By L'Osservatore Romano in News.va
Rossella Fabiani
Rossella Fabiani
In Iraq la barbarie jihadista ha distrutto più di 1500 antichi manoscritti
cristiani. Oggi Qaraqosh, Bartillah, Talkef, Tallisqif, Karamles e Alqoush,
centri a maggioranza cristiana della piana di Ninive, liberati dopo avere
sofferto la furia devastatrice dei militanti del sedicente stato islamico, sono
ridotti a cumuli di macerie. Oltre alla devastazione sono evidenti i segni
dell’odio religioso: prima di andarsene i jihadisti hanno bruciato la metà delle
chiese e delle case marchiate da una n in carattere arabo che sta per nasara,
seguace del Nazareno. Così Qaraqosh oggi è una città fantasma: i palazzi
sventrati sono pieni di mine e di bombe al fosforo, non c’è acqua né
elettricità, «ma non sono riusciti a distruggere tutto», ci dice don Ammar al
Tuni, sacerdote diocesano a Qaraqosh che al Salone del libro di Torino ha
presentato uno degli antichi manoscritti della chiesa siro-cattolica salvato
dalla distruzione.
Grazie ai volontari della Focsiv (Federazione degli Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario) presenti da tre anni a Erbil, il manoscritto è arrivato dunque in Italia. Chiusa l’esposizione torinese, è ora nelle mani dell’Istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario (Icrcpal), che ne studierà anche i contenuti, dandogli quindi una datazione e una collocazione storica. Poi il manoscritto verrà restituito a monsignor Yohanna Petros Moshe, arcivescovo di Mossul dei Siri che lo custodirà insieme agli altri testi scampati alla distruzione, che si spera potranno anch’essi venire presto restaurati e catalogati. «Si tratta di un’eredità inestimabile», dice don Ammar. Nei manoscritti, infatti, è conservata la memoria della chiesa orientale: la Sacra scrittura e l’interpretazione dei testi, la liturgia, la letteratura antica e la poesia, soltanto per ricordare alcuni dei temi che vi sono trattati.
Il manoscritto di Qaraqosh è sopravvissuto ai venticinque mesi di occupazione della città da parte degli uomini del califfato poiché era stato murato, insieme ad altri volumi sacri antichi, nel vano di un sottoscala della casa dei sacerdoti della chiesa di Santa Maria Immacolata, il più grande luogo di culto cristiano di tutto l’Iraq. A liberazione avvenuta, è stato recuperato dai sacerdoti senza che avesse subito danni, se non quelli già presenti, dovuti al tempo e al suo continuo uso nei secoli. L’arcivescovo Yohanna Petros Moshe l’ha consegnato ai volontari che lo hanno portato a Torino e affidato all’Icrcpal. Attribuibile al xvi secolo, il libro è scritto in aramaico con un carattere siriaco in nero e rosso, colore quest’ultimo che segna le interruzioni, il cambio di lettura o di lettore. Testo dedicato al rito liturgico e alle preghiere della Chiesa siro-cattolica — era per il sacerdote una sorta di manuale per i riti di tutto l’anno liturgico — è costituito da 116 pagine di carta, con una coperta di legno e cuoio, arricchito con alcuni disegni con simboli religiosi, in parte danneggiati. Non è riportato il nome dell’amanuense che lo ha realizzato, mentre sicuramente nei secoli sono stati effettuati degli interventi di restauro e di inserimento di pagine che sostituivano le originali, forse perdute o troppo usurate dal tempo.
Se bisogna ripartire dalla cultura per ricucire rapporti di convivenza pacifica tra religioni, stati e popoli, «il recupero del manoscritto di Qaraqosh può simbolicamente rappresentare per tutti che un altro futuro è possibile», prosegue don Ammar. «Sono una parte importante del patrimonio culturale della chiesa irachena — aggiunge poi il religioso — anche i manoscritti conservati nel monastero di San Bahnam martire e di sua sorella Sarah a dieci minuti dalla città di Qaraqosh, officiato da monaci siro-cattolici».
Costruito nel iv secolo dal re assiro Sennacherib come penitenza per avere ucciso (insieme ad altre quaranta persone) i figli Behnam e Sarah che si erano convertiti al cristianesimo, il monastero è uno dei luoghi di culto più antichi e venerati del cristianesimo siro. Rare iscrizioni turche risalenti al xiii secolo lasciate da pellegrini mongoli ne rivelano l’appartenenza alla Chiesa d’Oriente da almeno dieci secoli. Il monastero veniva raggiunto ogni anno da migliaia di cristiani e musulmani, oltre che da visitatori di tutto il mondo (celebre la visita nel 1909 dell’archeologa Gertrude Bell). Occupato dai jihadisti nel 2014 per due anni, è stato saccheggiato e distrutto, con la tomba di san Behnam che è stata fatta esplodere. Uno dei frati, però, è riuscito a nascondere i preziosi manoscritti conservati nella biblioteca: dopo averli messi in barili di ferro, li ha nascosti in una nicchia lungo un corridoio del monastero. Così, nonostante la distruzione del monastero, i libri si sono salvati. Si tratta di antichi testi in siriaco, per lo più di autore anonimo: la maggior parte sono di natura spirituale, ma ci sono anche testi di astronomia, matematica e di altre scienze antiche.
Grazie ai volontari della Focsiv (Federazione degli Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario) presenti da tre anni a Erbil, il manoscritto è arrivato dunque in Italia. Chiusa l’esposizione torinese, è ora nelle mani dell’Istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario (Icrcpal), che ne studierà anche i contenuti, dandogli quindi una datazione e una collocazione storica. Poi il manoscritto verrà restituito a monsignor Yohanna Petros Moshe, arcivescovo di Mossul dei Siri che lo custodirà insieme agli altri testi scampati alla distruzione, che si spera potranno anch’essi venire presto restaurati e catalogati. «Si tratta di un’eredità inestimabile», dice don Ammar. Nei manoscritti, infatti, è conservata la memoria della chiesa orientale: la Sacra scrittura e l’interpretazione dei testi, la liturgia, la letteratura antica e la poesia, soltanto per ricordare alcuni dei temi che vi sono trattati.
Il manoscritto di Qaraqosh è sopravvissuto ai venticinque mesi di occupazione della città da parte degli uomini del califfato poiché era stato murato, insieme ad altri volumi sacri antichi, nel vano di un sottoscala della casa dei sacerdoti della chiesa di Santa Maria Immacolata, il più grande luogo di culto cristiano di tutto l’Iraq. A liberazione avvenuta, è stato recuperato dai sacerdoti senza che avesse subito danni, se non quelli già presenti, dovuti al tempo e al suo continuo uso nei secoli. L’arcivescovo Yohanna Petros Moshe l’ha consegnato ai volontari che lo hanno portato a Torino e affidato all’Icrcpal. Attribuibile al xvi secolo, il libro è scritto in aramaico con un carattere siriaco in nero e rosso, colore quest’ultimo che segna le interruzioni, il cambio di lettura o di lettore. Testo dedicato al rito liturgico e alle preghiere della Chiesa siro-cattolica — era per il sacerdote una sorta di manuale per i riti di tutto l’anno liturgico — è costituito da 116 pagine di carta, con una coperta di legno e cuoio, arricchito con alcuni disegni con simboli religiosi, in parte danneggiati. Non è riportato il nome dell’amanuense che lo ha realizzato, mentre sicuramente nei secoli sono stati effettuati degli interventi di restauro e di inserimento di pagine che sostituivano le originali, forse perdute o troppo usurate dal tempo.
Se bisogna ripartire dalla cultura per ricucire rapporti di convivenza pacifica tra religioni, stati e popoli, «il recupero del manoscritto di Qaraqosh può simbolicamente rappresentare per tutti che un altro futuro è possibile», prosegue don Ammar. «Sono una parte importante del patrimonio culturale della chiesa irachena — aggiunge poi il religioso — anche i manoscritti conservati nel monastero di San Bahnam martire e di sua sorella Sarah a dieci minuti dalla città di Qaraqosh, officiato da monaci siro-cattolici».
Costruito nel iv secolo dal re assiro Sennacherib come penitenza per avere ucciso (insieme ad altre quaranta persone) i figli Behnam e Sarah che si erano convertiti al cristianesimo, il monastero è uno dei luoghi di culto più antichi e venerati del cristianesimo siro. Rare iscrizioni turche risalenti al xiii secolo lasciate da pellegrini mongoli ne rivelano l’appartenenza alla Chiesa d’Oriente da almeno dieci secoli. Il monastero veniva raggiunto ogni anno da migliaia di cristiani e musulmani, oltre che da visitatori di tutto il mondo (celebre la visita nel 1909 dell’archeologa Gertrude Bell). Occupato dai jihadisti nel 2014 per due anni, è stato saccheggiato e distrutto, con la tomba di san Behnam che è stata fatta esplodere. Uno dei frati, però, è riuscito a nascondere i preziosi manoscritti conservati nella biblioteca: dopo averli messi in barili di ferro, li ha nascosti in una nicchia lungo un corridoio del monastero. Così, nonostante la distruzione del monastero, i libri si sono salvati. Si tratta di antichi testi in siriaco, per lo più di autore anonimo: la maggior parte sono di natura spirituale, ma ci sono anche testi di astronomia, matematica e di altre scienze antiche.