"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

22 maggio 2009

Terra Santa. Nelle menti di tutti. Mons. Francis A.Chullikat, nunzio apostolico in Giordania e Iraq

Fonte: SIR

intervista a cura di Daniele Rocchi

Come Paolo VI (1964) e Giovanni Paolo II (2000), anche Benedetto XVI ha scelto di cominciare il suo viaggio in Terra Santa dalla Giordania. Dall' 8 all'11 maggio, giorno in cui si è trasferito in Israele, Benedetto XVI ha visitato, da pellegrino, il memoriale di Mosé sul monte Nebo, il sito del battesimo di Gesù a Betania oltre il Giordano, incontrando le massime autorità politiche del regno ascemita, reali in testa, e religiose, con i capi musulmani. Importante, dal punto di vista del dialogo con l'Islam, la visita alla moschea al-Hussein Bin-Talal di Amman. A fare da sfondo è stata la dimensione pastorale ed ecclesiale: Benedetto XVI è venuto "come pastore della Chiesa universale e in questa veste il popolo cristiano e cattolico lo ha accolto con gioia e speranza".
Con il nunzio apostolico in Giordania e Iraq, mons. Francis A.Chullikat, il SIR ripercorre quei giorni di pellegrinaggio papale.
Eccellenza, può tracciare un bilancio di questo viaggio del Papa in Giordania?
"È stato un incontro molto significativo qui in Giordania: prima di tutto perché è stata la sua prima sosta e questo è stato molto apprezzato dalle autorità governative e dalla Chiesa. Anche il principe ne ha fatto menzione nel suo discorso alla moschea. Ciò ha dato un messaggio veramente bello a tutto il Paese. C'è poi un altro aspetto che vorrei sottolineare ed è il modo con cui la Chiesa locale ha accolto, con gioia, il Pontefice. I cristiani di qui hanno visto in lui il pastore che viene a visitare i suoi fedeli. L'immagine del Papa come pastore universale credo sia uno dei ricordi che rimarranno indelebili nelle menti di tutti".
C'è un momento della tappa giordana che più di altri incarna questo sentimento?
"Questo è apparso assolutamente evidente nella messa nello stadio di Amman, si vedeva una famiglia riunita intorno al Padre, al pastore, venuto per abbracciarla. È stata una grande dimostrazione di fede che ha avuto un impatto molto positivo sulla Chiesa locale di cui vedremo frutti anche in futuro".
Nei suoi discorsi "giordani" il Papa ha messo in evidenza l'urgenza della pace, dell'unità, della conoscenza reciproca e del dialogo. Temi che, soprattutto in Medio Oriente, hanno una chiara valenza politica...
"Già prima della sua partenza Benedetto XVI aveva chiaramente detto che sarebbe venuto in pellegrinaggio, per pregare per la pace e per l'unità sia livello ecclesiale sia sociale. Pace e unità sono i valori di cui hanno bisogno tutti gli abitanti della Terra Santa. Questo messaggio è arrivato e vale la pena sottolinearne la sua valenza spirituale piuttosto che politica. Il Santo Padre, quale pastore della Chiesa universale, offre un messaggio spirituale di pace e di unità e non dà soluzioni politiche. Sulla pace e sull'unità, ha ricordato, si può costruire e ri-costruire, ma è andato anche oltre, parlando della speranza e della volontà necessarie a questa opera di riedificazione. Le perplessità di natura politica che hanno accompagnato la preparazione di questo viaggio sono state fugate dalla sua testimonianza di pellegrino".
Messaggio di pace da mettere in pratica, ma come?
"La Giordania svolge un ruolo importante nella ricerca della soluzione del conflitto israelo-palestinese. Il re è molto impegnato in questo ambito e sta cercando di avere appoggi sia a livello regionale sia internazionale. I messaggi del Pontefice su questo tema sono stati recepiti positivamente nel regno ascemita. Le autorità locali vogliono cercare, forti anche delle parole del Papa, una soluzione a questo conflitto che si trascina ormai da troppo tempo. Da Benedetto XVI è arrivato un appoggio per trovare una soluzione che prevede la creazione di due Stati".
Quale contributo potrà dare questo viaggio al dialogo interreligioso in Giordania, paese che nella prima udienza dopo la Terra Santa il Papa ha definito esempio di coabitazione tra cristiani e musulmani?
"In Giordania il dialogo interreligioso ha ricevuto, dalla visita del Papa, uno stimolo in più. Il principe Ghazi Bin Muhammed Bin Talal, cugino del re di Giordania e suo consigliere in materia di religione, uno dei promotori di «A Common word», la lettera dei 138 saggi musulmani, ha apprezzato la visita alla moschea di Benedetto XVI, un gesto di rispetto verso i fedeli musulmani. Da questo incontro ci attendiamo molti frutti positivi anche perché la popolazione musulmana è rimasta contenta. Un gesto che, mi è stato riferito da molti esponenti musulmani, ha fatto ulteriormente migliorare l'atteggiamento dei musulmani nei riguardi dei cristiani".
Ci sono state, infine, reazioni nel vicino Iraq per questo viaggio del Papa in Giordania? In Iraq avevano anche sperato in una visita lampo del Pontefice...
"In Giordania vivono centinaia di migliaia di rifugiati iracheni, tra i quali anche molti cristiani. Il messaggio del Papa ha valicato i confini giordani ed è arrivato anche nei Paesi limitrofi, Iraq in primis. Il patriarca caldeo di Baghdad, card. Emmanuel III Delly, accompagnato dal suo vicario mons. Shlemon Warduni, e da altri religiosi e sacerdoti, ha ricevuto l'abbraccio del Papa per tutto l'Iraq. I cristiani iracheni sono stati ricordati sia nella messa che nei discorsi. La loro è stata una presenza reale. Quello che il Papa non ha potuto compiere con una visita diretta lo ha fatto attraverso gli iracheni presenti ad Amman".