By Tempi
Caterina Giojelli
Caterina Giojelli
«Adam Odai Zuhaid Arab è il nome del bambino di tre anni che
ha gridato “basta!” mentre i terroristi insanguinavano e devastavano la chiesa
di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso a Baghdad il 31 ottobre 2010. Lo ha
gridato decine di volte, i sopravvissuti hanno ancora la sua voce nelle
orecchie: uno strillo infantile disperato. Ha urlato per un tempo
interminabile, da sotto il corpo di suo padre Odai che si era adagiato su di
lui per proteggerlo e che stava morendo per le ferite subite all’inizio
dell’assalto».
Sono passati nove anni dalla notte del massacro di 48 cristiani nella cattedrale siro-cattolica da parte di terroristi di Abu Bakr al-Baghdadi
(che allora non era ancora califfo ma leader dell’organizzazione Stato
islamico dell’Iraq). Quarantotto servi di Dio, due sacerdoti e 46
fedeli, tra di loro molti bambini, per cui si è chiusa a Baghdad la fase
diocesana della causa di beatificazione e dichiarazione del martirio. Bambini come Adam, la cui storia è stata raccontata da Rodolfo Casadei nel bellissimo libro Tribolati ma non schiacciati – storie di persecuzione, fede e speranza edito da Lindau.
«TACI, BAMBINO, NON VEDI LA MIA ARMA?»
«TACI, BAMBINO, NON VEDI LA MIA ARMA?»
«“Basta!” urlava disperato Adam, “basta!”, strillava da terra».
Nemmeno i terroristi potevano restare indifferenti a quelle grida. Anzi,
erano molto disturbati. La mamma di Adam, sdraiata a pochi passi da
lui, fingendosi morta mentre premeva una mano contro la coscia
dell’altra figlioletta Nairi di un anno che piangeva ferita da un
proiettile e da schegge che le avevano fratturato il femore, ricorda
bene l’aggressore che si era chinato sul suo bambino a rimbrottarlo:
«Taci una buona volta, non vedi la mia arma, vuoi che ti ammazziamo come
gli altri?». Ricorda il momento in cui Hussein, il capo dei terroristi
dava ai suoi uomini l’ordine di finire suo marito scosso dagli spasmi. E
ricorda il momento in cui la voce spaventata del suo bambino non si era
sentita più.
LA CATTEDRALE DIVENTA UNA TOMBA
LA CATTEDRALE DIVENTA UNA TOMBA
Casadei aveva incontrato la mamma di Adam, la piccola Nairi e altri
sopravvissuti del massacro del 31 ottobre 2010 al Policlinico Gemelli di
Roma, poche settimane dopo i tragici avvenimenti. E si era fatto
raccontare le quattro ore e mezza di incubo vissuto dai martiri fra le
17 e le 21.30 nella cattedrale. Dopo una serie di azioni diversive, i
terroristi di Al Qaeda avevano fatto saltare la Jeep Cherokee imbottita
di esplosivo che avevano parcheggiato all’altezza dell’abside ed erano
entrati nel cortile della chiesa scavalcando il muro di cinta, cogliendo
di sorpresa le guardie al cancello d’ingresso. Un assalitore, ferito
durante un attacco precedente alla sede della Borsa, si era fatto
esplodere per non essere d’impaccio ai compagni. Gli altri, dopo aver
sparato ai poliziotti, avevano aperto il fuoco contro i fedeli che
cercavano di scappare, sparato al diacono, sparato ai sacerdoti, sparato
sulle madri e i padri che non riuscivano a far tacere i bambini,
lanciato granate nella sacrestia dove si erano barricati alcuni fedeli.
UN IRREALISTICO SCAMBIO DI OSTAGGI
UN IRREALISTICO SCAMBIO DI OSTAGGI
Avevano chiamato la hot line di una tv locale, Al Baghdadiya, per un
irrealistico scambio di ostaggi (due donne egiziane cristiane che
secondo loro erano state sequestrate dal clero copto e si trovavano ristrette in «monasteri prigione»
per impedire loro di convertirsi all’Islam). Avevano profanato la
chiesa, sparato contro immagini e oggetti sacri, recitato le ultime due
preghiere rituali dell’Islam, quella del tramonto e quella della notte. E
quando le forze speciali del ministero dell’interno avevano fatto
irruzione, si erano fatti esplodere. Dopo aver causato la morte di 57
persone, tra cui 48 cristiani che partecipavano alla messa, e averne
ferite altre 70 che riportarono gravissime amputazioni. «Lo scarno
riassunto degli avvenimenti lascia annichiliti. Ma ciò che è accaduto in
quelle ore è molto di più di quello che sta dentro a un semplice
resoconto di cronaca nera, o a una cronaca di guerra», scrive Casadei
«LASCIATE STARE LORO, PRENDETE ME»
«LASCIATE STARE LORO, PRENDETE ME»
«Racconta Yussef, un sopravvissuto: “Sparavano e gridavano: “Sporchi
cristiani, noi andremo in Paradiso e voi all’Inferno! Allah è grande!
Siete dei miscredenti e andrete all’Inferno!”». Fra i primi fu ucciso
padre Wassim Sabih Alkas Butros, che era uscito dal confessionale
andando incontro ai terroristi per offrirsi in ostaggio: «“Lasciate
stare loro, prendete me!”. Per tutta risposta uno dei terroristi gli
spara al torace da distanza ravvicinata. L’uomo cade a terra. “Chi è
costui?” chiede sorpreso lo stesso carnefice che ha premuto il
grilletto. “È un prete”, gli risponde un compagno. Parte una seconda
raffica sul sacerdote agonizzante. Viene colpito anche alla testa.
«Prendete me, lasciate stare la gente!» fu anche il grido di padre Tahir
Saadallah Abdal, che presiedeva la Messa, facendo scudo col suo corpo
ai chierichetti. I terroristi lo mitragliarono sotto gli occhi di sua
madre: «Cade sulle ginocchia portandosi le mani al petto, e prima di
scivolare a terra – i testimoni sono concordi – pronuncia le stesse
parole di Gesù sulla croce nel Vangelo di Luca: “Nelle tue mani,
Signore, affido il mio spirito”».
«NOI MORIAMO, PERÒ VIVA LA CROCE!»
«NOI MORIAMO, PERÒ VIVA LA CROCE!»
Per ore gli assalitori urlarono come invasati, falciando chiunque si
muovesse o non riuscisse a calmare i piccoli. «C’è una coppia con una
bambina di appena tre mesi in braccio alla madre. Il bebè piange
disperatamente. I terroristi inveiscono. Il padre risponde che non è
possibile calmare la bambina: viene falciato a colpi di mitra insieme
alla giovane moglie, a suo padre e al neonato, resta viva ma ferita solo
una sorella del giovane. Un altro uomo, colpito da un proiettile,
emette un lamento di dolore e da terra grida: “Noi moriamo, però viva la
Croce!”. Più assalitori puntano le armi verso di lui e lo crivellano di
colpi mentre grida ancora: “Viva la Croce!”». Saliti in piedi
sull’altare i terroristi iniziarono a sparare sulle formelle della Via
Crucis, la grande croce, «“Non distruggete la Croce della nostra
salvezza! Non lo sapete che è la Croce che ci salva tutti?” (chiese una
donna morente dopo aver supplicato i terroristi di darle il colpo di
grazia, ndr). “Taci, donna! Tu devi soffrire e morire!”. “Lasciate stare
la croce!”. “Bada, faccio esplodere la mia cintura”, minaccia Hussein.
“Fallo”, lo sfida la signora. Poco dopo smetterà di parlare».
«KAFI! FAFI! BASTA! BASTA!» STRILLAVA ADAM
«KAFI! FAFI! BASTA! BASTA!» STRILLAVA ADAM
Alla studentessa universitaria Shahad Zuhair Marsina, zia di Adam e
la sorella di suo padre Odai, venne intimato da un terrorista di
comunicare ad Al Baghdadiya al cellulare che gli ostaggi stavano tutti
bene. Ma «io vedevo i morti davanti a me. Non parlai come mi aveva
chiesto lui. Si arrabbiò e cominciò a insultare me e la mia fede: “Non
vi lasceremo andare, cristiani! Siete degli infedeli che adorano la
Croce. Ma Dio è uno solo! Non dovete adorare la Croce!”». E intanto Adam
continuava a urlare: «Kafi! Kafi! Basta! Basta!». Fino a quando
colpirono suo padre che lo teneva stretto stretto a sé.
Martha, la mamma di Adam, ricorderà per sempre gli istanti
in cui i terroristi recitarono l’isha e incrociò lo sguardo di Hussein
(«Perdonatemi», aveva cominciato a dire il terrorista guardando morti, feriti e
bambini piangenti ai suoi piedi): «“Si è accorto del mio movimento e del fatto
che ero ancora viva”, racconta. “Ma ha continuato a trascinarsi zoppicando
lontano da me. Poco dopo c’è stata l’esplosione. È stato orribile, per lo
spostamento d’aria ci siamo sollevate da terra. Brandelli di corpi sono volati
dappertutto. Vicino a me un braccio di Hussein, vicino a mia sorella è rotolata
la sua testa”».
«IL MIO BAMBINO, LA BOCCA PIENA DI CALCINACCI»
«IL MIO BAMBINO, LA BOCCA PIENA DI CALCINACCI»
Dopo che i terroristi si fecero esplodere, Martha riuscì a trascinare
fuori dalla chiesa Nairi che perdeva sangue. Poi tornò indietro per
cercare il suo piccolo Adam e il marito Odai. Ma «il mio bambino aveva
la bocca piena di calcinacci, e una gamba quasi staccata dal corpo». Il
piccolo aveva passato ore, raccontarono i testimoni, chiedendo di
alzarsi al padre che lo teneva abbracciato e gli diceva di non avere
paura. Anche una signora colpita alla schiena aveva cercato di calmarlo
fino alla morte.
Oggi Adam, insieme ad altri 46 fedeli, tra loro una ragazzina di 11
anni, un neonato di tre mesi e un bimbo non nato, in grembo alla mamma
morta nelle esplosioni, sono chiamati martiri della Chiesa irachena in
cammino verso la santità. La mattina dell’attentato, il più sanguinoso
contro i cristiani in Iraq («tanto più feroce in quanto ha colpito
persone inermi, raccolte nella casa di Dio», tuonò papa Benedetto XVI
facendo appello alla comunità internazionale perché cessassero le
violenze), padre Wassim aveva spedito un sms a molti amici. C’era
scritto: «Cristo è la mia vita».