By Baghdadhope
La decisione del governo iracheno di garantire solo 6 seggi alle minoranze (cristiana, shabak, mandea e yazida) alle prossime elezioni dei consigli provinciali ha suscitato sconcerto nel paese. Alle rimostranze espresse da Monsignor Shleimun Warduni, patriarca vicario caldeo, si sono unite quelle di molti altri esponenti religiosi e politici.
A partire dallo sceicco Satar Jabar Alhalu, leader della comunità mandea che ha esplicitamente richiesto l’approvazione della proposta fatta lo scorso 27 ottobre da Staffan De Mistura, rappresentante speciale delle Nazioni Unite, che prevedeva 12 seggi per le minoranze e non le 6 ora approvati. E questo sebbene la sua comunità sia quella che ha maggiormente beneficiato dalla cancellazione dell’articolo 50 che a luglio prevedeva 15 seggi per le minoranze ma nessuno per i mandei.
“Preoccupazione” è stata espressa dal Nunzio Apostolico in Giordania ed Iraq, Monsignor Francis A. Chullikat che ha sottolineato come la decisione del governo potrà avere degli effetti negativi non solo sulla comunità cristiana che da luglio a novembre ha “perso” ben 10 seggi, ma anche sulle altre minoranze.
“Inaccettabile” ha definito Monsignor Louis Sako, da Roma dove ha partecipato agli incontri cristiano-islamici degli scorsi giorni, che i più di 250.000 cristiani di Baghdad ed i più di 100.000 di Mosul saranno rappresentati da un solo politico eletto in ambo i consigli provinciali.
Di prova del mancato riconoscimento dei legittimi diritti dei cristiani che non devono essere considerati e trattati come cittadini di seconda classe, ha invece parlato Monsignor Mati Shaba Matoka, vescovo siro cattolico di Baghdad.
Interessante, tra le voci –poche a dire il vero – non appartenenti alle minoranze colpite dal provvedimento, l’obiezione del parlamentare curdo Abd Albari Zebari, del Comitato Relazioni Estere, che vede nella sua applicazione la causa di un possibile peggioramento delle relazioni internazionali, specialmente con l’Europa, con una prevedibile ricaduta sugli investimenti esteri in Iraq.
Una posizione che sottintende l’attenzione alle possibili reazioni dei governi delle nazioni in cui i diritti delle minoranze rappresentano uno dei pilastri della democrazia, e che sembrerebbe addirittura suggerire la strada da intraprendere per favorire un’analoga presa di coscienza da parte del governo iracheno.
A partire dallo sceicco Satar Jabar Alhalu, leader della comunità mandea che ha esplicitamente richiesto l’approvazione della proposta fatta lo scorso 27 ottobre da Staffan De Mistura, rappresentante speciale delle Nazioni Unite, che prevedeva 12 seggi per le minoranze e non le 6 ora approvati. E questo sebbene la sua comunità sia quella che ha maggiormente beneficiato dalla cancellazione dell’articolo 50 che a luglio prevedeva 15 seggi per le minoranze ma nessuno per i mandei.
“Preoccupazione” è stata espressa dal Nunzio Apostolico in Giordania ed Iraq, Monsignor Francis A. Chullikat che ha sottolineato come la decisione del governo potrà avere degli effetti negativi non solo sulla comunità cristiana che da luglio a novembre ha “perso” ben 10 seggi, ma anche sulle altre minoranze.
“Inaccettabile” ha definito Monsignor Louis Sako, da Roma dove ha partecipato agli incontri cristiano-islamici degli scorsi giorni, che i più di 250.000 cristiani di Baghdad ed i più di 100.000 di Mosul saranno rappresentati da un solo politico eletto in ambo i consigli provinciali.
Di prova del mancato riconoscimento dei legittimi diritti dei cristiani che non devono essere considerati e trattati come cittadini di seconda classe, ha invece parlato Monsignor Mati Shaba Matoka, vescovo siro cattolico di Baghdad.
Interessante, tra le voci –poche a dire il vero – non appartenenti alle minoranze colpite dal provvedimento, l’obiezione del parlamentare curdo Abd Albari Zebari, del Comitato Relazioni Estere, che vede nella sua applicazione la causa di un possibile peggioramento delle relazioni internazionali, specialmente con l’Europa, con una prevedibile ricaduta sugli investimenti esteri in Iraq.
Una posizione che sottintende l’attenzione alle possibili reazioni dei governi delle nazioni in cui i diritti delle minoranze rappresentano uno dei pilastri della democrazia, e che sembrerebbe addirittura suggerire la strada da intraprendere per favorire un’analoga presa di coscienza da parte del governo iracheno.