By SIR
Daniele Rocchi
Musica, bandiere, canti: così la capitale irachena, Baghdad, ha festeggiato l’annuncio dato ieri dal premier Haidar al Abadi della liberazione di Mosul. Più prudenti e meno propensi a cantar vittoria sono i cristiani sfollati da Mosul invitati dal premier iracheno a fare ritorno nelle proprie case. Davanti a loro le difficoltà di ricostruire non solo le abitazioni ma anche la fiducia nei confronti di quei musulmani, un tempo amici, divenuti fiancheggiatori dello Stato islamico e considerati traditori. Le testimonianze dell'arcivescovo siro-cattolico di Mosul, mons. Petros Mouche, e del sacerdote Behnam Benoka, attivo tra gli sfollati cristiani a Erbil.
Daniele Rocchi
Musica, bandiere, canti: così la capitale irachena, Baghdad, ha festeggiato l’annuncio dato ieri dal premier Haidar al Abadi della liberazione di Mosul. Più prudenti e meno propensi a cantar vittoria sono i cristiani sfollati da Mosul invitati dal premier iracheno a fare ritorno nelle proprie case. Davanti a loro le difficoltà di ricostruire non solo le abitazioni ma anche la fiducia nei confronti di quei musulmani, un tempo amici, divenuti fiancheggiatori dello Stato islamico e considerati traditori. Le testimonianze dell'arcivescovo siro-cattolico di Mosul, mons. Petros Mouche, e del sacerdote Behnam Benoka, attivo tra gli sfollati cristiani a Erbil.
Ci sono voluti nove mesi di battaglia prima di
scacciare le milizie dello Stato islamico (Isis) dalla seconda città
irachena dove nel 2014 Al Baghdadi dichiarò la nascita del califfato.
L’esercito regolare sembra essere ancora impegnato in combattimenti nel
centro di Mosul per eliminare le ultime sacche di resistenza dell’Isis.
Secondo fonti militari sarebbero ancora tra 50 e 100 gli edifici
controllati dai jihadisti. Alcuni di loro hanno con sé le famiglie, ma
si teme anche per la presenza di molti altri civili che non sono finora
riusciti a fuggire. Le operazioni delle forze governative, comunque,
procedono a rilento anche per la necessità di bonificare le aree
riconquistate da trappole esplosive lasciate dai miliziani del
’Califfato’ prima di ritirarsi. La situazione umanitaria è disperata, la
Città vecchia, secondo fonti locali, è quasi totalmente distrutta. I
militari iracheni affermano che al suo interno opossano trovarsi ancora
15 mila civili. 750 mila quelli messi in fuga da febbraio, inizio
dell’offensiva. Per il Norwegian Refugee Council (Nrc) gli sfollati
rappresentano circa la metà della popolazione di Mosul. Per ricostruire
solo le infrastrutture essenziali della città si stima una cifra
superiore al miliardo di dollari.
“I cristiani tornino”.
“Una bella notizia che assume un grande valore per il futuro del nostro Paese”
commenta mons. Petros Mouche, arcivescovo
siro-cattolico di Mosul, Kirkuk e del Kurdistan. “Sto rientrando da
Mosul – dice al telefono il presule – dove ho incontrato il primo
ministro iracheno, Haidar al Abadi”. Durante l’incontro il premier ha affermato che
“i membri di tutte le comunità etniche e religiose, compresi i nostri fratelli cristiani, devono tornare nelle loro case a Mosul”.
“Vivere insieme fianco a fianco – ha aggiunto al Abadi – è la
risposta naturale all’Isis. Le nostre diversità sono per noi fonte di
orgoglio”. Un invito ben accolto dall’arcivescovo che pure non nasconde
le difficoltà: “Nel nostro colloquio con al Abadi abbiamo affrontato
diversi punti tra cui quello di come favorire il rientro dei cristiani,
come garantire la sicurezza e offrire il necessario supporto per i
bisogni della popolazione, a cominciare dall’acqua per finire alle
scuole. Per il momento, purtroppo, il rientro della popolazione, non
solo cristiana, è difficile e ci vorrà del tempo”.
Cristiani prudenti.
“Mosul è stata liberata ed è una vittoria di tutti gli iracheni.
Gli sfollati cristiani che sono ad Erbil hanno accolto con favore la
notizia ma il sentimento che prevale tra loro è quello della prudenza
mista a preoccupazione”. Da Erbil a parlare è padre Behnam Benoka,
sacerdote siro-cattolico molto attivo tra le famiglie cristiane di
Mosul e della Piana di Ninive sfollate nel campo Ashti 2 della capitale
del Kurdistan. “Il problema – è la spiegazione – nasce intorno a quelle
famiglie e a quelle persone che hanno aiutato l’Isis durante questi tre
anni di occupazione. Si tratta di musulmani con i quali molti
cristiani erano amici e dei quali oggi si fa fatica a fidarsi. Tanti
nostri fedeli attendono di sapere quale sarà la sorte decisa dal Governo
dei musulmani amici dello Stato islamico. Ai cristiani non bastano le
rassicurazioni che arrivano da queste persone. Servirà tempo
per ricostruire fiducia e sicurezza, per questo occorrono delle garanzie
che tutelino le minoranze dall’eventuale ripetersi di fatti come
questi.
I cristiani non vogliono essere traditi un’altra volta”.
Se per Mosul ci vorrà tempo perché i cristiani facciano rientro, nei
villaggi cristiani della Piana di Ninive si conferma una certa tendenza
al ritorno anche in questo caso “improntato alla massima prudenza
anche perché – sottolinea il sacerdote – nessuno, né esercito né
Governo, ci ha dato semaforo verde per tornare a vivere lì”. Per
favorire il rientro si sta lavorando “per ricostruire o rimettere a
posto le case distrutte grazie anche all’aiuto di organizzazioni
umanitarie internazionali come Acs. La maggior parte delle famiglie è
ancora qui a Erbil. Le stime parlano di 1200 famiglie nel campo
ufficiale ‘Ashti 2’. Ce ne sono altre che vivono in affitto o nei
compound ma non se ne conosce il numero”. “L’altro ieri a Qaraqosh sono
tornate 320 famiglie – dice mons. Mouche -; ce ne sono delle altre in
attesa perché hanno i bambini che aspettano la fine delle lezioni a
Erbil dove sono riparate dopo l’invasione dello Stato islamico nel
2014”.