By SIR
“La liberazione di Mosul è questione di giorni”.
Ma i problemi dei cristiani non finiranno con essa. Da Erbil, capitale del Kurdistan iracheno, a parlare al Sir è il sacerdote caldeo della diocesi di Mosul, padre Paolo Mekko.
Quella che potrebbe essere una bella notizia non sembra scaldare molto il cuore delle migliaia di cristiani sfollati in Kurdistan dopo la fuga del giugno del 2014. “Daesh è battuto militarmente ma la sua ideologia è ben lungi dall’essere sconfitta – spiega il prete, molto attivo tra gli sfollati cristiani a Erbil – dunque ci vorrà del tempo prima che i fedeli possano farvi rientro e riprendere una vita per quanto possibile normale”.
Una volta liberata la città, aggiunge, “occorrerà ricreare condizioni di sicurezza stabili e soprattutto di fiducia tra le varie componenti della popolazione. Per non parlare della ricostruzione delle case distrutte durante i combattimenti, della liberazione di quelle occupate da Daesh in questi tre anni”. L’intensità degli scontri non permette l’ingresso in città e fare un censimento delle chiese e dei luoghi di culto colpiti, distrutti o occupati.
“In città abbiamo – spiega padre Mekko – delle chiese e cattedrali cristiane, per esempio quella di sant’Isaia e dell’Immacolata, alcune anche del IV secolo, molto più antiche della moschea di al-Nuri. Appena possibile mi recherò in queste zone di Mosul per vedere cosa sarà possibile fare per ricostruire o risistemare”.
In padre Mekko, però, permane il dubbio: “Se i cristiani non rientreranno, se non ci sarà il popolo, a cosa servirà ricostruire le chiese?”.
Perché i cristiani tornino a Mosul serve anche “ripristinare la sicurezza e stabilità dell’intera zona una volta scacciato Daesh. In questo il Governo deve agire con serietà”. Difficile per i cristiani tornare a fidarsi dei suoi vicini musulmani: “Come dicevo la mentalità Daesh è diffusa tra tanti di loro e ciò rappresenta un pericolo. Molti cristiani sanno bene che quando i miliziani di Daesh hanno occupato la città, furono in molti tra i musulmani ad accoglierli. Ora stesse scene di giubilo le vediamo per i militari iracheni che sono entrati in città. Dove sta la verità? Ci si può fidare? Oggi la sicurezza è la priorità. Senza non ci saranno né rientri né ricostruzione”.
“La liberazione di Mosul è questione di giorni”.
Ma i problemi dei cristiani non finiranno con essa. Da Erbil, capitale del Kurdistan iracheno, a parlare al Sir è il sacerdote caldeo della diocesi di Mosul, padre Paolo Mekko.
Quella che potrebbe essere una bella notizia non sembra scaldare molto il cuore delle migliaia di cristiani sfollati in Kurdistan dopo la fuga del giugno del 2014. “Daesh è battuto militarmente ma la sua ideologia è ben lungi dall’essere sconfitta – spiega il prete, molto attivo tra gli sfollati cristiani a Erbil – dunque ci vorrà del tempo prima che i fedeli possano farvi rientro e riprendere una vita per quanto possibile normale”.
Una volta liberata la città, aggiunge, “occorrerà ricreare condizioni di sicurezza stabili e soprattutto di fiducia tra le varie componenti della popolazione. Per non parlare della ricostruzione delle case distrutte durante i combattimenti, della liberazione di quelle occupate da Daesh in questi tre anni”. L’intensità degli scontri non permette l’ingresso in città e fare un censimento delle chiese e dei luoghi di culto colpiti, distrutti o occupati.
“In città abbiamo – spiega padre Mekko – delle chiese e cattedrali cristiane, per esempio quella di sant’Isaia e dell’Immacolata, alcune anche del IV secolo, molto più antiche della moschea di al-Nuri. Appena possibile mi recherò in queste zone di Mosul per vedere cosa sarà possibile fare per ricostruire o risistemare”.
In padre Mekko, però, permane il dubbio: “Se i cristiani non rientreranno, se non ci sarà il popolo, a cosa servirà ricostruire le chiese?”.
Perché i cristiani tornino a Mosul serve anche “ripristinare la sicurezza e stabilità dell’intera zona una volta scacciato Daesh. In questo il Governo deve agire con serietà”. Difficile per i cristiani tornare a fidarsi dei suoi vicini musulmani: “Come dicevo la mentalità Daesh è diffusa tra tanti di loro e ciò rappresenta un pericolo. Molti cristiani sanno bene che quando i miliziani di Daesh hanno occupato la città, furono in molti tra i musulmani ad accoglierli. Ora stesse scene di giubilo le vediamo per i militari iracheni che sono entrati in città. Dove sta la verità? Ci si può fidare? Oggi la sicurezza è la priorità. Senza non ci saranno né rientri né ricostruzione”.