By Asia News
Un dialogo “coraggioso e responsabile” per alleviare le sofferenze di
quanti hanno perso la loro casa e ogni bene in seguito all’ascesa dello
Stato islamico (SI) nel nord dell’Iraq. E ancora, garantire “giustizia e
uguaglianza” nel contesto di uno “spirito di unità nazionale”, che
guardi al “bene pubblico” in base ai dettami sanciti “dalla
Costituzione”. È quanto auspica in una nota, pubblicata sul sito del
patriarcato caldeo, il primate della Chiesa irakena mar Louis Raphael
Sako, a tre anni dalla presa di Mosul da parte delle milizie jihadiste.
Nel suo intervento il prelato ricorda il “dolore e lacrime” che
ancora oggi emergono fra la popolazione cristiana costretta a lasciare
le proprie case e le proprie terre, mentre è iniziata da poco una lenta e
faticosa opera di ricostruzione.
Una tragedia tuttora in atto che i vertici della Chiesa irakena non
esitano a definire un “genocidio”. Ringraziando il lavoro di quanti si
sono prodigati per la liberazione di parte di Mosul e della piana, in
particolare fra i militari e i Peshmerga curdi, il patriarcato ricorda
la condizione dei cristiani tuttora “sfollati”, le loro case e le chiese
“bruciate o distrutte”. La ricostruzione di abitazioni e
infrastrutture, prosegue la nota, è anche una grande “opportunità di
lavoro” e l’occasione per garantire “pace, sicurezza e stabilità” al
Paese, rafforzando l’obiettivo dell’unità minato da vecchie e nuove mire
autonomiste. Fra queste le rivendicazioni di alcuni gruppi cristiani
per la creazione di un’enclave cristiana nella piana di Ninive - un progetto che il patriarca Sako osteggia da tempo - e il referendum curdo per l’indipendenza.
Secondo un rapporto pubblicato di recente, fino all’80% della
popolazione cristiana originaria ha abbandonato in questi anni l’Iraq e
la Siria, a causa della guerra e dell’escalation dei movimenti
estremisti di matrice islamica. Iniziato nel 2003 con l’invasione
statunitense in Iraq, l’esodo ha subito un’accelerazione nel 2011 con
l’inizio del conflitto siriano. Infine, nell’estate del 2014 l’ascesa
dello Stato islamico nel nord dell’Iraq ha segnato il culmine delle
violenze.
Sebbene non sia possibile stabilire con certezza la portata
dell’esodo, il numero dei cristiani in Iraq - già scesi a 300mila nel
2014 rispetto al milione e più sotto il regime di Saddam Hussein - è
crollato a poco più di 200mila, al massimo 250mila. Nella vicina Siria è
dimezzata rispetto ai due milioni del 2011, prima dell’inizio della
guerra. Inoltre, con il trascorrere del tempo la comunità cristiana
sembra perdere sempre più la speranza di poter tornare. Una parte ha
trovato rifugio nelle nazioni dell’area - Libano, Giordania su tutte -
in condizioni spesso di precarietà. Altri sono emigrati in Europa, Stati
Uniti, Canada e Australia, le principali nazioni della diaspora. Alla
base dell’esodo vi sarebbero l’alto costo di vita, la mancanza di lavoro
e di opportunità educative, la distruzione delle cittadine cristiane e
la perdita del senso di comunità. Da qui il nuovo appello alla giustizia
e agli aiuti per i cristiani, in particolare per quanti hanno deciso di
restare nelle loro terre e di contribuire all’opera di ricostruzione.
Proprio in questi giorni ricorre il terzo anniversario della presa di
Mosul da parte delle milizie dello Stato islamico, che nel giugno del
2014 assumevano il controllo della seconda città per importanza
dell’Iraq. Dall’ottobre scorso è in atto una offensiva
promossa dall’esercito irakeno - con il sostegno di milizie curde e
sciite - per riprendere l’intero controllo della città. Il settore
orientale è ormai liberato dalla presenza jihadista, come la quasi
totalità della pianura di Ninive, ma restano ampie sacche di resistenza
nella zona occidentale di Mosul e nella Città Vecchia. Uno scontro
durissimo che ha già causato morti fra la popolazione civile, spesso
usata come scudo umano dai terroristi, e alimentato un esodo che ha
coinvolto centinaia di migliaia di famiglie.
L’8 giugno scorso il patriarca Sako si è recato in visita, per la
prima volta dall’ascesa di Daesh [acronimo arabo per lo Stato islamico]
nelle zone liberare di Mosul, in compagnia del vice mons. Basilio Yaldo e
di una delegazione di politici e militari. Il prelato ha visto con i
propri occhi la situazione di alcuni dei luoghi sacri cristiani più
importanti della città. Fra questi la parrocchia di Santo Spirito,
teatro nel giugno 2007 dell’assassinio del sacerdote caldeo p. Ragheed Ganni, assieme a tre suoi aiutanti diaconi. Nel contesto della visita (nella foto)
sua beatitudine ha ringraziato le forze armate irakene per la loro
lotta contro il gruppo jihadista e ha chiesto di assicurare la
protezione delle cittadine cristiane della piana di Ninive, fra cui
Qaraqosh, Karemles e Bartella.