By Asia News
22 luglio 2017
Rientrare nella cittadina di origine, varcare di nuovo la soglia di
casa e riprendere la vita di un tempo “è come gettare via, lasciarsi
alle spalle un peso portato troppo a lungo”. Adesso, per la prima volta
dopo tre anni, “ci sentiamo davvero nel posto giusto”. È quanto racconta
ad AsiaNews Labib Rammo, cristiano della piana di Ninive, la
cui famiglia è il primo (e finora unico) nucleo a tornare in maniera
stabile a Karamles dall’inizio della ricostruzione.
Egli, come centinaia di migliaia di cristiani, nell’estate del 2014
ha lasciato la propria casa e la propria terra in seguito all’ascesa
dello Stato islamico (SI, ex Isis). A distanza di tre ani la minaccia
jihadista sembra alle spalle, ma il ritorno alla normalità presenta
ancora molte sfide e ostacoli.
AsiaNews ha incontrato questa famiglia grazie all’aiuto di don Paolo Thabit Mekko, sacerdote caldeo di Mosul in prima fila nell’opera di ricostruzione avviata nei mesi scorsi. Come ricordato da mar Louis Raphael Sako,
patriarca della Chiesa irakena, cancellare l’ideologia jihadista e
rilanciare un percorso di convivenza fra cristiani e musulmani è una
delle priorità per un Paese unito e in pace. Una strada “lunga e
faticosa”, avverte il primate caldeo, che si fonda su una “nuova
consapevolezza” per scongiurare un “ulteriore declino, divisione e
frammentazioni del passato”.
Una “speranza” che viene coltivata e condivisa anche da Labib Rammo e
dai suoi parenti, che dicono di aspettarsi “il meglio” ora che i
miliziani di Daesh [acronimo arabo per lo SI] sono fuggiti. Tuttavia,
aggiunge, “la questione della sicurezza è un punto essenziale da
risolvere”, ed è la base da cui partire per “aiutare Karamles e l’intera
piana di Ninive nel suo percorso di rifondazione”.
Labib, 55 anni, è sposato con Nedal Yousif, di nove anni più giovane.
La coppia ha sei figli: Taher nato nel 1993; Maher (1994); Myron
(1995); Marsen (1996);
(2002); Barbara (2003). L’ultimo arrivato
in famiglia è Merna Rammo, nata il 19 marzo di quest’anno. La piccola
sarà battezzata il prossimo 6 agosto nella chiesa parrocchiale di
Karamles, a tre anni esatti dalla notte in cui la famiglia è fuggita
dalla cittadina e dalla piana di fronte all’avanzata dell’Isis.
Negli anni dell’esilio, la famiglia ha vissuto ad Ankawa, il
quartiere cristiano di Erbil, capitale del Kurdistan irakeno. In passato
essi gestivano un mini-market, oltre a coltivare alcuni orti di
famiglia e a fare lavori in proprio. Durante l’esilio, racconta don
Paolo, hanno ricevuto alcuni piccoli finanziamenti e donazioni dalla
Chiesa, anche se “la maggioranza delle spese e dell’affitto riuscivano a
pagarlo con denaro frutto del loro lavoro”. Ad Ankawa, infatti, avevano
avviato una piccola attività dedita alla vendita di verdure e ortaggi.
“Il periodo della fuga - racconta Labib Rammo - è stato difficile,
senza una casa propria, con gli affetti e i legami spezzati, una parte
della famiglia lontana. Le nostre abitudini sono state sconvolte, tutto
questo ha generato difficoltà e ci ha fatto sentire come stranieri nella
nostra terra”. In questo tempo “abbiamo coltivato un orto” e ora che
“abbiamo ritrovato la nostra casa vogliamo aggiungere una camera” perché
“i nostri giovani crescono e sono ormai in età di matrimonio”.
Interpellato su una possibile, nuova convivenza fra cristiani e
musulmani la risposta è secca: “Speriamo”, dice l’uomo, “comunque noi
viviamo in un Paese a maggioranza musulmana, e questo vuol dire in fondo
che stiamo ancora convivendo con loro”. Di certo le sofferenze hanno
rafforzato la fede cristiana, che resta salda “in qualsiasi situazione:
abbiamo perso case e proprietà, ma la nostra fede è rimasta”.
L’ultimo pensiero lo rivolge alla ricostruzione, che resta “un
dovere” così come egli rivolge un invito a tutti i concittadini, perché
“tornare al villaggio di origine è importante”. “Dobbiamo sentire -
conclude - che questa è la nostra terra ed è il luogo in cui
testimoniare la fede cristiana, oggi come sempre. E per farlo sappiamo
di poter contare anche sulla buona volontà e la generosità dei nostri
fratelli cristiani sparsi in tutto il mondo”.