contribuisce anche la comunità irachena cristiana, pur con i limiti imposti dal suo essere minuscola minoranza in un paese che sempre più sembra virare verso l’applicazione più rigida delle regole di un Islam intollerante verso il diverso da sé e che, seppur abbracciato da una minoranza. ha trovato nella violenza il modo per imporsi alla maggioranza che invece lo tollera.
In genere quando si scrive degli iracheni cristiani si citano Baghdad, Mosul, Erbil o Kirkuk, i centri dove più cristiani vivono . Ci sono però dei luoghi che raramente sono stati citati in relazione alla presenza cristiana. Uno di essi è la città di Suleymania, capitale dell’omonimo governatorato nel Kurdistan iracheno città natale del l’attuale presidente iracheno, Jalal Talabani.
Con circa 800.000 abitanti non si può dire sia una piccola città ma certo piccola è la sua comunità cristiana come ha confermato a Baghdadhope Mons. Louis Sako, Arcivescovo caldeo di Kirkuk, che parla di circa 100 famiglie originarie della città e altre 120 lì trasferitesi da Baghdad e Mosul che vivono in grandi difficoltà e che la diocesi di Kirkuk cerca in ogni modo di aiutare.
La comunità cristiana caldea di Suleymania, come quella di Erbil, ha fatto parte della arcidiocesi di Kirkuk fino al 1968 quando il sinodo caldeo creò la diocesi di Erbil affidandola a Mons. Stephan Babaqa (1919– +2007) e trasformò Suleymania, che allora contava circa 80 famiglie caldee, in vicariato patriarcale affidato ai monaci caldei. Nel 2009 la città fu di nuovo legata all’arcidiocesi di Kirkuk per un periodo sperimentale di due anni e nello stesso anno il monaco cui era affidata, Padre Dinkha Rassam, tornò al suo monastero per essere sostituito per un anno da un sacerdote di Kirkuk.
Ora questo lungo periodo di cambiamenti e di relativo isolamento della comunità sembra destinato a finire.
Padre Ayman Aziz Hirmiz, ordinato sacerdote a Kirkuk lo scorso 16 luglio è definitivamente subentrato al suo predecessore come parroco caldeo di Suleymania. Nello stesso mese le famiglie hanno incontrato Mons. Sako durante la sua visita pastorale, gli adulti hanno potuto frequentare dei corsi sulla dottrina cristiana e sui sacramenti e la casa parrocchiale è stata trasformata in un centro per l’accoglienza dei giovani e per i ritiri spirituali che ha già ospitato gruppi provenienti da Erbil, Mosul e Kirkuk.
Anche a Suleymania quindi la storica presenza della comunità cristiana si va rafforzando grazie agli sforzi della chiesa di essere sempre presente dove c’è il bisogno, materiale e spirituale, e grazie anche, come sottolinea Mons. Sako, ad una comunità musulmana “molto aperta”.
Un altro segno di speranza.