"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014
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21 dicembre 2020

Bleak Christmas for Iraqi refugees stuck in Jordan

By CNA (Channel News Asia)

Saad Polus Qiryaqoz bitterly remembers the festive Christmas season in his Iraqi hometown of Bartella before he was forced to flee to neighbouring Jordan when extremists took it over.
 Up until 2014, when the Islamic State group swept the Nineveh Plain in northern Iraq, Christians like Qiryaqoz had pulled out the stops over Christmas with celebrations lasting a whole month, he said. "Our life was beautiful and we were happy before the jihadists seized our town and destroyed everything," said the engineer and father of three in his modest apartment in the eastern Amman suburb of Marka.
 "Our life has now changed forever," he added, surrounded by his wife, his son and one of his daughters, a small Christmas tree standing in a corner of the living room. "Back home, Christmas lasted a whole month and there would be a 15m high Christmas tree in the square near the church. We would gather there with family and friends to pray and sing hymns ... Now all that is over."
More than 66,000 Iraqis live in Jordan, the United Nations says. They were forced out in waves by conflict, starting with the 1990 first Gulf War, the 2003 US-led invasion of Iraq and the 2014 emergence of IS. Of those, between 12,000 and 18,000 are Christians, according to Wael Suleiman, who heads the Catholic charity Caritas in Jordan.
Most of the refugees in Jordan are there awaiting clearance to emigrate to a third country and build a new life, mostly because Jordanian law forbids them from holding jobs.
In 2016, two years after IS was driven out of Bartella and most of the Christian heartland in northern Iraq by Iraqi forces, Qiryaqoz, who had sought refuge in nearby Arbil, returned for a visit. It was a shock, said the 56-year-old, "and there was no other option but to flee and find a safe haven for my family", so in the spring of 2017, they moved to Jordan.
 "So far, we have submitted four requests to emigrate to Australia, but they all have been turned down, even though we are English speakers and have family there," said Qiryaqoz.

 "SAD CHRISTMAS"
 Ameel Saeed, 53, also a father of three, is spending another Christmas in self-exile in Jordan and, like Qiryaqoz, he misses the festive celebrations they used to have in Iraq.
 "Christmas here is sad and different from the celebrations back home," he said. "There we had plenty to eat and drink, while here, we are on our own. No one visits us and we don't visit with other Iraqis because most of us are in need and we don't want to embarrass anyone," he added.
Life in Jordan "is very difficult and expensive", said Saeed. "Most of us are unemployed ... and there is very little aid" handed out to refugees.
His family is hoping to move to the United States where they have relatives. Until then, they have put on a brave face and placed a small decorated Christmas tree in the centre of their modest home.
Father Khalil Jaar, a priest at St Mary Mother of the Church in the working-class district of Marka, knows too well the plight of refugees from Iraq. He has been catering to their needs since 2014, setting up in the church complex a school and a clinic, as well as sewing and computer workshops.

 "GO BACK HOME"
 Since 2015, Jaar has helped around 2,500 families process their documents to emigrate to a third country but, he said, "500 Iraqi Christian families are still waiting" for the green light. "Unfortunately, when we seek out help from international and local aid organisations, they tell us that the war in Iraq has ended and that the refugees should be going back home," he added.
This Christmas, thanks to a donation from a wealthy Iraqi family that lives in Amman, Jaar is preparing to hand out coupons worth 50 Jordanian dinars (about US$70) to families so that they can buy new clothes for their children.
"Children should be able to be rejoice. They should not pay the price for what is happening," said the priest.
Suleiman, the Caritas local head, said his charity has been helping Iraqi refugees since 1990 but financial restrictions mean it can only cover the needs of 10 per cent of those in Jordan. "The world thinks that the problems of the Iraqi people are over and that they should go back home," he lamented. 
One person who is not going back is Dalia Youssef, who was widowed in 1997 while pregnant when her husband was killed in Iraq. Five years after applying to emigrate with her son to Australia, the good news arrived. "We can't wait to start a new life. For us, nothing good ever came out from Iraq," she said.

11 maggio 2009

Un giorno di "prime volte"

Fonte: The Jordan Times

Di Amy Hybels

Tradotto ed adattato da Baghdadhope

In piedi sulla sua sedia il quindicenne Peter Mikho sventolava orgogliosamente la bandiera irachena non appena intravisto Papa Benedetto XVI compiere il giro dell'Amman International Stadium nella papamobile. La sua sorellina, Cecil Mikho, con una mano sventolava la bandiera Giordana e con l'altra stringeva quella bianca e gialla del Vaticano.
Cecil e Peter sono tra i 40 bambini iracheni vestiti di bianco del Vicariato caldeo cattolico di Amman che hanno ricevuto la comunione durante la storica messa celebrata da Papa Benedetto XVI domenica mattina.
Per Cecilia era anche il giorno della sua Prima Comunione, un evento importante nella vita di una giovane cattolica.
Al mattino, infatti, Cecil si è aggiunta alle centinaia di bambini che hanno ricevuto per la prima volta il sacramento dell?Eucarestia.
Cecil, 11 anni, si è trasferita con la madre ed il fratello in Giordania subito dopo l'inizio della guerra in Iraq nel 2003. Suo padre lavora ancora in Iraq, una preoccupazione per la giovane che dice che se avesse la possibilità chiederebbe al Papa di "rendere l'Iraq migliore e più sicuro" così che la sua famiglia possa ritornare a Baghdad.
Valentina Manuel, 13 anni, sollevava la sua bandiera irachena posando per una foto prima che la papamobile arrivasse alla stadio. Sette anni fa si è trasferita in Giordania con la madre e tre fratelli mentre anche suo padre, come quello di Cecil, lavora in Iraq. Mentre è al telefono proprio con lui Valentina spiega di non averlo visto dal 2007. La separazione è dura da sopportare per la famiglia e lei spiega che se potesse chiederebbe al Papa se visiterebbe l'Iraq se ne avesse la possibilità.
Il sacerdote della famiglia, Padre Raymond Moussalli, vicario patriarcale caldeo in Giordania, dice che 5000 iracheni cattolici caldei che vivono in Giordania rappresentano una sfida. "Molte madri vengono in chiesa a chiedere aiuto per riunire le famiglie, noi cerchiamo di aiutarle dando denaro, pagando gli affitti, offrendo programmi educativi per i bambini ma non è sufficiente. Dobbiamo trovare un modo per riunficare le famiglie."
Samir Stipho, professore universitario a Baghdad, sa cosa significa tenere unita una famiglia. La sua fuggì dalla violenza in Iraq nel 2006 e dopo un anno trascorso in Giordania si trasferì a Phoenix, in Arizona. Questa settimana Stipho è tornato in Giordania perchè suo figlio, il dodicenne Faysal, potesse unirsi agli altri bambini della chiesa irachena e ricevere la prima comunione durante la messa del Santo Padre. Il professore ha ammesso che la vista dei bambini che sventolavano le bandiere irachene nello stadio è stata commovente: "Mi ha spezzato il cuore. Ho iniziato a piangere quando ho visto sventolare le bandiere. Nessuno può dimenticare il proprio paese.
Ed i bambini non vogliono che il Papa si dimentichi di loro. A molti di loro è stato concesso di farsi avanti durante la messa per salutare il Papa prima che lasciasse lo stadio e sebbene Cecil Mikho non sia riuscita a chiedergli nulla è riuscita a toccargli la mano, un momento che ha descritto come "eccezionale" in un giorno per lei pieno di "prime volte" qui in Giordania.

Le testimonianze del patriarca caldeo Delly e del patriarca latino di Gerusalemme Twal


Gli appelli lanciati da Benedetto XVI a sostegno dei tanti rifugiati presenti in Giordania sono stati accolti con gioia e gratitudine dai profughi cristiani iracheni.
Sean Patrick Lovett al seguito del Papa ha raccolto il commento del patriarca di Babilonia dei Caldei, il cardinale Emmanuel III Delly:
"Sono molto grato al nostro Santo Padre che mi ha detto: “Noi preghiamo per voi sempre, specialmente per l’Iraq, affinché la pace e la tranquillità siano sempre in questo Paese”. Io, a nome di tutti gli iracheni, ed a nome di tutti i cristiani dell’Iraq, ringrazio di cuore il Santo Padre per tutto ciò che sta facendo per l’Oriente. A lui rivolgo a Dio le mie umili preghiere e così tutti i nostri fedeli. In particolar modo, questa visita contribuirà molto per la pace in questi Paesi che da tanti anni sono torturati da tanti drammi.Durante questo pellegrinaggio in Terra Santa il Papa sta incoraggiando la minoranza cristiana a perseverare nella testimonianza di fede e di amore."
Ascoltiamo in proposito il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal, sempre al microfono di Sean Patrick Lovett:
"Chiediamo sempre la vostra preghiera, la vostra solidarietà. La mia impressione è quella di tutto il popolo di Giordania e, oso dire, dei musulmani e dei cristiani: un’impressione molto, molto positiva. Stando accanto al Santo Padre, lui ha manifestato la sua gioia nel vedere questa comunità cristiana, una minoranza, anche se non abbiamo l’impressione di esserlo. Tutti cantano, tutti sono felici, tutti si sentono a casa, con rispetto ed amore per la nostra identità di arabi, giordani, cristiani. Andiamo avanti e con l’appoggio del Santo Padre, con la preghiera della Chiesa universale, tutto andrà bene. Speriamo che anche nella seconda parte di questo pellegrinaggio le cose andranno bene come qui in Giordania, speriamo bene. Siamo preparati al massimo, con tutta la nostra fragilità: però non perdiamo mai la speranza e la presenza del Santo Padre certamente sarà per noi tutti una benedizione."

"Cristiani, non dimenticate la dignità"

Fonte: Il Tempo

di Giuseppe De Carli

Li hanno messi il più lontano possibile dall'altare papale. Difficile vederli da quella distanza. Due-tremila in una sorta di «ghetto televisivo», mai inquadrato dalle telecamere. Hanno resistito sin quasi al termine della messa
nell'International Stadium di Amman, poi sono esplosi in una gioia incontenibile e, al passaggio della «papa mobile», sono sbucate centinaia di bandierine irachene. «Lei non ci credeva - mi dice raggiante padre Khalil Jaar, parroco della cattedrale cattolica - ma siamo andati a prenderli uno per uno, li abbiamo incoraggiati, abbiamo affittato diversi pullman ed ora sono qui per affermare che sono orgogliosi di essere cristiani e che sono disposti a tutto pur di manifestare a testa alta la loro fede».
La folla si scalda al sole avaro di Amman: «Be-ne-det-to; Be-ne-det-to; ben-ve-nu-to; ben-ve-nu-to», scandisce e sillaba in italiano in un grande abbraccio al vescovo venuto da Roma. Sul prato sintetico duemila bambini della prima comunione. «Vede quella col velo - mi interrompe durante la diretta Rai, padre Khalil - quella è irachena. Ce l'abbiamo portata noi, abbiamo comperato il vestito bianco … "Non preoccupatevi", abbiamo spiegato ai genitori: quei bambini che sono come gli angeli di Dio, sono protetti da Gesù e da Maria Vergine, hanno in tasca la foto del nostro santo protettore Giovanni Battista, nessuno li fermerà. A nessuno verrà torto un capello».
Parla a ruota libera il parroco di una Chiesa che non vuole morire in un Paese, come la Giordania, che può essere considerato modello di convivenza e di dialogo interconfessionale. Parroco di «tremila famiglie cristiane», si definisce. Dalla guerra in Iraq gli sono arrivati, come una tegola sulla testa, dai cinquanta ai sessantamila profughi iracheni, cattolici di rito caldeo. Qui nessuno ne parla. Non si vedono in giro, in una città che è uguale e pulita in ogni suo quartiere, né accampati, né ghettizzati. Non si vedono i palestinesi, il «popolo invisibile» sparso per le contrade del Medio Oriente; non si vedono gli iracheni venuti qui come rifugiati in quasi un milione.
«Hanno paura - rivela padre Khalil Jaar - sono senza lavoro ma fieri e dignitosi. Si fanno aiutare dai parenti che stanno in Europa o nelle Americhe o dalle famiglie ricche che sono riuscite a rimanere in Iraq».
Questo prete «borderline», di confine, si fa aiutare da settantacinque volontari laici: «Sono i miei coadiutori, senza essere ordinati». Sono loro che distribuiscono aiuti, avviano pratiche di riconoscimento, spediscono i bambini a frequentare gratuitamente le scuole cattoliche. Una piccola grande storia nello scenario storico della visita di un Papa in Giordania.
Benedetto XVI misura le parole. Incoraggia a perseverare nella fede, a «non dimenticare mai la grande dignità che deriva dalla eredità cristiana; a non venire mai meno al senso di amorevole solidarietà verso tutti i fratelli della Chiesa».
Non usa mai Benedetto XVI la parola «iracheni» o «palestinesi» mentre si prega per loro durante la messa. È il mistero di una liturgia che unisce ciò che la politica divide, che affratella laddove sembra ci siano solo odio, esclusione, inimicizia. La messa raccoglie circa trentamila fedeli. La Chiesa cattolica batte un colpo in un Paese arabo. È presente, si sente viva, è un fermento positivo della società. Canti e preghiere in arabo, bizantino, latino, invocazioni in aramaico, la lingua di Gesù. Da far venire la pelle d'oca. «Be-ne-det-to; Be-ne-det-to; ben-ve-nu-to; ben-ve-nu-to», si canta fino allo sfinimento.
Il Papa osserva questo piccolo, prezioso gregge disperso. Una reliquia di santità e di gioia. Sulla «papa mobile» anche il patriarca di Gerusalemme dei Latini, sua Beatitudine Fouad Twal. Ci hanno detto che, osservando quel popolo in festa attorno al Papa, è scoppiato in lacrime. La notizia è da verificare, ma fa piacere pensare che sia andata proprio così.

10 maggio 2009

Alla messa della Prima Comunione il Papa predica il coraggio nel seguire Gesù


By Cindy Wooden

Tradotto ed adattato da Baghdadhope

L'unica messa pubblica di Papa Benedetto XVI in Giordania è stata uguale a quelle usuali in molte parrocchie nel mese di maggio: era la domenica dedicata alle prime comunioni. Vestiti di bianco e seduti nei pressi dell'altare decine di bambini provenienti da tutta la Giordania hanno ricevuto l'Eucarestia per la prima volta durante la messa celebrata dal Papa nell'International Stadium di Amman.
Peter Mihko, 15 anni, e sua sorella Cecilia di 11, hanno fatto parte del gruppo di 40 bambini e ragazzi della parrocchia caldea del Sacro Cuore di Amman che hanno ricevuto la prima comunione. Come molti nel gruppo i fratelli Mihko sono rifugiati dall'Iraq.
"Riceverò la mia prima comunione dal Papa" ha detto Cecilia prima della messa "Wow! E' davvero incredibile, un sogno che si avvera".
Suo fratello ha detto: "Le parole non possono descrivere quello che provo a ricevere la mia prima Comunione dal messaggero di Dio, dal messaggero della pace".
Nella sua omelia Papa Benedetto ha predicato la necessità della fedeltà e del coraggio nel seguire Gesù, nella scoperta della propria vocazione, nella costruzione di una famiglia, nel promuovere il dialogo con la maggioranza musulmana giordana e nella realizzazione di atti di carità.
"Gesù conosce le sfide che dovete affrontare, quali prove voi sopportiate e il bene che fate in suo nome" ha detto Papa Benedetto alla folla riunita nello stadio che contiene 25.000 persone.
In piedi di fronte a un quadro di Gesù, il Buon Pastore, il Papa ha incoraggiato i 109.000 cattolici giordani a fidarsi di Gesù, ad avere fiducia nel suo amore per il suo gregge ed a "perseverare nella vostra testimonianza per il trionfo del suo amore".
"La gente dovrebbe essere grata" ha detto "per l'amore di Dio che può essere vissuto in famiglia, con l'amore dei nostri padri e delle nostre madri, dei nostri nonni, dei nostri fratelli e delle nostre sorelle".
"Possa ogni famiglia cristiana crescere nella fedeltà alla sua vocazione ad essere una vera scuola di preghiera dove i bambini impirano un sincero amore per Dio, dove maturino nell'auto-disciplina e nella cura dei bisogni degli altri e dove, plasmati dalla saggezza nata dalla fede, contribuiscano alla costruzione di una società sempre più giusta e fraterna " ha pregato il Papa.
Notando come la chiesa locale sia quasi alla fine di un anno speciale dedicato alla famiglia, che ha dedicato particolare interesse alla dignità delle donne, Papa Benedetto ha esortato il popolo a riconoscere "quanto la vostra società debba a tutte quelle donne che in modo diverso ed a volte coraggioso hanno dedicato la loro vita a costruire la pace e promuovere l'amore."
"Con il suo pubblico rispetto nei confronti delle donne e la sua difesa della dignità innata di ogni persona umana la Chiesa in Terra Santa può dare un importante contributo alla promozione di una cultura di vera umanità ed alla costruzione di una civiltà dell' amore" ha detto.
Una delle mamme presenti alla Santa Messa era Kardsheh Mariana, arrivata da Madaba con il marito ed i figli, tra cui Natalie, di 8 anni, che ha fatto la sua prima Comunione durante la liturgia.
"Non è stato un caso" che Natalie sia stata scelta per essere tra i bambini che hanno ricevuto il sacramento durante la messa papale ha detto Kardsheh.
Lei e suo marito - al tempo non avevano figli - avevano assistito alla messa celebrata ad Amman da Giovanni Paolo II nel 2000.
"Sono arrivata fino alla papamobile. Lui mi ha guardato, ho visto i suoi occhi ed ho detto una preghiera" ha detto Kardsheh. Due mesi più tardi mentre dormiva fece un sogno: "Aprii gli occhi e vidi un angelo e sapevo che mi sarebbe nata una bambina."
Kardsheh è convinta che la nascita di Natalie sia stata una risposta alla preghiera da lei recitata alla presenza di Papa Giovanni Paolo II e che fosse giusto che Natalie ricevesse la prima comunione durnate la messa celebrata da Papa Benedetto.
Con cattolici che assistono alla Messa e che provengono da tutto il Medio Oriente, compreso l'Iraq martoriato dalla violenza, Papa Benedetto ha detto che sa che i cristiani della regione soffrono per "difficoltà e incertezze."
"Possiate non dimenticare la grande dignità che deriva dal vostro patrimonio cristiano e possiate sentire l'amorevole solidarietà di tutti i vostri fratelli e sorelle nella Chiesa in tutto il mondo", ha detto.
La famiglia Naiomi, caldei cattolici fuggiti ad Amman da Mosul in Iraq tre anni fa, era tra la folla per la Messa. "Vogliamo che il papa dia un messaggio di pace in modo che le persone possano di capire che la religione cristiana è una religione di pace." ha dichiarato il ventiquattrenne Saif Naiomi.
"Vorrei che il Papa potesse andare in Iraq ma non può perchè non c'è sicurezza" ha aggiunto.
Papa Benedetto XVI ha incoraggiato i fedeli a rimanere in Medio Oriente, a lavorare per il bene dei loro paesi e rimanere saldi nella fede della loro comunità fondata dai discepoli di Gesù.
"La fedeltà alle vostre radici cristiane, alla missione della Chiesa in Terra Santa, esige da ciascuno di voi un particolare tipo di coraggio: il coraggio della convinzione, nato dalla fede personale e non mera convenzione sociale o tradizione familiare" ha detto.
Essere cristiano significa avere "il coraggio di impegnarsi nel dialogo e di lavorare fianco a fianco con gli altri cristiani a servizio del Vangelo e per la solidarietà verso i poveri, gli sfollati e le vittime di profondi drammi umani," ha detto il papa.
I cristiani devono costruire ponti verso i membri di altre fedi e culture, aprire un dialogo che "arricchirà il tessuto della società" ha aggiunto.
Ed in una regione dilaniata dalla violenza e dal terrorismo Papa Benedetto ha detto ai presenti alla Messa che essere fedeli "significa anche testimoniare l'amore che ci spinge ad impostare la nostra vita al servizio degli altri, contrastando così le forme di pensiero che giustificano la morte di vite innocenti ".

Con il contributo di Doreen Abi Raad da Amman

L'incoraggiamento del Papa ai cristiani della Giordania nella Messa ad Amman. L'omaggio alla testimonianza di fede e amore delle donne di Terra Santa


“Che il coraggio di Cristo … vi sostenga quotidianamente nei vostri sforzi di dare testimonianza della fede cristiana e di mantenere la presenza della Chiesa in queste antiche terre”: è quanto ha detto il Papa stamani nell’omelia della Messa da lui presieduta nell’International Stadium di Amman, alla presenza di almeno 30 mila persone.
Benedetto XVI ha poi voluto rendere omaggio alle donne della Terra Santa e alla loro testimonianza di fede e di amore. Oggi è la terza ed ultima giornata del viaggio del Papa in Giordania. Domani il trasferimento a Gerusalemme.
Il nostro inviato ad Amman Pietro Cocco: E’ stata una festa grande oggi ad Amman per la Messa celebrata da Papa Benedetto nello Stadio della città. Trentamila le persone che hanno trovato posto all’interno della struttura sportiva e che hanno potuto pregare con il Papa di domenica, nel ‘Giorno del Signore’. E’ stata l’occasione anche per esprimergli tutta la gioia e la riconoscenza per la sua presenza e il suo incoraggiamento. "Ho pregato, ha detto infatti il Papa, perché la Chiesa in queste terre possa essere confermata nella speranza e fortificata nella sua testimonianza al Cristo Risorto, il Salvatore dell'umanità": "
"Ho a lungo atteso questa opportunità di stare davanti a voi come testimone del Salvatore risorto, ed incoraggiarvi a perseverare nella fede, speranza e carità, in fedeltà alle antiche tradizioni e alla singolare storia di testimonianza cristiana che vi ricollega all'età degli Apostoli. La comunità cattolica di qui è profondamente toccata dalle difficoltà e incertezze che riguardano tutti gli abitanti del Medio Oriente".
Di tutti questi sentimenti si è fatto portavoce, all’inizio della celebrazione di stamattina, il Patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, rivolgendo il suo saluto al Papa a nome di tutti i cittadini giordani, musulmani e cristiani, dell’Assemblea dei vescovi e patriarchi della Terra Santa, e con tutti i fedeli giunti dai Paesi arabi vicini. “Siamo ansiosi di mostrarLe, ha aggiunto, la nostra ospitalità arabo-giordana". Riferendosi poi alla giornata di preghiera per le vocazioni che si celebra oggi in Giordania, il Patriarca ha scherzato dicendo che c’è un problema con i seminaristi in Terra Santa, perchè il seminario di Beit Jala, per la prima volta, è troppo pieno!
Il Patriarca Twal ha ricordato anche le migliaia di migranti che sono giunte in Giordania per lavoro, specialmente dall’Asia, come pure i milioni di rifugiati, in gran parte palestinesi, che sono stati accolti in questo Paese. A cui si sono aggiunti circa un milione gli iracheni, tra cui quarantamila cristiani, ai quali la Chiesa insieme alla Caritas assicura assistenza materiale e spirituale.
Una realtà ben presente al Papa, che ne ha preso spunto per rivolgere un forte invito alla Chiesa giordana e a tutta la Terra Santa: "La fedeltà alle vostre radici cristiane, la fedeltà alla missione della Chiesa in Terra Santa, vi chiedono un particolare tipo di coraggio: il coraggio della convinzione nata da una fede personale, non semplicemente da una convenzione sociale o da una tradizione familiare; il coraggio di impegnarvi nel dialogo e di lavorare fianco a fianco con gli altri cristiani nel servizio del Vangelo e nella solidarietà con il povero, lo sfollato e le vittime di profonde tragedie umane; il coraggio di costruire nuovi ponti per rendere possibile un fecondo incontro di persone di diverse religioni e culture e così arricchire il tessuto della società".
Questo, ha proseguito il Papa, significa anche dare testimonianza all'amore che ci ispira a "sacrificare" la nostra vita nel servizio agli altri e così a contrastare modi di pensare che giustificano lo "stroncare" vite innocenti. Ed al tema dell’amore, quello con il quale Dio ci ha amati, Benedetto XVI ha poi dedicato l’altra parte della sua omelia, parlando della vocazione della famiglia e della dignità e della missione delle donne nel piano di Dio: "Le forti famiglie cristiane di queste terre sono una grande eredità tramandata dalle precedenti generazioni. Possano le famiglie di oggi essere fedeli a questa grande eredità e non venga mai a mancare il sostegno materiale e morale di cui hanno bisogno per attuare il loro insostituibile ruolo a servizio della società". Benedetto XVI ha poi voluto rendere omaggio alle donne della Terra Santa, ricordando che la Chiesa in queste terre deve molto alla loro testimonianza di fede e di amore. Innumerevoli madri cristiane, suore, maestre e infermiere, e tutte quelle donne , ha detto ancora il Papa, che in diverse maniere hanno dedicato la loro vita a costruire la pace e a promuovere l'amore!"
"Sfortunatamente, questa dignità e missione donate da Dio alle donne non sono state sempre sufficientemente comprese e stimate. La Chiesa, e la società nel suo insieme, sono arrivate a rendersi conto quanto urgentemente abbiamo bisogno di ciò che il mio predecessore Papa Giovanni Paolo II chiamava 'il carisma profetico' delle donne (cfr Mulieris dignitatem, 29)". Un carisma che si manifesta nel loro essere portatrici di amore, maestre di misericordia e costruttrici di pace, comunicatrici di calore ed umanità ad un mondo che troppo spesso giudica il valore della persona con freddi criteri di sfruttamento e profitto. Nel dare una pubblica testimonianza di rispetto per le donne e nella difesa dell'innata dignità di ogni persona umana, ha concluso, la Chiesa in Terra Santa porta un importante contributo allo sviluppo di una cultura di vera umanità e alla costruzione della civiltà dell'amore.

L'appello del Papa a non dimenticare i cristiani iracheni. Najim: speriamo che la comunità internazionale si svegli


Benedetto XVI
durante il suo viaggio in Giordania più volte ha espresso la sua vicinanza ai cristiani iracheni: quelli che sono rimasti nel loro Paese e quanti sono fuggiti. Ha chiesto il sostegno per i profughi e ha lanciato un nuovo appello alla comunità internazionale perché faccia “tutto ciò che è possibile per assicurare all’antica comunità cristiana di quella nobile terra il fondamentale diritto di pacifica coesistenza con i propri concittadini”.
In Giordania sono oltre 40 mila sono cristiani. Quali sono le loro difficoltà?
Sergio Centofanti lo ha chiesto al corepiscopo Philip Najim, visitatore per i fedeli Caldei in Europa:
"Le difficoltà sono enormi e, essendo ospiti in quel Paese, approfitto dell’occasione per ringraziare il governo e Sua Maestà, il Re di Giordania, per questa accoglienza ai nostri iracheni sia musulmani che cristiani. Nonostante tutto, sappiamo che il Paese è piccolo e limitato nelle sue risorse, quindi gli iracheni si trovano in grande difficoltà e in grande sofferenza: è molto difficile per loro vivere una vita normale. Speriamo che un giorno la comunità internazionale si svegli, attraverso anche l’appello del Santo Padre, e dia una mano a questi profughi iracheni, perché possano vivere la loro vita con dignità."
Qual è la situazione pastorale di questi profughi cristiani?
"E’ una situazione veramente molto difficile, perché non si trova un luogo di culto specifico per questi migranti iracheni. Noi abbiamo una un sacerdote messo a loro disposizione, al loro servizio, perché possa dare ancora questa speranza: che la Chiesa vive e vive ancora nel cammino di fede di queste persone che speriamo possano anche attraverso la loro sofferenza dare una testimonianza di Cristo, la testimonianza di essere attaccati a Cristo e di vivere la Parola di Cristo."
Il Papa ha lanciato un appello a non abbandonare i cristiani in Iraq, che vivono momenti di grandi difficoltà...
"Questi cristiani devono essere sostenuti, devono essere incoraggiati, devono essere aiutati e non devono essere dimenticati. Tutto l’Iraq non deve essere dimenticato. La comunità internazionale deve continuare a sostenere questo popolo che ancora soffre."
Continuano le violenze anticristiane in Iraq?
"Ci sono violenze non soltanto anticristiane, ci sono violenze anche contro le altre etnie. Ci sono delle forze oscure che vogliono creare una divisione del popolo iracheno, perché creando queste divisioni rallentano il processo di pace, rallentano il processo dello sviluppo dell’Iraq. Perciò chiediamo al popolo iracheno di essere unito e di dimenticare gli interessi personali, per alleviare questa sofferenza."

9 maggio 2009

Il Papa: la comunità internazionale difenda i cristiani iracheni

Fonte: ZENIT

di Mirko Testa

La comunità internazionale compia ogni sforzo necessario per assicurare ai cristiani iracheni il giusto diritto di cittadinanza nel loro paese. E' stato l'appello lanciato da Benedetto XVI nel visitare questo sabato mattina la Moschea “al-Hussein bin-Talal” di Amman.
Nel discorso rivolto per l'occasione di fronte ai Capi religiosi musulmani, al Corpo diplomatico e ai Rettori delle Università giordane, il Santo Padre ha richiamato il dramma dei fedeli iracheni, salutando Sua Beatitudine Emmanuel III Delly, il Patriarca di Babilonia dei Caldei, presente all'incontro insieme a mons. Shleimun Warduni, Vescovo ausiliare di Babilonia dei Caldei.
“La sua presenza richiama alla mente i cittadini del vicino Iraq, molti dei quali hanno trovato cordiale accoglienza qui in Giordania”, ha detto il Papa.
L'invasione delle truppe statunitensi in Iraq nel 2003 ha spinto circa 1,8 milioni di persone a trovare scampo nei paesi limitrofi. In particolare, i rifugiati iracheni di religione cristiana, che vivono attualmente in Giordania, sono in tutto all'incirca 20 mila.
“Gli sforzi della comunità internazionale nel promuovere la pace e la riconciliazione, insieme con quelli dei leader locali, devono continuare in vista di portare frutto nella vita degli iracheni”, ha sottolineato il Santo Padre.
Successivamente il Pontefice ha espresso il proprio “apprezzamento per tutti coloro che sostengono gli sforzi volti ad approfondire la fiducia e a ricostruire le istituzioni e le infrastrutture essenziali al benessere di quella società”.
“Ancora una volta
– ha concluso – chiedo con insistenza ai diplomatici ed alla comunità internazionale da essi rappresentata, come anche ai leader politici e religiosi locali, di compiere tutto ciò che è possibile per assicurare all’antica comunità cristiana di quella nobile terra il fondamentale diritto di pacifica coesistenza con i propri concittadini”.
A testimoniare la sensibilità del Santo Padre su tali questioni, 40 bambini della comunità caldea dei rifugiati iracheni – secondo quanto rivelato dall'agenzia SIR – riceveranno la Prima Comunione dalle mani Benedetto XVI, domenica 10 maggio, nel corso della Messa nell’International Stadium di Amman.
Le parole del Papa riflettono un dramma che continua a consumarsi nel silenzio di gran parte della stampa, nonostante l’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR) abbia annunciato di voler rivedere, per la prima volta dalla fine del 2007, le linee guida che stabiliscono i criteri di accettazione dei richiedenti asilo iracheni, alla luce del miglioramento della situazione in Iraq.
Nella sua Relazione 2009 la Commissione negli Stati Uniti sulla Libertà Religiosa Internazionale (USCIRF) ha infatti indicato l'Iraq come un paese che continua ad essere fonte di preoccupazioni.
E' notizia del 26 aprile scorso l'uccisione di tre cristiani a Kirkuk, a opera di alcuni uomini armati, che segue da vicino l'omicidio di altri 4 cristiani a Kirkuk, Baghdad e Mosul.
Secondo quanto riferito dal sito “Baghdadhope” i Vescovi che hanno partecipato al recente Sinodo della Chiesa caldea tenutosi nel seminario di Ankawa, nel nord dell' Iraq, hanno chiesto al governo iracheno di facilitare il ritorno dei rifugiati e degli sfollati iracheni cristiani anche attraverso una politica di compensazione che rafforzi la presenza cristiana.