By Korazym.org
Simone Baroncia
Simone Baroncia
Il patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, firma la prefazione all’opera ‘La Questione Caldea e Assira | 1908-1938. Documenti dell’Archivio segreto vaticano (Asv), dell’Archivio della Congregazione per le Chiese Orientali (Aco) e dell’Archivio Storico della Segreteria di Stato, Sezioni per i Rapporti con gli Stati (Ss.Rr.Ss.)’ del gesuita p. Georges H. Ruyssen SJ, presentata sabato 9 novembre al Pontificio Istituto Orientale di Roma, a cui hanno partecipato il prof. Andrea Riccardi, il prof. Joseph Yacoub, mons. Noël Farman, in rappresentanza del patriarca Sako, ed il card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali e gran cancelliere del Pontificio Istituto Orientale.
Nella prefazione dell’opera in quattro volumi il patriarca caldeo ha
scritto che i cristiani d’Oriente desiderano una società rispettosa dei
diritti umani: “Noi cristiani d’Oriente desideriamo costruire insieme ai
nostri vicini musulmani una società in grado di rispettare il valore e
la dignità di tutti, dove le autorità e le istituzioni statali si
rivelino concretamente al servizio degli uomini e delle donne del nostro
tempo”.
Al contempo il porporato caldeo non può tacere la persecuzione dei
cristiani e la loro conseguente emigrazione, che “hanno una lunga
storia, iniziata ben prima del XX secolo e segnata da eventi di natura
diversa: le vessazioni da parte delle autorità pubbliche, le
discriminazioni sociali, i colpi di stato, le politiche del
fondamentalismo musulmano, il terrorismo e le guerre nel Medio Oriente;
un vasto territorio che ancora oggi è teatro di sanguinosi conflitti che
spingono molti cristiani ad abbandonare i loro paesi d’origine perché
nessun futuro, in questi luoghi, sembra ormai possibile”.
Infine il card. Sako ha sottolineato che la pace e la giustizia sono
necessarie per la sopravvivenza dei cristiani in Medio Oriente: “La pace
e la stabilità sono condizioni essenziali per fare in modo che i
cristiani ancora residenti possano restare nella terra natia e coloro
che sono fuggiti dal fanatismo, dalla violenza e dalla guerra vi
facciano ritorno…
La pace per essere stabile deve essere accompagnata dalla giustizia
sociale e dal reciproco rispetto tra persone di diverse religioni,
culture ed etnie; tutto ciò risulta possibile ove esista una
Costituzione basata non tanto sull’appartenenza religiosa ma piuttosto
sulla parità di cittadinanza”.
Il prof. Yacoub ha delineato il quadro storico del periodo preso in
esame, definendolo un genocidio: “Gli assiro-caldei sono stati vittime
di un genocidio fisico, culturale, religioso e territoriale a carattere
geopolitico, preludio alla loro erranza, al loro sradicamento e alle
loro sofferenze che continuano a lacerare la comunità… Sono numerose le
province, vilâyet, località e villaggi che sono stati vittime dei
massacri. E quei massacri hanno ripetuto quelli degli armeni”.
Ed ha sottolineato che la questione assiro-caldea dal 1915 era
diventata internazionale, perché preoccupava gli Stati europei: “Le
gerarchie religiose e politiche assiro-caldee si sono attivate presso
quelle cancellerie dal 1918 al 1921, inviando memorandum su memorandum
sulle sofferenze e le perdite sopportate durante la guerra e sulle loro
rivendicazioni… Quel genocidio fisico e quella spoliazione territoriale
erano accompagnate da un genocidio culturale. Gli assiro-caldei si sono
visti così spodestati di gran parte dei loro luoghi di memoria e della
loro cultura. In tutto oltre 250 chiese e conventi furono completamente
distrutti”.
Anche il prof. Riccardi ha sottolineato la realtà storica di un
‘massacro’: “La realtà è stata quella di un massacro di 1.500.000 armeni
nel 1915, voluto dai Giovani Turchi, laici e nazionalisti, timorosi che
la presenza armena fosse la base di possibili secessioni territoriali.
Fu pianificata una pulizia etnica con marce della morte, stragi, esilio.
Per realizzarla bisognava mobilitare le masse turche e curde: divenne
guerra al cristiano.
Non mancarono però parecchi ‘giusti’ turchi che salvarono le vite dei
perseguitati. Perché (questo è poco noto) fu una strage non solo di
armeni, ma anche delle altre comunità cristiane: caldei, siro-cattolici e
siro-ortodossi, assiri, protestanti e in parte greci. Sì, una strage di
cristiani, spesso un martirio perché non vollero rinunciare alla fede”.
Nell’intervento introduttivo il prefetto della Congregazione per le
Chiese Orientali e Gran Cancelliere del Pontificio Istituto Orientale ha
sottolineato alcune note, ancora attuali, dell’opera: “Penso ai temi
delle emigrazioni forzate, agli episodi di persecuzione e martirio, al
dibattito se creare o meno delle aree protette per i cristiani in Siria o
Iraq, con i rischi dei diversi nazionalismi assiri o caldei; oppure di pensare il Libano come unico Paese che possa accogliere i
cristiani della Regione, ai rapporti ecumenici tra le diverse Chiese
dell’area, alle tensioni con alcuni gruppi evangelici occidentali nella
distribuzione degli aiuti e nei tentativi di proselitismo, al silenzio
internazionale che calò sulle sofferenze di allora ancora più che su
quelle che coinvolsero il popolo armeno, il problema di garantire la
permanenza delle popolazioni cristiane e quello di accogliere coloro che
invece preferiscono emigrare in occidente ma non debbono vedere
disperso il patrimonio della rispettiva tradizione ecclesiale di
appartenenza nei nuovi territori che si vengono ad abitare”.
Ed ha sottolineato il valore della diplomazia vaticana a tutela dei
diritti dell’uomo: “Senza questa capillare presenza, allora come oggi, i
deboli avrebbero ancora meno voce, e tante tragedie passate nel
silenzio complice e colpevole dei diversi attori internazionali. Non
sono dimenticati i problemi concreti, perché si avesse di che vivere e
le Chiese potessero proseguire la loro presenza e il loro servizio: ci sono gli aiuti straordinari, con invii di generi di prima
necessità, ma ci sono anche quei sussidi ordinari ai vescovi e alle
diocesi, come testimoniano per esempio alcune lettere indirizzate dal
card. Marini, segretario della congregazione per la Chiesa Orientale, al
patriarca caldeo Thomas”.
Infine ha ricordato il valore degli archivi vaticani, che dopo il
cambio del nome voluto da papa Francesco con un motu proprio, assumono
una nuova fisionomia, per cui la Chiesa ‘non ha paura della storia, anzi
la ama’: “Quest’opera non avrebbe visto la luce non solo senza il
lavoro certosino di padre Ruyssen e degli Archivisti che lo hanno
assistito nelle diverse sedi di ricerca, ma se la Chiesa non custodisse
come tesoro prezioso della propria identità i suoi Archivi. La storia
ecclesiale è una memoria di futuro”.