By Asia News
Il problema dell’Iraq e della maggior parte dei Paesi arabi è di natura “culturale e spirituale”, non “puramente politico”. Il ladro, il corrotto, l’estremista o il tiranno dominano “perché manca una motivazione religiosa, spirituale e morale” forte e salda. È quanto afferma il patriarca caldeo, card Louis Raphael Sako, in un messaggio inviato per conoscenza ad AsiaNews. Per il porporato la “questione” è legata “all’educazione” in famiglia e comunità “che è irta di preconcetti, costumi e pratiche desuete” che “non si basano sulla ragione e sulla analisi”.
Il problema dell’Iraq e della maggior parte dei Paesi arabi è di natura “culturale e spirituale”, non “puramente politico”. Il ladro, il corrotto, l’estremista o il tiranno dominano “perché manca una motivazione religiosa, spirituale e morale” forte e salda. È quanto afferma il patriarca caldeo, card Louis Raphael Sako, in un messaggio inviato per conoscenza ad AsiaNews. Per il porporato la “questione” è legata “all’educazione” in famiglia e comunità “che è irta di preconcetti, costumi e pratiche desuete” che “non si basano sulla ragione e sulla analisi”.
Il primate caldeo torna ancora una volta sulle manifestazioni anti-governative
 divampate il primo ottobre scorso e riprese con particolare vigore 
nelle ultime due settimane. E non nasconde le profonde preoccupazioni 
per le violenze
 di polizia e forze di sicurezza verso la popolazione, che hanno già 
causato almeno 319 vittime complessive fra militari e (in larga parte) 
civili.
In un crescendo di violenze e tensione, il patriarca caldeo ha 
invitato i cristiani del Paese a digiunare per tre giorni, da questa 
mattina fino alla sera di mercoledì 13 novembre “per la pace e il 
ritorno della stabilità”. Insieme al digiuno, il porporato esorta i 
fedeli a recitare la preghiera
 diffusa il 4 novembre scorso nella cattedrale di san Giuseppe a 
Baghdad, nel contesto dell’incontro ecumenico per la pace promosso dai 
vertici della Chiesa irakena. 
“Ciò di cui abbiamo bisogno - scrive il card Sako - è una lettura 
attenta dell’Iraq dopo l’invasione Usa del 2003”. Le dimostrazioni di 
queste settimane, avverte, “sono una reazione spontanea” alle 
“sofferenze” degli anni passati e sono promosse “sotto la bandiera 
irakena”, non “con stendardi delle varie parti o fazioni”. I 
manifestanti hanno “rovesciato il settarismo” per unirsi sotto una come 
“identità nazionale”. Al governo, avverte, il compito di “conquistare la
 fiducia” dei suoi figli avviando “un dialogo coraggioso” e “riforme 
economiche” che portino a una “redistribuzione della ricchezza” e agli 
intellettuali fuggiti l’appello a tornare “per contribuire alle 
riforme”. 
I timori del patriarca sono condivisi dall’ausiliare di Baghdad mons.
 Shlemon Warduni, secondo cui in troppi “fanno solo il proprio interesse
 personale” e “non si curano del bene comune, soprattutto della 
situazione dei giovani e dei più poveri”. Il motore della rivolta, 
conferma ad AsiaNews, è nella parte più giovane della popolazione “che non ha lavoro, che ha finito le scuole e non sa cosa fare”. 
“Per le strade - aggiunge - vi è una situazione di grande caos e 
confusione. Queste manifestazioni mostrano al mondo che siamo in una 
condizione tragica e non sappiamo cosa fare. Perché non ci sono persone 
che guardano al bene comune, non si curano dell’interesse di tutti”. Il 
prelato è preoccupato per l’escalation di violenze “che ha causato oltre
 300 morti e 16mila feriti. Non si può restare inerti e, come Chiesa, 
rispondiamo con il digiuno e la preghiera”. Mons. Warduni sottolinea 
infine “l’importanza che ragazzi e ragazze siano uniti, in piazza, 
dietro alla comune bandiera irakena. Non guardano in faccia alla 
religione, l’etnia, ma vogliono solo il bene del Paese, anche se 
preoccupano i casi di attacchi e sequestri di civili in piazza ad opera 
di bande armate”.
Intanto l’escalation della tensione viene seguita da vicino nelle 
cancellerie occidentali e dai massimi organismi internazionali. Per 
arginare la crisi gli Stati Uniti invocano elezioni anticipate e 
riforme, mentre diverse ong pro diritti umani lanciano l’allarme per una
 deriva violenta che potrebbe sfociare in un “bagno di sangue”. 
La missione Onu in Iraq (Unami) denuncia un “clima di paura” e invoca “massimo contenimento” da parte delle forze dell’ordine, compreso il divieto di uso “di proiettili” o “l’uso improprio di mezzi non letali” come i gas lacrimogeni.
La missione Onu in Iraq (Unami) denuncia un “clima di paura” e invoca “massimo contenimento” da parte delle forze dell’ordine, compreso il divieto di uso “di proiettili” o “l’uso improprio di mezzi non letali” come i gas lacrimogeni.
I vertici Unami chiedono il rilascio dei manifestanti arrestati in 
queste settimane e una inchiesta sui sequestri in circostanze misteriose
 di attivisti e medici, prelevati [secondo diverse ong] da membri delle 
forze di sicurezza o da gruppi armati. L’organismo delle Nazioni Unite 
auspica inoltre una serie di misure da attuare nelle prossime settimane o
 mesi, fra cui una riforma elettorale e costituzionale, processi contro 
quanti sono accusati di corruzione e applicare le normative già 
esistenti per combattere ruberie e malversazioni. 
 
