By Baghdadhope
In neanche 4 mesi le minoranze irachene hanno visto falcidiare il numero dei propri rappresentanti che potranno correre per le elezioni dei consigli provinciali che si terranno entro il 31 gennaio 2009.
La proposta di legge del 22 luglio scorso a regolazione di tali elezioni sanciva con l’articolo 50 che alle minoranze sarebbero stati riservati 15 seggi in 6 province.
Ai cristiani:
Baghdad=3
Baghdad=3
Ninive=3
Erbil=2
Dohuk=2
Kirkuk=2
Bassora=1
Per gli Shabak e gli Yazidi 1 seggio per comunità
Il 24 settembre, nel corso di una revisione della legge, l’articolo 50 era stato cancellato e di conseguenza le minoranze erano “sparite” dai conti dei seggi dei prossimi consigli provinciali. La cosa non era ovviamente passata sotto silenzio ed esponenti politici e religiosi, iracheni e non, avevano elevato proteste che avevano trovato spazio anche sui media mondiali.
Il 24 settembre, nel corso di una revisione della legge, l’articolo 50 era stato cancellato e di conseguenza le minoranze erano “sparite” dai conti dei seggi dei prossimi consigli provinciali. La cosa non era ovviamente passata sotto silenzio ed esponenti politici e religiosi, iracheni e non, avevano elevato proteste che avevano trovato spazio anche sui media mondiali.
In un tentativo di compromesso il rappresentante speciale delle Nazioni Unite in Iraq, Staffan De Mistura, lo scorso 28 ottobre si era fatto portavoce di una proposta che tagliando drasticamente la rappresentatività delle minoranze, riducendo da 6 a 3 le province in cui garantire loro dei seggi e portando questi ultimi ad un totale di 12 sui 15 precedenti, aveva suscitato reazioni non propriamente di accordo. Così Abdallah Al Naufali, capo dell’ufficio governativo per gli affari dei non-musulmani, in una dichiarazione esclusiva a Baghdadhope aveva definito la proposta delle NU come “meglio di niente” mentre di “elemosina” aveva parlato al SIR Monsignor Shleimun Warduni, Patriarca vicario caldeo.
Monsignor Warduni che è stato uno dei 10 vescovi cattolici firmatari di un documento stilato a termine di un incontro di due giorni avvenuto ad Ankawa (la traduzione del quale ad opera di Padre Amer Youkhanna è in calce a questo post) il cui punto 4 era proprio una richiesta al governo ed al parlamento della reintroduzione dell’articolo 50 intendendo per esso quello proposto il 22 luglio, magari con l’aggiunta del seggio riservato alla comunità mandea proposto da De Mistura e prima assente.
Una richiesta che ieri ha avuto risposta dal parlamento iracheno dove 106 deputati sui 150 presenti scegliendo tra tre opzioni hanno votato per un'ulteriore diminuzione degli spazi politici concessi alle minoranze che saranno così rappresentate:
Baghdad: 1 (Cristiani) 1 (Mandei)
Ninive: 1(Cristiani) 1 (Shabak) 1 (Yazidi)
Bassora:1 (Cristiani)
Ricapitolando: dai 15 seggi di luglio si è passati ai 12 si settembre ed ai 6 di oggi.
Dall’articolo 50 originario i cristiani perdono ben 10 seggi, gli shabak e gli yazidi mantengono 1 seggio ed i mandei lo guadagnano.
“I cristiani domanderanno alla presidenza del consiglio di cancellare l’emendamento” ha subito dichiarato ad Awzat Al Iraq il politico cristiano Yonadam Kanna mentre, è sempre Awzat Al Iraq a riportarlo, il capo del Comitato delle Regioni e delle Province presso il Parlamento iracheno ha suggerito alle minoranze Shabak e Yazidi la possibilità di fare ricorso alla Corte Federale contro la legge approvata dal Parlamento che, come riportato da Osservatorio Iraq “Si tratta di una misura provvisoria … queste quote saranno valide solo per questa tornata di elezioni provinciali, mentre le prossime dovranno attendere un censimento, che ancora non è stato messo in calendario.”
Un suggerimento che potrebbe essere di aiuto anche alla comunità cristiana che non solo ha dovuto sopportare le violenze che nello scorso mese l’hanno colpita a Mosul ma anche questo nuovo smacco che contraddice tutte le manifestazioni di solidarietà ed amicizia che tutte le parti politiche avevano espresso, e delle quali i cristiani si sono sempre dimostrati grati convinti che potessero portare ad una revoca della cancellazione dell’articolo 50 ed al suo ripristino.
“Tutte le garanzie, le promesse che abbiamo ricevuto dalle massime cariche dello Stato si sono rivelate, purtroppo, vane. Ci stanno dando un goccio d’acqua, vogliono farci morire di sete, sete di diritti. E il mondo sta zitto, non parla. Questa è la democrazia: lo chiamano rispetto dei diritti umani, sono venuti a portarci la democrazia ma eccola la democrazia. Ci vogliono cancellare dall’Iraq” ha dichiarato infatti Monsignor Warduni al SIR.
Monsignor Warduni che è stato uno dei 10 vescovi cattolici firmatari di un documento stilato a termine di un incontro di due giorni avvenuto ad Ankawa (la traduzione del quale ad opera di Padre Amer Youkhanna è in calce a questo post) il cui punto 4 era proprio una richiesta al governo ed al parlamento della reintroduzione dell’articolo 50 intendendo per esso quello proposto il 22 luglio, magari con l’aggiunta del seggio riservato alla comunità mandea proposto da De Mistura e prima assente.
Una richiesta che ieri ha avuto risposta dal parlamento iracheno dove 106 deputati sui 150 presenti scegliendo tra tre opzioni hanno votato per un'ulteriore diminuzione degli spazi politici concessi alle minoranze che saranno così rappresentate:
Baghdad: 1 (Cristiani) 1 (Mandei)
Ninive: 1(Cristiani) 1 (Shabak) 1 (Yazidi)
Bassora:1 (Cristiani)
Ricapitolando: dai 15 seggi di luglio si è passati ai 12 si settembre ed ai 6 di oggi.
Dall’articolo 50 originario i cristiani perdono ben 10 seggi, gli shabak e gli yazidi mantengono 1 seggio ed i mandei lo guadagnano.
“I cristiani domanderanno alla presidenza del consiglio di cancellare l’emendamento” ha subito dichiarato ad Awzat Al Iraq il politico cristiano Yonadam Kanna mentre, è sempre Awzat Al Iraq a riportarlo, il capo del Comitato delle Regioni e delle Province presso il Parlamento iracheno ha suggerito alle minoranze Shabak e Yazidi la possibilità di fare ricorso alla Corte Federale contro la legge approvata dal Parlamento che, come riportato da Osservatorio Iraq “Si tratta di una misura provvisoria … queste quote saranno valide solo per questa tornata di elezioni provinciali, mentre le prossime dovranno attendere un censimento, che ancora non è stato messo in calendario.”
Un suggerimento che potrebbe essere di aiuto anche alla comunità cristiana che non solo ha dovuto sopportare le violenze che nello scorso mese l’hanno colpita a Mosul ma anche questo nuovo smacco che contraddice tutte le manifestazioni di solidarietà ed amicizia che tutte le parti politiche avevano espresso, e delle quali i cristiani si sono sempre dimostrati grati convinti che potessero portare ad una revoca della cancellazione dell’articolo 50 ed al suo ripristino.
“Tutte le garanzie, le promesse che abbiamo ricevuto dalle massime cariche dello Stato si sono rivelate, purtroppo, vane. Ci stanno dando un goccio d’acqua, vogliono farci morire di sete, sete di diritti. E il mondo sta zitto, non parla. Questa è la democrazia: lo chiamano rispetto dei diritti umani, sono venuti a portarci la democrazia ma eccola la democrazia. Ci vogliono cancellare dall’Iraq” ha dichiarato infatti Monsignor Warduni al SIR.
Altrettanto dura è la dichiarazione fatta a Baghdadhope da Abdallah Al Naufali che parla chiaramente di “un affronto” e di un “netto rifiuto della nuova legge” e che avanza l’ipotesi secondo la quale la riduzione dei seggi per le minoranze – e quelli dei cristiani in particolare – fa parte di un piano che vedeva in essi un eventuale rafforzamento della posizione curda nella contesa legata alla composizione etnica di Mosul, da sempre “araba” ma che dallo scoppio della guerra nel 2003 ha visto una sempre maggiore presenza curda.
Contesa tra il governo centrale e quello regionale curdo che da giorni ha attirato l’attenzione degli osservatori internazionali che hanno persino previsto possa evolvere in un conflitto e che, giudicata con il senno di poi, giustifica secondo alcuni le violenze scatenatesi contro la minoranza cristiana di Mosul nel mese di ottobre.
Chi ha ucciso i cristiani di Mosul? Chi ha costretto più di 2000 famiglie alla fuga? I curdi, si è detto fin dall’inizio. I curdi sotto il cui controllo era all’epoca dei fatti la parte nuova di Mosul dove essi sono avvenuti. E perché l’avrebbero fatto per poi accogliere un buon numero di profughi sul proprio territorio ed offrire loro aiuto? Un’ipotesi è stata che nell’Iraq del 2008 è molto difficile trovare e condannare i colpevoli di un crimine, ma è allo stesso tempo molto più facile assumere il ruolo del “buono” offrendo case e pasti caldi. I curdi, quindi, secondo questa ipotesi avrebbero prima costretto i cristiani di Mosul alla fuga per poterne poi “comprare” i favori portandoli a considerare come unica possibilità di sopravvivenza l’adesione della Piana di Ninive - dove molti si sono rifugiati - al Kurdish Regional Government, così pronto e disponibile a dar loro aiuto da mobilitare allo scopo il Ministro delle Finanze, il cristiano Sarkis Aghajan. O “Rabi Sarkis” come tutti i cristiani ormai chiamano colui che in questi anni ha elargito a piene mani fondi alla comunità, che ha certo risolto i problemi di molti, ma che non riesce ad eliminare il sospetto che grava su di sé di averlo fatto per servire il progetto curdo dell’allargamento del proprio territorio esattamente nella Piana di Ninive.
I curdi quindi responsabili di ciò che è successo a Mosul. Potrebbe essere. Ma potrebbero essere anche non gli unici. Perché, ci si è chiesto, le forze governative non sono intervenute a fermare il massacro? Le uccisioni, le intimidazioni, gli attentati non sono durati un solo giorno, ma nessuno ha mosso un dito per fermarle.
Questa volta l’ipotesi è che il governo centrale abbia “lasciato fare” per far cadere i curdi in una trappola e potersi successivamente liberare di loro. L’intervento fortemente richiesto dell’esercito inviato da Baghdad non ha avuto, infatti, il solo risultato di fermare i massacri ma anche quello – ecco la trappola – di giustificare la “presa” della parte nuova di Mosul e la conseguente “sparizione” da essa delle forze curde.
Mosul araba o curda quindi? Il futuro prossimo darà la risposta. Certamente sempre meno cristiana. Malgrado gli incoraggiamenti dei vescovi, gli incentivi economici offerti loro, le chiese che ormai hanno ripreso le regolari attività, le circa 500 famiglie che secondo quanto aveva dichiarato l'altro ieri a Baghdadhope Monsignor Shleimun Warduni avevano fatto ritorno alle proprie case, la decisione del parlamento iracheno non ispira certo fiducia ai cristiani della città ancora profughi altrove.
Contesa tra il governo centrale e quello regionale curdo che da giorni ha attirato l’attenzione degli osservatori internazionali che hanno persino previsto possa evolvere in un conflitto e che, giudicata con il senno di poi, giustifica secondo alcuni le violenze scatenatesi contro la minoranza cristiana di Mosul nel mese di ottobre.
Chi ha ucciso i cristiani di Mosul? Chi ha costretto più di 2000 famiglie alla fuga? I curdi, si è detto fin dall’inizio. I curdi sotto il cui controllo era all’epoca dei fatti la parte nuova di Mosul dove essi sono avvenuti. E perché l’avrebbero fatto per poi accogliere un buon numero di profughi sul proprio territorio ed offrire loro aiuto? Un’ipotesi è stata che nell’Iraq del 2008 è molto difficile trovare e condannare i colpevoli di un crimine, ma è allo stesso tempo molto più facile assumere il ruolo del “buono” offrendo case e pasti caldi. I curdi, quindi, secondo questa ipotesi avrebbero prima costretto i cristiani di Mosul alla fuga per poterne poi “comprare” i favori portandoli a considerare come unica possibilità di sopravvivenza l’adesione della Piana di Ninive - dove molti si sono rifugiati - al Kurdish Regional Government, così pronto e disponibile a dar loro aiuto da mobilitare allo scopo il Ministro delle Finanze, il cristiano Sarkis Aghajan. O “Rabi Sarkis” come tutti i cristiani ormai chiamano colui che in questi anni ha elargito a piene mani fondi alla comunità, che ha certo risolto i problemi di molti, ma che non riesce ad eliminare il sospetto che grava su di sé di averlo fatto per servire il progetto curdo dell’allargamento del proprio territorio esattamente nella Piana di Ninive.
I curdi quindi responsabili di ciò che è successo a Mosul. Potrebbe essere. Ma potrebbero essere anche non gli unici. Perché, ci si è chiesto, le forze governative non sono intervenute a fermare il massacro? Le uccisioni, le intimidazioni, gli attentati non sono durati un solo giorno, ma nessuno ha mosso un dito per fermarle.
Questa volta l’ipotesi è che il governo centrale abbia “lasciato fare” per far cadere i curdi in una trappola e potersi successivamente liberare di loro. L’intervento fortemente richiesto dell’esercito inviato da Baghdad non ha avuto, infatti, il solo risultato di fermare i massacri ma anche quello – ecco la trappola – di giustificare la “presa” della parte nuova di Mosul e la conseguente “sparizione” da essa delle forze curde.
Mosul araba o curda quindi? Il futuro prossimo darà la risposta. Certamente sempre meno cristiana. Malgrado gli incoraggiamenti dei vescovi, gli incentivi economici offerti loro, le chiese che ormai hanno ripreso le regolari attività, le circa 500 famiglie che secondo quanto aveva dichiarato l'altro ieri a Baghdadhope Monsignor Shleimun Warduni avevano fatto ritorno alle proprie case, la decisione del parlamento iracheno non ispira certo fiducia ai cristiani della città ancora profughi altrove.
Tra tutte queste ipotesi comunque una sola cosa è certa. Le sorti della piccola minoranza irachena cristiana sono a rischio, ed ogni paese che già si definisce “democratico” dovrebbe denunciare questa “scomparsa annunciata”.
O dovremo dare ragione a Monsignor Warduni ed ammettere che “Il mondo sta zitto, non parla”.
E magari vergognarci del nostro silenzio.
Dichiarazione dalla conferenza episcopale cattolica in Iraq
(Traduzione per Baghdadhope di Padre Amer Youkhanna)
Dichiarazione dalla conferenza episcopale cattolica in Iraq
(Traduzione per Baghdadhope di Padre Amer Youkhanna)
Mercoledì 29 ottobre 2008 i vescovi cattolici iracheni si sono riuniti ad Ankawa per discutere della drammatica e preoccupante situazione venutasi a creare recentemente a Mosul.
I vescovi, dopo aver contattato le autorità supreme e dopo incontrato ed ascoltato i rifugiati sono arrivati alla conclusione che ciò che è accaduto ai cristiani faccia parte di un “piano politico” che ha come scopo quello di creare divisione e scontri tra le componenti del paese, e per questa ragione sentono l’obbligo di rilasciare la seguente dichiarazione:
1. Far fuggire i cristiani da Mosul nel modo drammatica con cui è avvenuto è un atto pericoloso ed intenzionale, che sembra strumentale alla divisione ed alla frammentazione della patria.
2. I cristiani fanno parte dall’unione della patria. Era obbligo delle forze dell’ordine intervenire immediatamente per proteggergli e ciò che è successo non corrisponde alla responsabilità che lo stato ha di proteggere i suoi cittadini. E’ necessario quindi che lo stato risolva il problema dei rifugiati da Mosul, offra loro possibilità adeguate per tornare nelle proprie case, risarcisca i danni e garantisca la sicurezza.
3. I vescovi assicurano la fedeltà dei cristiani all’Iraq ed il loro volere continuare a vivere e collaborare con tutti i fratelli della patria nel bene e nel male. Ed assicurano inoltre, in quanto come vescovi di queste comunità, che i cristiani non hanno nessun interesse a vivere separati dalle altri componenti dell’Iraq sotto qualsiasi nome o forma.
4. In questa occasione i vescovi riuniti chiedono di nuovo ai responsabili (governo e parlamento) di reintegrare l’articolo 50 della costituzione. Perché la costituzione garantisce la nostra rappresentanza e partecipazione al governo e le nostre responsabilità, e chiedono inoltre di assicurare i diritti delle altre minoranze.
In conclusione vogliamo esprimere la nostra gratitudine e riconoscenza a tutte le organizzazioni e personalità religiose o politiche, compresi i diplomatici, a Mosul, in Iraq e nel mondo, che ci hanno espresso la loro solidarietà e vicinanza in questa terribile situazione, hanno dato il loro aiuto sia materiale sia nell’attirare l’attenzione sulle gravi conseguenze di questi attacchi, ed hanno chiesto il ritorno dei rifugiati e il loro risarcimento. Ringraziamo inoltre tutti i mezzi di comunicazione che si sono impegnati a coprire questi tragici avvenimenti.
Il Signore benedica e protegga tutti voi.
Viva l’Iraq
I vescovi, dopo aver contattato le autorità supreme e dopo incontrato ed ascoltato i rifugiati sono arrivati alla conclusione che ciò che è accaduto ai cristiani faccia parte di un “piano politico” che ha come scopo quello di creare divisione e scontri tra le componenti del paese, e per questa ragione sentono l’obbligo di rilasciare la seguente dichiarazione:
1. Far fuggire i cristiani da Mosul nel modo drammatica con cui è avvenuto è un atto pericoloso ed intenzionale, che sembra strumentale alla divisione ed alla frammentazione della patria.
2. I cristiani fanno parte dall’unione della patria. Era obbligo delle forze dell’ordine intervenire immediatamente per proteggergli e ciò che è successo non corrisponde alla responsabilità che lo stato ha di proteggere i suoi cittadini. E’ necessario quindi che lo stato risolva il problema dei rifugiati da Mosul, offra loro possibilità adeguate per tornare nelle proprie case, risarcisca i danni e garantisca la sicurezza.
3. I vescovi assicurano la fedeltà dei cristiani all’Iraq ed il loro volere continuare a vivere e collaborare con tutti i fratelli della patria nel bene e nel male. Ed assicurano inoltre, in quanto come vescovi di queste comunità, che i cristiani non hanno nessun interesse a vivere separati dalle altri componenti dell’Iraq sotto qualsiasi nome o forma.
4. In questa occasione i vescovi riuniti chiedono di nuovo ai responsabili (governo e parlamento) di reintegrare l’articolo 50 della costituzione. Perché la costituzione garantisce la nostra rappresentanza e partecipazione al governo e le nostre responsabilità, e chiedono inoltre di assicurare i diritti delle altre minoranze.
In conclusione vogliamo esprimere la nostra gratitudine e riconoscenza a tutte le organizzazioni e personalità religiose o politiche, compresi i diplomatici, a Mosul, in Iraq e nel mondo, che ci hanno espresso la loro solidarietà e vicinanza in questa terribile situazione, hanno dato il loro aiuto sia materiale sia nell’attirare l’attenzione sulle gravi conseguenze di questi attacchi, ed hanno chiesto il ritorno dei rifugiati e il loro risarcimento. Ringraziamo inoltre tutti i mezzi di comunicazione che si sono impegnati a coprire questi tragici avvenimenti.
Il Signore benedica e protegga tutti voi.
Viva l’Iraq