By Avvenire
Camille Eid
Camille Eid
Ottocentodue giorni. Tanto è durata l’occupazione di Qaraqosh, il
capoluogo della Piana di Ninive, dagli uomini di Abu Bakr al-Baghdadi.
La sorprendente espugnazione, nel giugno del 2014, di Mosul con la
successiva cacciata dei fedeli cristiani (dopo aver marcato le loro
abitazioni con l’iniziale “N” di Nasara) non era un buon segnale per
gli oltre 150mila cristiani che popolavano la Piana situata a est della
città. Tra gli abitanti della fertile zona stretta tra il Tigri e il
Grande Zab circolavano poi storie sugli orrori subiti dai cristiani di
Mosul, posti di fronte all’alternativa tra la conversione all’islam,
il pagamento della jizya o la fuga. L’ultimatum lanciato dai jihadisti
ai monaci del monastero di Mar Behnam di «andare via e di lasciare le
chiavi» aveva accresciuto ulteriormente lo stato di allarme tra la
popolazione di Qaraqosh. Un simile clima regnava nelle altre località
del «homeland» cristiano diventato, suo malgrado, la nuova linea del
fronte tra i peshmerga curdi e gli uomini dell’autoproclamato Califfato.
Una piccola avanzata del Daesh verso est significava per i cristiani
la fine della loro bimillenaria presenza in una lunga fascia che si
estende da Qaraqosh (detta anche Baghdida) fino ad Alqosh, passando per
Karamles, Bartella, Baashiqa, Bahzana, Telkaif ( Tel Kepe), Batnaya,
Tellsqof e Sharfieh.
L’ESODO.
La fuga avviene la mattina del 7 agosto 2014, quando ormai era confermata l’avanzata inarrestabile dei jihadisti e l’abbandono inaspettato della Piana di Ninive da parte delle milizie curde che dovevano difenderla. L’esodo verso Erbil, Dohuk, Aqra, Alqosh e Kirkuk rappresenterà per molti di loro la prima tappa di un lungo viaggio che li porterà prima in Turchia, Libano o Giordania, poi in terre più remote: l’Australia, gli Stati Uniti, l’Europa. Gli altri sono perlopiù ospitati nel quartiere cristiano di Erbil, Ankawa, dove affluivano ogni settimana notizie su atti vandalici o profanazioni perpetrati dai terroristi nelle loro terre abbandonate. Ma la lunga sosta nei campi profughi non ha mai spento il desiderio di chi era stato privato di tutto, né rimuoveva il bisogno di ricominciare di nuovo. Durante l’esodo non è mancata la solidarietà degli altri cristiani. Tanti hanno ospitato per mesi famiglie intere oppure offerto un contributo economico per pagare l’affitto di una casa, mentre la Caritas irachena ha moltiplicato gli sforzi per assicurare non solo cibo, coperte e cure mediche, ma per promuovere anche la loro dignità.
La fuga avviene la mattina del 7 agosto 2014, quando ormai era confermata l’avanzata inarrestabile dei jihadisti e l’abbandono inaspettato della Piana di Ninive da parte delle milizie curde che dovevano difenderla. L’esodo verso Erbil, Dohuk, Aqra, Alqosh e Kirkuk rappresenterà per molti di loro la prima tappa di un lungo viaggio che li porterà prima in Turchia, Libano o Giordania, poi in terre più remote: l’Australia, gli Stati Uniti, l’Europa. Gli altri sono perlopiù ospitati nel quartiere cristiano di Erbil, Ankawa, dove affluivano ogni settimana notizie su atti vandalici o profanazioni perpetrati dai terroristi nelle loro terre abbandonate. Ma la lunga sosta nei campi profughi non ha mai spento il desiderio di chi era stato privato di tutto, né rimuoveva il bisogno di ricominciare di nuovo. Durante l’esodo non è mancata la solidarietà degli altri cristiani. Tanti hanno ospitato per mesi famiglie intere oppure offerto un contributo economico per pagare l’affitto di una casa, mentre la Caritas irachena ha moltiplicato gli sforzi per assicurare non solo cibo, coperte e cure mediche, ma per promuovere anche la loro dignità.
IL RITORNO.Il
giorno tanto atteso arriva il 18 ottobre 2016. Un’immagine postata su
Twitter mostra un miliziano sciita della Mobilitazione popolare che
pulisce e ricolloca al suo posto una statua della Madonna. È il segno
che Qaraqosh è stata liberata. Poche ore dopo, a Erbil, centinaia di
cristiani si riversano nelle chiese cittadine, con candele in mano, per
esprimere la loro gioia. Chi ha fatto ritorno a Qaraqosh ha trovato
una città che ancora porta le cicatrici dei feroci combattimenti:
chiese e case saccheggiate e devastate dalle fiamme. Lo spesso strato
di fuliggine che copriva i muri della cattedrale siro-cattolica
dell’Immacolata Concezione non bastava a nascondere la scritta «Stato
islamico» dipinta a mano libera. Ma il desiderio di rinascere era più
forte. Il 30 ottobre, nella città ancora brulicante di soldati ma
svuotata dei suoi abitanti sono risuonati gli inni sacri in aramaico.
Veniva infatti celebrata, dopo 115 domeniche, la prima Messa
all’interno di Qaraqosh. Un gesto che intendeva segnare, secondo un
sacerdote presente alla cerimonia, «un nuovo inizio e mostrare al mondo
la resistenza dei cristiani, malgrado le ingiustizie subite».