"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

20 novembre 2019

«Basta! Basta». La notte del martirio del piccolo Adam e dei cristiani di Baghdad

By Tempi
Caterina Giojelli

«Adam Odai Zuhaid Arab è il nome del bambino di tre anni che ha gridato “basta!” mentre i terroristi insanguinavano e devastavano la chiesa di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso a Baghdad il 31 ottobre 2010. Lo ha gridato decine di volte, i sopravvissuti hanno ancora la sua voce nelle orecchie: uno strillo infantile disperato. Ha urlato per un tempo interminabile, da sotto il corpo di suo padre Odai che si era adagiato su di lui per proteggerlo e che stava morendo per le ferite subite all’inizio dell’assalto».
Sono passati nove anni dalla notte del massacro di 48 cristiani nella cattedrale siro-cattolica da parte di terroristi di Abu Bakr al-Baghdadi (che allora non era ancora califfo ma leader dell’organizzazione Stato islamico dell’Iraq). Quarantotto servi di Dio, due sacerdoti e 46 fedeli, tra di loro molti bambini, per cui si è chiusa a Baghdad la fase diocesana della causa di beatificazione e dichiarazione del martirio. Bambini come Adam, la cui storia è stata raccontata da Rodolfo Casadei nel bellissimo libro Tribolati ma non schiacciati – storie di persecuzione, fede e speranza edito da Lindau.
«TACI, BAMBINO, NON VEDI LA MIA ARMA?»
«“Basta!” urlava disperato Adam, “basta!”, strillava da terra». Nemmeno i terroristi potevano restare indifferenti a quelle grida. Anzi, erano molto disturbati. La mamma di Adam, sdraiata a pochi passi da lui, fingendosi morta mentre premeva una mano contro la coscia dell’altra figlioletta Nairi di un anno che piangeva ferita da un proiettile e da schegge che le avevano fratturato il femore, ricorda bene l’aggressore che si era chinato sul suo bambino a rimbrottarlo: «Taci una buona volta, non vedi la mia arma, vuoi che ti ammazziamo come gli altri?». Ricorda il momento in cui Hussein, il capo dei terroristi dava ai suoi uomini l’ordine di finire suo marito scosso dagli spasmi. E ricorda il momento in cui la voce spaventata del suo bambino non si era sentita più.
LA CATTEDRALE DIVENTA UNA TOMBA
Casadei aveva incontrato la mamma di Adam, la piccola Nairi e altri sopravvissuti del massacro del 31 ottobre 2010 al Policlinico Gemelli di Roma, poche settimane dopo i tragici avvenimenti. E si era fatto raccontare le quattro ore e mezza di incubo vissuto dai martiri fra le 17 e le 21.30 nella cattedrale. Dopo una serie di azioni diversive, i terroristi di Al Qaeda avevano fatto saltare la Jeep Cherokee imbottita di esplosivo che avevano parcheggiato all’altezza dell’abside ed erano entrati nel cortile della chiesa scavalcando il muro di cinta, cogliendo di sorpresa le guardie al cancello d’ingresso. Un assalitore, ferito durante un attacco precedente alla sede della Borsa, si era fatto esplodere per non essere d’impaccio ai compagni. Gli altri, dopo aver sparato ai poliziotti, avevano aperto il fuoco contro i fedeli che cercavano di scappare, sparato al diacono, sparato ai sacerdoti, sparato sulle madri e i padri che non riuscivano a far tacere i bambini, lanciato granate nella sacrestia dove si erano barricati alcuni fedeli.
UN IRREALISTICO SCAMBIO DI OSTAGGI
Avevano chiamato la hot line di una tv locale, Al Baghdadiya, per un irrealistico scambio di ostaggi (due donne egiziane cristiane che secondo loro erano state sequestrate dal clero copto e si trovavano ristrette in «monasteri prigione» per impedire loro di convertirsi all’Islam). Avevano profanato la chiesa, sparato contro immagini e oggetti sacri, recitato le ultime due preghiere rituali dell’Islam, quella del tramonto e quella della notte. E quando le forze speciali del ministero dell’interno avevano fatto irruzione, si erano fatti esplodere. Dopo aver causato la morte di 57 persone, tra cui 48 cristiani che partecipavano alla messa, e averne ferite altre 70 che riportarono gravissime amputazioni. «Lo scarno riassunto degli avvenimenti lascia annichiliti. Ma ciò che è accaduto in quelle ore è molto di più di quello che sta dentro a un semplice resoconto di cronaca nera, o a una cronaca di guerra», scrive Casadei
«LASCIATE STARE LORO, PRENDETE ME»
«Racconta Yussef, un sopravvissuto: “Sparavano e gridavano: “Sporchi cristiani, noi andremo in Paradiso e voi all’Inferno! Allah è grande! Siete dei miscredenti e andrete all’Inferno!”». Fra i primi fu ucciso padre Wassim Sabih Alkas Butros, che era uscito dal confessionale andando incontro ai terroristi per offrirsi in ostaggio: «“Lasciate stare loro, prendete me!”. Per tutta risposta uno dei terroristi gli spara al torace da distanza ravvicinata. L’uomo cade a terra. “Chi è costui?” chiede sorpreso lo stesso carnefice che ha premuto il grilletto. “È un prete”, gli risponde un compagno. Parte una seconda raffica sul sacerdote agonizzante. Viene colpito anche alla testa. «Prendete me, lasciate stare la gente!» fu anche il grido di padre Tahir Saadallah Abdal, che presiedeva la Messa, facendo scudo col suo corpo ai chierichetti. I terroristi lo mitragliarono sotto gli occhi di sua madre: «Cade sulle ginocchia portandosi le mani al petto, e prima di scivolare a terra – i testimoni sono concordi – pronuncia le stesse parole di Gesù sulla croce nel Vangelo di Luca: “Nelle tue mani, Signore, affido il mio spirito”».
«
NOI MORIAMO, PERÒ VIVA LA CROCE!»
Per ore gli assalitori urlarono come invasati, falciando chiunque si muovesse o non riuscisse a calmare i piccoli. «C’è una coppia con una bambina di appena tre mesi in braccio alla madre. Il bebè piange disperatamente. I terroristi inveiscono. Il padre risponde che non è possibile calmare la bambina: viene falciato a colpi di mitra insieme alla giovane moglie, a suo padre e al neonato, resta viva ma ferita solo una sorella del giovane. Un altro uomo, colpito da un proiettile, emette un lamento di dolore e da terra grida: “Noi moriamo, però viva la Croce!”. Più assalitori puntano le armi verso di lui e lo crivellano di colpi mentre grida ancora: “Viva la Croce!”». Saliti in piedi sull’altare i terroristi iniziarono a sparare sulle formelle della Via Crucis, la grande croce, «“Non distruggete la Croce della nostra salvezza! Non lo sapete che è la Croce che ci salva tutti?” (chiese una donna morente dopo aver supplicato i terroristi di darle il colpo di grazia, ndr). “Taci, donna! Tu devi soffrire e morire!”. “Lasciate stare la croce!”. “Bada, faccio esplodere la mia cintura”, minaccia Hussein. “Fallo”, lo sfida la signora. Poco dopo smetterà di parlare».
«KAFI! FAFI! BASTA! BASTA!» STRILLAVA ADAM
Alla studentessa universitaria Shahad Zuhair Marsina, zia di Adam e la sorella di suo padre Odai, venne intimato da un terrorista di comunicare ad Al Baghdadiya al cellulare che gli ostaggi stavano tutti bene. Ma «io vedevo i morti davanti a me. Non parlai come mi aveva chiesto lui. Si arrabbiò e cominciò a insultare me e la mia fede: “Non vi lasceremo andare, cristiani! Siete degli infedeli che adorano la Croce. Ma Dio è uno solo! Non dovete adorare la Croce!”». E intanto Adam continuava a urlare: «Kafi! Kafi! Basta! Basta!». Fino a quando colpirono suo padre che lo teneva stretto stretto a sé.
Martha, la mamma di Adam, ricorderà per sempre gli istanti in cui i terroristi recitarono l’isha e incrociò lo sguardo di Hussein («Perdonatemi», aveva cominciato a dire il terrorista guardando morti, feriti e bambini piangenti ai suoi piedi): «“Si è accorto del mio movimento e del fatto che ero ancora viva”, racconta. “Ma ha continuato a trascinarsi zoppicando lontano da me. Poco dopo c’è stata l’esplosione. È stato orribile, per lo spostamento d’aria ci siamo sollevate da terra. Brandelli di corpi sono volati dappertutto. Vicino a me un braccio di Hussein, vicino a mia sorella è rotolata la sua testa”».
«IL MIO BAMBINO, LA BOCCA PIENA DI CALCINACCI»
Dopo che i terroristi si fecero esplodere, Martha riuscì a trascinare fuori dalla chiesa Nairi che perdeva sangue. Poi tornò indietro per cercare il suo piccolo Adam e il marito Odai. Ma «il mio bambino aveva la bocca piena di calcinacci, e una gamba quasi staccata dal corpo». Il piccolo aveva passato ore, raccontarono i testimoni, chiedendo di alzarsi al padre che lo teneva abbracciato e gli diceva di non avere paura. Anche una signora colpita alla schiena aveva cercato di calmarlo fino alla morte.
Oggi Adam, insieme ad altri 46 fedeli, tra loro una ragazzina di 11 anni, un neonato di tre mesi e un bimbo non nato, in grembo alla mamma morta nelle esplosioni, sono chiamati martiri della Chiesa irachena in cammino verso la santità. La mattina dell’attentato, il più sanguinoso contro i cristiani in Iraq («tanto più feroce in quanto ha colpito persone inermi, raccolte nella casa di Dio», tuonò papa Benedetto XVI facendo appello alla comunità internazionale perché cessassero le violenze), padre Wassim aveva spedito un sms a molti amici. C’era scritto: «Cristo è la mia vita».