By Un Ponte per...
Gesù Cristo, a braccia aperte, accoglie la folla che avanza verso Piazza Tahrir da Saadoun Street, un’importante arteria che attraversa Baghdad. “Issa, Cristo vivente, tu che fai miracoli, liberaci dalla miseria, dalla corruzione e dal male”, leggiamo su un cartello firmato “i vostri fratelli cristiani”. Questa sorprendente partecipazione è volontariamente sottolineata dai manifestanti iracheni che dal 25 ottobre occupano il centro della capitale. A pochi metri di distanza, un manifesto appeso ad una tenda proclama ironicamente: “Offriamo le nostre condoglianze al governo per la morte del comunitarismo, fratello di Adel Abdel-Mehdi [il primo ministro iracheno], del parlamento e dei partiti.
Gesù Cristo, a braccia aperte, accoglie la folla che avanza verso Piazza Tahrir da Saadoun Street, un’importante arteria che attraversa Baghdad. “Issa, Cristo vivente, tu che fai miracoli, liberaci dalla miseria, dalla corruzione e dal male”, leggiamo su un cartello firmato “i vostri fratelli cristiani”. Questa sorprendente partecipazione è volontariamente sottolineata dai manifestanti iracheni che dal 25 ottobre occupano il centro della capitale. A pochi metri di distanza, un manifesto appeso ad una tenda proclama ironicamente: “Offriamo le nostre condoglianze al governo per la morte del comunitarismo, fratello di Adel Abdel-Mehdi [il primo ministro iracheno], del parlamento e dei partiti.
La corruzione e il comunitarismo che divorano lo Stato dal 2003 sono
stati i primi ad essere banditi dallo spazio che i manifestanti hanno
sequestrato per condannare l’Iraq che rinnegano, e per disegnare il
paese che vorrebbero. “Qui vedrete tutto ciò che l’Iraq non è e tutto
ciò che vorremmo che fosse. Un paese vero, e non una proprietà di ladri e
di assassini”, dice uno studente di economia, riferendosi alla
repressione mortale che ha colpito i manifestanti. Da circa due
settimane il giovane vive giorno e notte in una delle centinaia di tende
allestite nel territorio controllato dalla protesta.
Tende multicolore
Questo campo gigante, nel cuore di Baghdad, è stato sottratto al
traffico e al controllo della polizia. Dalla grande piazza Tahrir, che
non hai mai portato meglio il proprio nome: “liberazione”, straborda nei
viali, nei giardini e nei cunicoli circostanti con una posizione e
un’area paragonabili a quella compresa tra Place de la République e
Place de la Bastille a Parigi. Migliaia di manifestanti occupano
permanentemente i locali e decine di migliaia di persone, impegnate o
che sostengono il movimento, lo attraversano ogni giorno.
All’inizio della sua quarta settimana, la protesta in Iraq continua a
guadagnare terreno, sostegno e determinazione. Lo sciopero generale di
domenica è stato ampiamente sostenuto da parte di funzionari pubblici,
studenti, insegnanti e liberi professionisti, che si sono uniti alle
file dei manifestanti a Baghdad come anche in altre città del sud del
paese. I manifestanti della capitale hanno addirittura esteso il
territorio che controllavano dall’inizio del movimento, conquistando
l’accesso ai due ponti che attraversano il fiume Tigri e che conducono
al lato della città dove si trovano gli edifici governativi. Occupano
anche un edificio che si affaccia su uno di questi ponti. “I vostri
cecchini e le vostre bombe non fanno che rafforzare la nostra volontà”,
hanno scandito i manifestanti questa domenica: il giorno prima, infatti,
un ordigno esplosivo posto sotto una macchina in piazza Tahrir aveva
ucciso quattro manifestanti, portando il numero di morti a quasi 330 dal
1° ottobre.
L’Iraq, con tutte le sue regioni, le sue generazioni, le sue
professioni e le sue ambizioni, è raccolto nel campo di Piazza Tahrir,
un vero e proprio villaggio che sa di “Festa dell’Umanità”. In una
foresta di bandiere irachene, centinaia di coloratissimi stand e tende
sono occupati da studenti di ogni facoltà di Baghdad, sindacati
professionali di insegnanti, farmacisti, avvocati, scrittori e artisti.
Tutti loro hanno scritto l’elenco delle loro richieste, in belle lettere
scritte a mano, come è appropriato nel paese che ha dato i natali al
campione storico di calligrafia araba. Bloccati ai lati delle loro
tende, questi programmi condividono diversi punti essenziali: dimissioni
del governo (“ladri”), formazione di un’autorità di transizione,
riforma della Costituzione, elezioni libere sotto osservazione
internazionale.
“Che organizzazione!”
Ma molti di questi stand sono anche lì per offrire un servizio o
realizzare un compito preciso. Il sindacato degli avvocati mantiene una
hotline per ricevere le denunce delle vittime della repressione e
fornire consulenza legale. L’Unione degli scrittori organizza recital di
poesia e spettacoli teatrali. Punti di ristoro per dimostranti e
visitatori servono gratuitamente panini, insalate, succhi di frutta e
pasticceria, grazie alle donazioni dei negozianti e dei ristoranti. Le
madri cucinano e portano enormi pentole di riso e verdure per “nutrire
questi giovani coraggiosi”, come ha detto una di loro quando è arrivata
al campo. Vari centri di pronto soccorso sono stati allestiti da
studenti di medicina o dall’Unione dei medici, con letti pieghevoli,
attrezzature per il pronto soccorso, medicinali, tutti forniti da
farmacie e rivenditori specializzati. Quando i regolari colpi di potenti
gas lacrimogeni invadono Piazza Tahrir, dei volontari immediatamente
distribuiscono maschere antinquinamento e versano soluzione salina sopra
gli occhi irritati dei dimostranti.
“Che organizzazione!” esclama un insegnante di passaggio in piazza. I
nostri governanti incapaci dovrebbero venire qui per imparare la
lezione: con tutti i mezzi a loro disposizione, non sono mai riusciti a
fornire servizi di base nel paese….”. Questo è il messaggio che i
coordinatori della protesta mirano a trasmettere con questo piccolo
modello di Iraq che hanno creato, anticipando tutte le sue esigenze. La
raccolta dei rifiuti e la pulizia delle strade sono quindi molto meglio
effettuate sul campo da squadre di giovani donne e uomini, armati di
scope e pale, piuttosto che dai dipendenti comunali per le strade di
Baghdad. Ai tuk-tuk, generalmente dipinti di rosso, che consegnano cibo e
merci o trasportano feriti e malati, il traffico è sempre assicurato,
anche in caso di emergenza da gruppi di volontari che tendono delle
corde per proteggere i passanti e facendo spazio ai piccoli veicoli. La
mobilitazione delle risorse è rapida ed efficace quando la tensione
aumenta e le forze repressive sparano granate di gas lacrimogeni
nell’area controllata dalla protesta. È stato inoltre istituito un
gruppo di intervento anti-fumogeni per intercettare i proiettili prima
che esplodano.
“La nostra rivolta li riguarda”
Occupato da dimostranti, l’edificio di dodici piani in disuso che
hanno ribattezzato ”ristorante turco” sembra una cittadella. Centinaia
di persone si sono stabilite in questo edificio, affacciato sul ponte di
Al-Jumhuriya (“Repubblica”), che separa Piazza Tahrir dalla “zona
verde”, la quale ospita le principali sedi governative. Recentemente
soprannominato “Jabal Ohod”, in riferimento ad una battaglia del profeta
Maometto contro l’esercito della Mecca, che combatteva i primi
musulmani, questo edificio è diventato una roccaforte simbolica per la
resistenza, anche al di fuori dei confini dell’Iraq.
Negli ultimi giorni, il movimento è stato incoraggiato da diversi
fattori. In primo luogo, il sostegno decisivo arrivato venerdì da parte
del Marjaya di Najaf, la massima autorità sciita la cui influenza è
determinante e il quale ha chiesto espressamente al governo di ascoltare
il popolo. Poi la moltiplicazione degli appelli volti a porre fine alla
violenza e a incoraggiare delle riforme radicali, in particolare da
parte di Washington. Anche le manifestazioni scoppiate durante questo
fine settimana in Iran a causa dell’aumento del prezzo del carburante
hanno confortato gli iracheni nel loro rifiuto di ogni influenza o
interferenza da parte grande vicino. “In quarant’anni, non sono riusciti
a contaminarci con la loro rivoluzione. E ora, in meno di quaranta
giorni, la nostra rivolta li ha raggiunti”, ha detto un attivista
iracheno sabato sera, guardando sul suo telefono le immagini delle
manifestazioni di Chiraz.
“Vogliamo un paese” è lo slogan unificante dei manifestanti iracheni e
di tutti coloro che vengono a sostenerli e applaudirli. La settimana
scorsa centinaia di migliaia di persone hanno risposto all’appello per
un “Venerdì della Resistenza” recandosi con le loro famiglie in piazza
Tahrir, in un’atmosfera sia festosa che combattiva. “Perché amiamo
l’Iraq”, cantavano con le loro semplici parole due sorelle di 10 e 12
anni mentre trascinavano il padre e le loro bandiere verso il cuore
della manifestazione. La sera prima, si stimava che quasi un milione di
loro celebravano la vittoria dell’Iraq sull’Iran in una partita di
qualificazione per la Coppa del Mondo di calcio. “Molto più di una
partita vinta, è una vittoria nazionale all’orizzonte”, ha commentato il
commentatore della stazione radio locale con sede a Tahrir, sotto il
fruscio degli applausi e i fuochi d’artificio , che per quella notte
hanno coperto il suono delle esplosioni.
Traduzione a cura di Ayoub Lahouioui/UPP
Tratto da Liberation del 18/11/2019