By AgenSIR
“Il viaggio del Papa in Iraq è una decisione coraggiosa sia per le circostanze politiche del Paese sia per la pandemia”.
Lo ha detto oggi il patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, nel corso di un incontro di lavoro on line organizzato dall’Associazione Iscom (Iscom.info) per parlare della situazione della Chiesa Cattolica e dei cristiani in Terra Santa, nell’approssimarsi del Natale.
“Una visita che è una grande sfida – ha aggiunto Pizzaballa – perché la pandemia si sta spandendo anche in Iraq e dubito che a marzo saranno tutti vaccinati. È un bel gesto di solidarietà verso il mondo cristiano iracheno che ha sofferto tantissimo e che da 30 anni è sotto continua pressione”.
Il patriarca ha ricordato anche il dramma degli sfollati siriani e iracheni e del loro rientro in patria: “Quelli che sono usciti e approdati in Occidente difficilmente rientreranno. Più facile che ciò avvenga per i rifugiati che vivono nei campi in Giordania, Libano e Turchia. Ma prima bisognerà garantire sicurezza e stabilità politica, religiosa ed economica. Le ferite aperte dalle guerre in Iraq e Siria – ha sottolineato Pizzaballa – sono profonde e laceranti. Sarà dura convincere la gente a rientrare. Testimonianze che mi arrivano da Siria e Iraq raccontano di cristiani che oggi lamentano di essere stati convinti a restare, mentre se fossero partiti oggi vivrebbero in condizioni migliori. In Siria e in Iraq la condizione economica è spaventosa”.
Sul futuro della regione Pizzaballa ha affermato che “ci troviamo in una situazione di stallo. Gli equilibri in Medio Oriente stanno cambiando lentamente e progressivamente: abbiamo visto gli accordi fra Israele e alcuni Paesi arabi. Le guerre in Siria e Iraq non sono del tutto finite e c’è tanta instabilità”.
Qui “in Terra Santa – ha poi aggiunto – è difficile capire come cambieranno le cose. Il dialogo tra israeliani e palestinesi è necessario ma se non si vuole che diventi solo uno slogan deve essere accompagnato da gesti concreti che riportino fiducia reciproca. Vedremo cosa accadrà con l’amministrazione Biden. Siamo in fase di attesa”.
Da un punto di vista pastorale Pizzaballa ha rimesso al centro della riflessione il Sinodo per il Medio Oriente, a dieci anni dal suo svolgimento (2010-2020).
“Il Sinodo – ha dichiarato – rimane un ideale di cui abbiamo bisogno. Spesso il nostro errore come Chiese è quello di partire dalla situazione, dal contesto in cui ci troviamo a vivere. Il Sinodo ci invita, invece, a ripartire dalla vocazione. I temi affrontati dal Sinodo, rapporto con l’Islam, con l’ebraismo, il diritto di cittadinanza, la politica, che le guerre sembrano avere distrutto, restano un punto di riferimento cui tornare. Il Sinodo è oggi più che mai una base di lavoro da cui ripartire. Le prospettive sono quelle non ce ne sono altre”.
Chiudendo l’incontro il patriarca ha auspicato la conclusione dei negoziati su alcuni capitoli ancora aperti dell’Accordo fondamentale fra Santa Sede e Stato di Israele (firmato nel 1993): “Sono qui da 30 anni e da 25 sento dire che siamo vicini alla firma. Ma è necessario chiudere il negoziato – ha rimarcato il patriarca – come Chiesa viviamo in una sorta di limbo giuridico che va risolto. Anche aprire un conto bancario è una Via Crucis. Questo perché non abbiamo una identità giuridica chiara. Sono cose che devono essere risolte”.
Lo ha detto oggi il patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, nel corso di un incontro di lavoro on line organizzato dall’Associazione Iscom (Iscom.info) per parlare della situazione della Chiesa Cattolica e dei cristiani in Terra Santa, nell’approssimarsi del Natale.
“Una visita che è una grande sfida – ha aggiunto Pizzaballa – perché la pandemia si sta spandendo anche in Iraq e dubito che a marzo saranno tutti vaccinati. È un bel gesto di solidarietà verso il mondo cristiano iracheno che ha sofferto tantissimo e che da 30 anni è sotto continua pressione”.
Il patriarca ha ricordato anche il dramma degli sfollati siriani e iracheni e del loro rientro in patria: “Quelli che sono usciti e approdati in Occidente difficilmente rientreranno. Più facile che ciò avvenga per i rifugiati che vivono nei campi in Giordania, Libano e Turchia. Ma prima bisognerà garantire sicurezza e stabilità politica, religiosa ed economica. Le ferite aperte dalle guerre in Iraq e Siria – ha sottolineato Pizzaballa – sono profonde e laceranti. Sarà dura convincere la gente a rientrare. Testimonianze che mi arrivano da Siria e Iraq raccontano di cristiani che oggi lamentano di essere stati convinti a restare, mentre se fossero partiti oggi vivrebbero in condizioni migliori. In Siria e in Iraq la condizione economica è spaventosa”.
Sul futuro della regione Pizzaballa ha affermato che “ci troviamo in una situazione di stallo. Gli equilibri in Medio Oriente stanno cambiando lentamente e progressivamente: abbiamo visto gli accordi fra Israele e alcuni Paesi arabi. Le guerre in Siria e Iraq non sono del tutto finite e c’è tanta instabilità”.
Qui “in Terra Santa – ha poi aggiunto – è difficile capire come cambieranno le cose. Il dialogo tra israeliani e palestinesi è necessario ma se non si vuole che diventi solo uno slogan deve essere accompagnato da gesti concreti che riportino fiducia reciproca. Vedremo cosa accadrà con l’amministrazione Biden. Siamo in fase di attesa”.
Da un punto di vista pastorale Pizzaballa ha rimesso al centro della riflessione il Sinodo per il Medio Oriente, a dieci anni dal suo svolgimento (2010-2020).
“Il Sinodo – ha dichiarato – rimane un ideale di cui abbiamo bisogno. Spesso il nostro errore come Chiese è quello di partire dalla situazione, dal contesto in cui ci troviamo a vivere. Il Sinodo ci invita, invece, a ripartire dalla vocazione. I temi affrontati dal Sinodo, rapporto con l’Islam, con l’ebraismo, il diritto di cittadinanza, la politica, che le guerre sembrano avere distrutto, restano un punto di riferimento cui tornare. Il Sinodo è oggi più che mai una base di lavoro da cui ripartire. Le prospettive sono quelle non ce ne sono altre”.
Chiudendo l’incontro il patriarca ha auspicato la conclusione dei negoziati su alcuni capitoli ancora aperti dell’Accordo fondamentale fra Santa Sede e Stato di Israele (firmato nel 1993): “Sono qui da 30 anni e da 25 sento dire che siamo vicini alla firma. Ma è necessario chiudere il negoziato – ha rimarcato il patriarca – come Chiesa viviamo in una sorta di limbo giuridico che va risolto. Anche aprire un conto bancario è una Via Crucis. Questo perché non abbiamo una identità giuridica chiara. Sono cose che devono essere risolte”.