By Mondo e Missione
Dalle proteste in corso uscirà davvero un Iraq libero da settarismi e corruzione, come lo vorrebbero i giovani scesi in piazza? O sarà solo l’ennesimo bagno di sangue? La posta in gioco è alta. Ne parleremo giovedì al Pime di Milano insieme al ricercatore Andrea Plebani
Dalle piazze traboccanti di giovani manifestanti, a Baghdad come a Bassora e a Nasiriyah, uscirà davvero un nuovo Iraq, finalmente libero da settarismi e corruzione, o sarà solo l’ennesimo, tragico, bagno di sangue? È la domanda che assilla chi ha a cuore il tormentato Paese mediorientale, che 16 anni dopo l’intervento americano e la destituzione di Saddam Hussein sta vivendo un momento di rivolgimento cruciale.
Dalle proteste in corso uscirà davvero un Iraq libero da settarismi e corruzione, come lo vorrebbero i giovani scesi in piazza? O sarà solo l’ennesimo bagno di sangue? La posta in gioco è alta. Ne parleremo giovedì al Pime di Milano insieme al ricercatore Andrea Plebani
Dalle piazze traboccanti di giovani manifestanti, a Baghdad come a Bassora e a Nasiriyah, uscirà davvero un nuovo Iraq, finalmente libero da settarismi e corruzione, o sarà solo l’ennesimo, tragico, bagno di sangue? È la domanda che assilla chi ha a cuore il tormentato Paese mediorientale, che 16 anni dopo l’intervento americano e la destituzione di Saddam Hussein sta vivendo un momento di rivolgimento cruciale.
Era stata l’esasperazione per la cronica mancanza di servizi, la
povertà e l’assenza di prospettive lavorative, in un contesto governato
da una politica clientelare e inefficiente, a spingere per le strade
all’inizio di ottobre migliaia di cittadini nella capitale e nel Sud del
Paese. Ma in un Paese abituato alle proteste popolari (frequenti, negli
ultimi anni, nella città petrolifera di Bassora), questa volta la
dimensione delle agitazioni si è amplificata e lo scenario è rapidamente
cambiato. Alla risposta violenta delle forze dell’ordine – i morti sono già arrivati a 320, con 15mila feriti
– non è infatti seguito un ripiegamento dei giovani, le cui
rivendicazioni si sono anzi moltiplicate, fino a includere modifiche
costituzionali e la sostituzione di un’intera classe dirigente,
giudicata non solo corrotta ma anche asservita a interessi di potenze
esterne, a cominciare dall’ingombrante vicino iraniano.
Tutto il sistema politico che governa oggi l’Iraq, in effetti, è
pesantemente condizionato dal gigante sciita (la stessa confessione del
60% degli iracheni), e il fatto che a contestarlo siano oggi in prima
fila gli stessi cittadini sciiti rappresenta uno dei fattori chiave
dell’attuale rivolta. Questa nuova generazione di giovani, di cui molti
erano bambini quando Saddam Hussein fu spodestato, sta infatti portando
avanti un modello inedito, caratterizzato da un nazionalismo che per la prima volta cerca di mettere da parte il settarismo di
cui sono tradizionalmente intrisi i rapporti sociali e politici in
Iraq. Questi ragazzi – e ragazze -, che scendono in piazza avvolti nella
bandiera irachena, urlano i loro slogan in nome della propria appartenenza non a una fede o un’etnia, ma a una stessa nazione, che “rivogliono indietro”, come afferma una delle parole d’ordine di questi giorni.
La determinazione dei manifestanti sta mettendo a dura prova i
delicati equilibri del Paese e non solo. Ne è una dimostrazione lo
stesso pugno di ferro dispiegato dal premier Adel Abdul Mahdi, che se
all’inizio della sollevazione sembrava sul punto di dover dare le
dimissioni, è stato poi “salvato” dalle pressioni dirette di Teheran,
che avrebbe inviato a Baghdad lo stesso generale Qassem Souleimani
dell’unità d’élite dei Pasdaran (il cui ritratto viene bruciato in
strada dai manifestanti iracheni) per convincere i suoi partiti
“vassalli” a non togliere la fiducia al governo Mahdi. Il timore è che
cedere alle richieste della piazza significherebbe mettere in
discussione un sistema di potere abituato a prosperare sulla
lottizzazione settaria: un sistema a cui molti attori non sono disposti a
rinunciare.
La delicatezza del momento non è certo sfuggita alla più importante autorità religiosa sciita irachena, l’ayatollah Ali Al Sistani, che si è espresso apertamente in supporto dei manifestanti
e ha esortato i politici a portare avanti le riforme richieste dalla
piazza, a cominciare da una nuova legge elettorale considerata più
rappresentativa, da stilare al più presto per poter poi tornare al voto.
Il clerico 89enne, di solito poco propenso a coinvolgersi nelle
questioni politiche, ha dichiarato venerdì scorso che dopo queste
dimostrazioni, giunte ormai alla settima settimana, «l’Iraq non sarà mai
più lo stesso».
Anche i rappresentanti delle Chiese cristiane hanno
espresso compatti il loro sostegno alle rivendicazioni popolari. Tra
l’altro, in un pronunciamento comune, hanno ringraziato i giovani che
con la loro protesta pacifica verso la leadership politica hanno «rotto
le barriere settarie, hanno affermato l’unità nazionale irachena e hanno
chiesto che l’Iraq diventi una patria per tutti».
Se è vero che questi ragazzi sono più immuni, rispetto ai loro padri, dall’influenza di una mentalità rigorosamente tribale e confessionale, il loro coraggio e la loro determinazione saranno sufficienti a far prevalere un modello plurale – in un Paese da sempre caratterizzato dalla diversità – e a scongiurare i rischi della violenza e della disgregazione? Le incognite che pesano sulla rivolta sono importanti. È fondamentale che la società civile irachena resti compatta, senza ascoltare le sirene che, dentro e fuori dai confini del Paese, fomentano la divisione.
Se è vero che questi ragazzi sono più immuni, rispetto ai loro padri, dall’influenza di una mentalità rigorosamente tribale e confessionale, il loro coraggio e la loro determinazione saranno sufficienti a far prevalere un modello plurale – in un Paese da sempre caratterizzato dalla diversità – e a scongiurare i rischi della violenza e della disgregazione? Le incognite che pesano sulla rivolta sono importanti. È fondamentale che la società civile irachena resti compatta, senza ascoltare le sirene che, dentro e fuori dai confini del Paese, fomentano la divisione.
Sulle prospettive della “Terra dei due fiumi” discuteremo giovedì 21 al Centro Pime di Milano (via Monte Rosa 81) insieme ad Andrea Plebani, ricercatore dell’Università Cattolica e dell’Ispi, che presenterà il suo libro “La terra dei due fiumi allo specchio” (Rubbettino). Appuntamento alla Caffetteria Pime alle 18.30.