By Zenit
Federico Cenci
Prosegue l’avanzata dell’esercito iracheno per liberare Mosul, seconda città dell’Iraq e baluardo dello Stato Islamico. Le forze speciali hanno dato l’assalto al complesso governativo della provincia di Ninive, al quartiere dell’Università e hanno raggiunto un altro ponte sul Tigri, detto Hurriya. A questo punto circa l’80 per cento di Mosul Est è stata liberata.
Federico Cenci
Prosegue l’avanzata dell’esercito iracheno per liberare Mosul, seconda città dell’Iraq e baluardo dello Stato Islamico. Le forze speciali hanno dato l’assalto al complesso governativo della provincia di Ninive, al quartiere dell’Università e hanno raggiunto un altro ponte sul Tigri, detto Hurriya. A questo punto circa l’80 per cento di Mosul Est è stata liberata.
I contrattacchi degli jihadisti, ultimi colpi di coda prima della
capitolazione, sono stati prontamente respinti dall’esercito. Liberata
l’area dai terroristi islamici, sarà impervio ripristinare le condizioni
per una pacifica convivenza inter-religiosa. La comunità cristiana è
quasi completamente estinta: nel 2003, prima dell’invasione
statunitense, i cristiani dell’arcidiocesi erano 35mila, nel 2014 si
sono ridotti a 3mila e oggi, dopo l’aggressione dell’Isis, sono una
presenza davvero sparuta.
Del futuro di questa terra Zenit ne ha parlato con mons. Emil Shimoun
Nona, che nel 2010, quando fu chiamato ad occuparsi dell’arcidiocesi
caldea di Mosul, divenne il più giovane arcivescovo della Chiesa
cattolica. Oggi è arcivescovo emerito di Mosul e vescovo dell’eparchia
di S.Tommaso apostolo di Sydney dei Caldei. In Australia sono tanti i
profughi cristiani iracheni, ma mons. Nona mantiene i contatti
telefonici anche con altre famiglie sparse in altre aree del pianeta.
Eccellenza, in queste ore concitate qual è lo stato d’animo dei cristiani originari di Mosul?
I cristiani di Mosul che sono dispersi in tutto il mondo ed alcuni
anche in Iraq, attendono con ansia che l’esercito iracheno concluda la
liberazione della piana di Ninive e la città di Mosul. Dopo la
liberazione di alcuni villaggi cristiani hanno scoperto ciò che l’Isis
ha fatto della nostra terra: ha distrutto quasi tutte le Chiese e la
maggior parte delle proprietà dei cristiani sono state rovinate. Anche
le infrastrutture di quest’area quasi sono non esistono più. Inoltre
restano forti perplessità su come sarà possibile governare questa
provincia una volta cacciato l’Isis, intendo dire dal punto di vista
politico, economico e della convivenza etnica e religiosa. Ci sono vari
interessi nazionali ed anche internazionali che influiscono a tal
proposito. Quindi i cristiani stanno guardando con ben poca fiducia al
futuro di questa zona storicamente cristiana.
Ma i profughi immaginano comunque di tornare a vivere a Mosul?
Non credo che i cristiani immaginano di tornare. Bisogna creare le
condizioni adeguate ad una vita dignitosa, garantire i diritti umani.
Parlando francamente, non ci sono tanti cristiani di Mosul in Iraq
adesso. Una buona parte di loro sono adesso è emigrata oltreconfine, c’è
il desiderio di crearsi una vita nuova dopo aver subito la persecuzione
nel proprio Paese. I cristiani di Mosul profughi in Iraq sono un
piccolo gruppo. Essi hanno iniziato a subire persecuzioni fin dal 2003,
hanno resistito per anni, ma la conquista della città da parte dell’Isis
è stato un colpo decisivo che ha indotto la maggior parte a fuggire.
Si parla di circa cento luoghi di culto danneggiati o
demoliti dall’Isis a Mosul. È possibile creare di nuovo un’identità
cristiana lì?
Ci piange il cuore, le chiese rappresentano il segno della nostra
storia e della nostra partecipazione alla civiltà orientale dell’Iraq.
L’identità cristiana c’è in ogni luogo in cui esistono discepoli di Gesù
Cristo. Non è data dagli edifici ma dagli uomini. Quindi la risposta è
sì, sarebbe ancora possibile ricreare un’identità cristiana a Mosul. Il
problema, come ho detto prima, è che attualmente a Mosul mancano sia i
cristiani sia le loro chiese. Se in futuro ci sarà la possibilità di
tornare, sicuramente potremo creare di nuovo un’identità cristiana.
Sarà anche possibile ristabilire una convivenza pacifica e un rapporto di fiducia con i musulmani?
Devo confessare che non sarà facile tornare ad una convivenza
pacifica con i musulmani in quelle zone. Purtroppo l’Isis ha goduto
dell’appoggio della società civile: molti collaboravano con i jihadisti
nelle loro azioni contro i cristiani, altri ancora partecipavano ai
saccheggi delle nostre case. Si è creata una profonda ferita nell’animo
dei cristiani. L’unica condizione per creare una convivenza sarebbe la
presenza di uno Stato iracheno forte, in grado di difendere i diritti di
tutti, in grado di garantire un’educazione ostile alla formazione di
mentalità terroristiche.
Che futuro immagina per l’Iraq? Il patriarca Sako ha chiesto in una lettera che venga tutelata “l’unità nazionale irachena”…
Sinceramente non riesco ad immaginare che futuro sarò per l’Iraq,
perché la situazione di questo è molto drammatica e complicata. L’Iraq
dopo il 2003 è stato distrutto come Stato unitario e in un certo senso
anche laico. Le condizioni di questo sfacelo sono state create però
prima di quella data, per via di politiche sbagliate. L’unica speranza
giunge dalla storia di questa terra: ogni volta che l’Iraq è caduto, è
riuscito a rialzarsi. Speriamo che anche stavolta sarà in grado di
ricominciare come Stato democratico e libero.