By Vatican News - La Reference
Jean-Charles Putzolu
Pascal Maguésyan compie il suo primo viaggio in Iraq nel 2008 per incontrare le comunità cristiane, e trova popolazioni ancora profondamente segnate dall’azione delle organizzazioni terroriste. Nella Piana di Ninive, Pascal è accolto da persone provate dalla guerra, in maggioranza fuggite dalla capitale Baghdad e da Mosul. E che raccontano delle pressioni e delle persecuzioni subite.
La conseguenza di questo viaggio è stata che Pascal si consacra alle comunità cristiane d’Oriente fino a pubblicare, oggi, l’album fotografico “Mesopotamia”, che recensisce il patrimonio cristiano della regione. Un patrimonio religioso distrutto o vandalizzato in ogni luogo nel quale sia passata l’organizzazione del sedicente Stato islamico.
“Quando nel 2014 l’Isis si è impadronito della Piana di Ninive e di Mosul, ho capito subito quello che stava succedendo”, racconta Pascal. “Ho capito che l’Isis non se la prendeva solamente con le popolazioni civili – cristiane, yazide o altro – ma con le comunità umane e con il loro patrimonio culturale con l’obiettivo strategico di sradicare civiltà intere”.
Decide quindi di creare l’Associazione “Mesopotamia Heritage” per inventariare il patrimonio cristiano e yazida.
15 anni di viaggi in Mesopotamia
Pascal Maguésyan gira l’Iraq in lungo e in largo, riprende e fotografa i monumenti danneggiati, contatta associazioni e fondazioni per sensibilizzare le coscienze sulla necessità di far rivivere quel patrimonio, senza il quale il ritorno delle comunità cristiane – già ampiamente compromesso – sarà ancora più difficile.
Pascal constata sul posto che non c’è un edificio religioso che sia sfuggito alla furia distruttrice dell’Isis. “Una politica sistematica”, afferma il fotografo, che però ribadisce pure che a Mosul alcuni edifici religiosi, chiese e monasteri – soprattutto nella città vecchia – sono stati vittime anche dei bombardamenti della coalizione internazionale nelle operazioni militari volte a cacciare i jihadisti e a liberare la città.
Una ricostruzione fragile…
Oggi l’Iraq scrive una pagina nuova della sua storia e tante comunità, nel Paese, sostengono ancora la fattibilità della “convivenza”. Circa un terzo dei cristiani sfollati nella Piana di Ninive è tornato ad insediarsi nella sua comunità d’origine; un altro terzo è sempre in Kurdistan, e quindi ancora sfollato; l’ultimo terzo ha lasciato l’Iraq, in alcuni casi in via definitiva, per andare a vivere in altri Paesi nel Golfo arabo, in Europa o negli Stati Uniti. Per quanto riguarda Mosul, invece, la situazione è un po’ diversa. Solo una cinquantina di famiglie è tornata in città, soprattutto nella parte orientale di Mosul, ma non nella città vecchia.
“Siamo ancora lontani dall’aver raggiunto l’obiettivo”, dice Pascal Maguésyan; “una volta, prima della caduta del regime di Saddam Hussein, prima di Al Qaeda, prima dell’Isis, i cristiani a Mosul erano decine di migliaia”.
“Siamo ancora lontani dall’aver raggiunto l’obiettivo”, dice Pascal Maguésyan; “una volta, prima della caduta del regime di Saddam Hussein, prima di Al Qaeda, prima dell’Isis, i cristiani a Mosul erano decine di migliaia”.
Per stimolare il ritorno dei cristiani appare fondamentale la componente del patrimonio religioso, considerando che la chiesa o il monastero sono luoghi d’incontro per eccellenza, per queste comunità. Per questo è assolutamente necessario restaurare o ricostruire quegli edifici, se vogliamo che esse possano riaffondare le loro radici, rinsaldarsi e riconnettersi ai loro villaggi e alla loro terra. Nella Piana di Ninive i cristiani sono abbastanza numerosi per farsi carico, dal punto di vista finanziario, del restauro dei loro luoghi di culto, ma sono aiutati anche da donatori internazionali, dalle ong e da alcune associazioni. Grazie a questi impegni combinati e alle comunità locali che si sono rimboccate le maniche, oggi l’80-90 per cento del patrimonio cristiano e yazida nella Piana di Ninive è in via di ricostruzione.
E invece, ancora una volta la situazione è diversa per quanto riguarda la città di Mosul. Nella città vecchia, che raccoglie la maggior parte del patrimonio cristiano, purtroppo non sempre la sicurezza è garantita. E inoltre ci sono difficoltà di carattere amministrativo, etnico e politico che rallentano ogni progetto per rimettere in piedi i luoghi di culto. Questo fa sì che ad oggi è stato avviato solo il 10 per cento dei lavori di restauro. Quindi, la chiesa siriaco-cattolica di Mar Toma ha recuperato i tre altari del santuario – quello centrale e i due laterali; la chiesa di Al Bichara di Mosul è stata interamente ricostruita, compreso il presbiterio e una residenza per gli studenti, ed è stata inaugurata nel dicembre 2019. Questi cantieri sono stati conclusi grazie all’operosità della comunità siriaco-cattolica locale che è tornata, e al sostegno finanziario di diverse fondazioni e associazioni. Ma a fianco di questi due esempi positivi, a Mosul rimangono una decina di chiese da ricostruire e i cui dossier sono ancora nel cassetto, in attesa …
Il sostegno di giovani musulmani
Anche i giovani musulmani si sono mobilitati a Mosul per favorire il ritorno dei cristiani: “La città non è la stessa senza di voi: tornate!”, dice Mohamed alle famiglie che sono fuggite dalla città di fronte alle violenze fondamentaliste. Mohamed Essam, insieme ad altri giovani musulmani, ha fondato un’associazione di volontari che ha l’obiettivo di contribuire alla ricostruzione degli edifici storici di Mosul. Quando il giornalista dell’agenzia AsiaNews* l’ha incontrato, stava aiutando ad rimuovere le macerie nella chiesa siro-cattolica di San Tommaso (Mar Toma), distrutta e saccheggiata dai jihadisti quando presero il controllo della città nell’estate 2014. I combattenti del sedicente Stato islamico se la sono presa in egual misura con le chiese e con le moschee, e Pascal Maguésyan ha la sua spiegazione per questo paradosso: “L’Isis è un’organizzazione totalitaria e nulla può resistere di fronte alla sua visione di un islam radicale, e nulla dovrà esistere dopo il suo passaggio, che si tratti del patrimonio yazida, cristiano, ebreo e nemmeno quello musulmano perché una parte di esso risente dell’influenza persiana, mongola, jalil o altra. Questi influssi culturali non hanno il diritto di esistere nella visione totalitaria dell’Isis”.
Mohamed non ha dimenticato le atrocità commesse dai combattenti dell’autoproclamato califfato. “Noi vogliamo cambiare la percezione che gli abitanti di questa regione e del mondo hanno della città di Mosul. Vogliamo che i cristiani siano parte di questa terra perché loro sono parte della storia locale, una storia ricca e preziosa”, afferma il co-fondatore delle “Braccia di Mosul”.
Nei suoi viaggi, Pascal Maguésyan ha potuto rilevare un cambiamento nella percezione che gli iracheni hanno del loro patrimonio culturale e religioso. Se in passato riuscivano, senza farsi troppe domande, a rimpiazzare vecchie costruzioni dall’architettura particolare con edifici spesso insignificanti in cemento armato, il passaggio dell’Isis ha rivelato agli iracheni il valore storico, architetturale e culturale del loro patrimonio. Da qui la riflessione sulla necessità di ricostruire gli edifici in maniera identica al passato o quantomeno nel rispetto della struttura antica.