"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

14 giugno 2017

Sacerdote irakeno: entro fine mese il rientro dei primi profughi cristiani a Karamles, nella Piana di Ninive


“Se Dio vuole”, il rientro del “primo gruppo” di rifugiati cristiani a Karamles, una delle cittadine della piana di Ninive a lungo sotto il dominio dei jihadisti dello Stato islamico (SI, ex Isis), è previsto “per la fine di questo mese”. È quanto afferma ad AsiaNews don Paolo Thabit Mekko, raccontando l’opera di ricostruzione avviata nei mesi scorsi e che potrebbe portare, a breve, a un rientro atteso a lungo dalle famiglie di sfollati. “I progetti avviati sinora - aggiunge il sacerdote, che segue in prima persona i lavori a Karamles - dovrebbero proseguire senza intoppi, sempre che i benefattori e le Ong in campo continueranno a garantire il loro contributo”. 
A fronte di un cauto ottimismo, don Paolo sottolinea che “finora non si è fatto ancora nulla” in un’ottica di ricostruzione completa della cittadina. Per questo “servono ancora aiuti significativi”, per “accorciare i tempi di realizzazione” dell'opera. “Dobbiamo fare in fretta - spiega il sacerdote caldeo - altrimenti la voglia e l’entusiasmo verranno meno”. 
Il primo obiettivo, aggiunge, è quello di “restaurare le case che presentano i danni minori” e che possono essere aggiustate in un breve arco di tempo. Tuttavia, i bisogni “sono molteplici” e non semplici da soddisfare. “Servono cibo, medicine - prosegue - oltre che energia elettrica per far funzionare i generatori e purificare l’acqua”. Un problema, quest’ultimo, che si fa sempre più urgente con l’arrivo dell’estate e il picco delle temperature. 
Oltre che seguire i lavori di ricostruzione a Karamles, don Paolo è responsabile del campo profughi “Occhi di Erbil”, alla periferia della capitale del Kurdistan irakeno, dove hanno trovato accoglienza centinaia di migliaia di cristiani, musulmani e yazidi sfuggiti alla barbarie dell’Isis. La struttura ospita 140 famiglie, circa 700 persone in tutto, con 46 mini-appartamenti e un’area per la raccolta e distribuzione di aiuti. A questo si sono aggiunti un asilo nido, una scuola materna e una secondaria.
I fondi sinora raccolti per la rinascita di Karamles sono frutto degli stanziamenti fatti in questi mesi dal Patriarcato caldeo, cui si sommano i contributi di alcuni benefattori locali e internazionali. “Ma i bisogni sono molteplici - ricorda don Paolo - e per questo rinnoviamo il nostro appello per gli aiuti, ricordando anche questo processo di ricostruzione ha bisogno dell’aiuto di tutti. Materiale e non, anche attraverso la preghiera e il sostegno”. 
Il progetto iniziale prevede la sistemazione di un primo gruppo di 50 case, danneggiate in parte in seguito all’invasione dello Stato islamico. “Queste abitazioni - racconta don Paolo - costano meno, perché necessitano di riparazioni a porte, finestre o altri elementi con danni superficiali”. L’ufficio della ricostruzione di Karamles, che fa capo al Patriarcato caldeo e ne esercita il controllo attraverso la Lega Caldea, ha affidato “questi lavori di restauro a operai e lavoratori originari proprio di Karamles”. Alcuni di loro “percorrono tutti i giorni” il tragitto che separa Erbil dalla cittadina della piana di Ninive. Inoltre, “la parrocchia ha allestito un centro per gli operai che preferiscono soggiornare nella cittadina, offrendo loro cibo e un riparo per dormire. In questo modo è possibile risparmiare tempo e denaro e accelerare i tempi di ricostruzione”. 
Don Paolo spiega che il problema maggiore è il ripristino delle case bruciate per intero, per le quali “non vi sono ancora fondi sufficienti”. Resta il fatto che questi primi passi per la rinascita di Karamles “sono fonte di speranza” per questa e altre cittadine della piana di Ninive e “creano un’atmosfera di entusiasmo in vista di un possibile ritorno.
La stessa Chiesa caldea, per bocca del patriarca Sako, incoraggia “ad andare più veloci e finire i lavori il prima possibile”; il prelato invita al tempo stesso i profughi “ad avere ancora pazienza e mantenere salda la fede e la speranza” per un futuro di “pace e sicurezza”. Il ritorno, conclude il sacerdote, significa “recuperare la propria esistenza e avere di nuovo una vita, una identità, una spiritualità che sembravano perdute”. La frase più ricorrente pronunciata dalle famiglie è: “Risorgeremo quando torneremo a Karamles, Avremo un tetto solo quanto potremo tornare nelle nostre case, anche se qui in Kurdistan non siamo più nelle tende. Ma la vera casa è Karemles”.