"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

26 novembre 2008

Babel College: storia di una requisizione e di un accordo. Intervista a Mons. Shleimun Warduni, Ausiliare del Patriarca Caldeo.

By Baghdadhope


Si delineano i contorni della vicenda del Babel College, l’unica facoltà teologica cristiana in Iraq di proprietà della chiesa caldea che a metà di novembre è stata “restituita” dall’esercito americano che l’aveva occupata nel marzo del 2007.
Lo stesso uso del verbo restituire fatto da questo blog nel dare la
notizia lo scorso 14 novembre è infatti impreciso secondo Monsignor Shleimun Warduni, Ausiliare del Patriarca Caldeo che ha trattato la vicenda con gli americani.


Baghdadhope lo ha sentito a proposito:
“Restituire qualcosa, e nel nostro caso si sta parlando di edifici istituzionali, presuppone una richiesta di prestito o di uso. Richiesta che non c’è mai stata. Il Patriarcato di Babilonia dei Caldei non ha mai concesso l’uso degli edifici del Babel College o del Seminario Maggiore caldeo di San Pietro all’esercito americano. Quindi come possono restituire una cosa che non ci hanno chiesto?”
Monsignore, quali sono state le tappe della vicenda dal punto di vista delle trattative con l’esercito USA?
“Da quando l’edificio è diventato una base americana mi ci sono recato almeno 15 volte, da solo e due volte accompagnato dal Rettore del Babel College, Mons. Jacques Isaac. Fin dalla prima volta ho tenuto a chiarire ai soldati americani che ciò che avevano fatto occupando il Babel College, che ricordiamo ha al suo interno una cappella, era stato di trasformare in un luogo di guerra ciò che invece era un luogo di pace, di preghiera e di studio. Le nostre richieste di ritornare in possesso dell’edificio non sono state però accolte ed il collegio è diventato una base militare operativa.”
L’accordo ora raggiunto è che gli USA, che lo hanno intanto sgomberato, restaurino ciò che è stato danneggiato..
“All’inizio di novembre sono stato contattato telefonicamente dal comando americano che si è detto pronto a riconsegnare alla chiesa caldea il collegio. Sempre telefonicamente la mia risposta è stata che il Patriarcato non avrebbe accettato nessuna consegna se non preceduta dal restauro del collegio, del Seminario Maggiore, e delle chiese di San Pietro e Paolo e di San Giacomo.
Questa posizione diede il via ad una sorta di braccio di ferro. Gli americani risposero che erano pronti in ogni caso ad abbandonare il collegio ed il Patriarcato sottolineò come la cosa avrebbe certamente trovato vasta eco nei mezzi di informazione che già si erano occupati delle sue sorti. Dopo qualche giorno gli americani si dissero disposti a compiere i lavori di restauro. Con Mons. Isaac mi recai così al Babel College dove consegnammo loro una lista di tutto ciò che c’era negli edifici e dove fu ribadito che gli edifici, danneggiati dall’uso e dall’incuria, devono essere riportati alle antiche condizioni, o attraverso il restauro da parte dello stesso esercito USA o attraverso l’erogazione di fondi che la chiesa userebbe a tal fine. Dopo qualche altro giorno, infine, avemmo l’assicurazione che gli edifici saranno restaurati.”
Monsignore, i soldati americani occupavano di fatto l’edificio del Babel College, che responsabilità hanno nei confronti di quello del seminario e delle due chiese che ha citato?
“Il Seminario, sebbene non alloggiasse soldati americani, è stato da essi colpevolmente trascurato e saccheggiato impunemente sotto i loro occhi. Quando ho chiesto loro di intervenire per fermare i ladri, o anche solo chi sul suo prato portava a pascolare le bestie entrando da un varco nel muro di cinta, mi hanno risposto che non era loro compito. E questo sebbene fossero stati loro a buttarne giù le porte per controllarlo lasciandole poi aperte per mesi. I furti sono finiti solo quando di difenderlo si sono occupati i membri di Sahwa che hanno chiuso il varco nel muro esterno.”
Cosa è stato rubato dal seminario?
“Tutto praticamente. Comprese le attrezzature elettroniche. Ciò che non è stato rubato è stato distrutto. Su un condizionatore era addirittura stato scritto “Questo è prenotato”. Si vede che il ladro non aveva avuto tempo di rubarlo ma aveva voluto comunque assicurarselo dichiarandosene proprietario. Grazie a Dio però la biblioteca non è stata toccata, si vede che i libri non erano interessanti…”
Gli americani quindi si sono impegnati a restaurare il seminario ammettendo implicitamente di non averlo preservato. E le chiese? Avevano occupato anche le chiese?
“No, ma dalla chiesa di San Pietro e Paolo avevano prelevato i banchi che sono stati restituiti in pessime condizioni, non certo come li avevano trovati..”
Anche dalla chiesa di San Giacomo avevano preso qualcosa? Come mai hanno promesso di restaurarla?
“In realtà la chiesa di San Giacomo non si trova nel comprensorio del collegio, del seminario e della chiesa di San Pietro e Paolo, e se ha bisogno di restauro è perché è stata bruciata in un attacco terroristico nell’ottobre del 2004. Gli americani con essa non c’entrano ma durante uno dei miei incontri con loro l’avevo visitata in compagnia di un generale iracheno e di uno americano che in quell’occasione si era comunque impegnato a restaurarla. Ogni volta che mi recavo al Babel College gli americani mi domandavano sempre quando i cristiani sarebbero tornati a Dora, ed io sempre rispondevo loro che sarebbe stato difficile vederli tornare in massa se neanche le chiese erano più in grado di accoglierli.”
Ora che l’impegno americano c’è come procedono i lavori?
“I lavori di restauro si dividono tra quelli del Babel College e quelli del seminario e delle due chiese. Tutti saranno supervisionati da un ingegnere da noi incaricato. Prima che lasciassi l’Iraq gli americani mi hanno comunicato che per quanto riguarda quelli da fare al Babel College saranno dati in appalto ad una ditta irachena il cui titolare mi ha personalmente assicurato che farà un buon lavoro. In ogni caso tra qualche giorno sarò di ritorno a Baghdad e controllerò come stanno procedendo.”
Monsignore, pensa che se non ci fossero stati gli americani i danni agli edifici, che comunque la chiesa caldea aveva dovuto abbandonare nel gennaio 2007 a causa della pericolosità della zona dove si trovano, il tristemente famoso quartiere di Dora, avrebbero potuto essere maggiori?
“Posso dire che prima dell’arrivo degli americani c’erano le guardie nominate dalla chiesa e che l’occupazione da parte dell’esercito USA può essere stata interpretata da alcune frange terroristiche come segno di un accordo tra esso e la chiesa. Un accordo che, ripeto, non c’è mai stato. In ogni caso non amo l’uso del condizionale e posso parlare solo della realtà di oggi.”
E come la descriverebbe?
“La situazione in Iraq cambia molto velocemente ed è diversa da zona a zona. Così, ad esempio, il 15 novembre abbiamo celebrato una Santa Messa a Dora per ricordare la riapertura, avvenuta esattamente un anno prima, della chiesa di San Giovanni Battista. Una bella notizia quindi. Il giorno dopo però l’esplosione di un autobomba nel centro di Baghdad ha danneggiato la Nunziatura Apostolica anche se, grazie a Dio, nessuno è rimasto ferito. Il 24 novembre un ordigno è esploso davanti alla chiesa armena nel centro di Kirkuk danneggiandola. La definirei una situazione fatta di alti e bassi, certamente lontana però dal fare dell’Iraq un paese pacificato”