By Asia News
La “liberazione” del settore orientale di Mosul e la perdita di
terreno dello Stato islamico (SI) sono notizie “positive” che alimentano
“la fiducia e la speranza” fra i profughi cristiani che aspettano, e
sperano, di “rientrare nelle loro case”. Tuttavia, in molti aspettano di
“vedere un reale cambiamento” e prevale ancora “uno scetticismo di
fondo” sull’esito dello scontro. È quanto afferma ad AsiaNews don
Paolo Thabit Mekko, responsabile del campo profughi “Occhi di Erbil”,
alla periferia della capitale del Kurdistan irakeno, dove hanno trovato
rifugio centinaia di migliaia di cristiani (insieme a musulmani e
yazidi) in seguito all’ascesa dello SI. La struttura guidata dal 40enne
sacerdote caldeo di Mosul ospita 140 famiglie, circa 700 persone in
tutto, con 46 mini-appartamenti e un’area per la raccolta e la
distribuzione di aiuti. A questo si aggiungono un asilo nido per i più
piccoli, oltre che una scuola materna e una secondaria.
“La gran parte dei profughi di Mosul e della piana di Ninive
ringraziano l’esercito e le milizie per quanto stanno facendo - racconta
il sacerdote - e ora sembrano un po’ più tranquilli e confortati. Un
piccolo gruppo si è recato nella zona liberata di Mosul in questi
giorni, a controllare le loro case. Nell’occasione abbiamo portato qui
al centro una anziana signora cristiana, che per oltre due anni ha
vissuto come ospite di una famiglia musulmana proprio a Mosul. Forse i
miliziani di Daesh non si sono mai interessati a lei per la sua età… era
anziana e non contava nulla per loro”.
Nella metropoli del nord dell’Iraq, seconda città per importanza del
Paese, da due anni e mezzo sotto il controllo dello SI le forze
governative irakene hanno “compiuto progressi significativi” nei
distretti orientali, anche se resta forte la resistenza dei miliziani.
Dal fronte della battaglia giunge la conferma della liberazione della
parte orientale di Mosul, ora sotto il “completo controllo” delle forze
governative.
Nella sua avanzata, l’esercito iracheno ha preso anche il quartiere
vicino al fiume Tigri in cui sorge la Grande Moschea di Mosul. Un luogo
simbolico per lo SI, perché al suo interno il 29 giugno 2014 Abu Bakr
al-Baghadi ha proclamato la nascita del “Califfato”.
In una conferenza stampa a Bartella, nella piana di Ninive, il
generale Talib al-Sheghati ha annunciato “la liberazione… della riva
sinistra”, anche se resta molto lavoro da fare per ripulire l’intera
città. Non sono però esclusi ulteriori combattimenti nel settore
orientale anche nei prossimi giorni, per le possibili sacche di
resistenza jihadiste sul territorio. A complicare l’avanzata delle
truppe governative vi è la presenza di moltissimi civili nelle zone
teatro degli scontri, utilizzati peraltro come scudi umani dai miliziani
dello SI.
Intanto, secondo uno studio della IHS Markit, una società del Regno
Uniti esperta di analisi in tema di sicurezza e difesa, lo scorso anno
le milizie di Daesh [acronimo arabo per lo SI] hanno perso circa un
quarto del territorio dall’inizio della loro avanzata, nell’estate del
2014. Il gruppo jihadista ha ceduto un’area di circa 18mila kmq e oggi
controlla “solo” una superficie attorno ai 60.400 kmq, un’estensione
pari alle dimensioni della Florida (Usa).
Commentando l'offensiva
dell’esercito irakeno e dei gruppi combattenti su Mosul, iniziata a
metà ottobre, gli esperti britannici affermano che essa potrebbe
concludersi con un esito positivo entro la metà del 2017. Secondo IHS
Markit, nel 2016 lo SI ha visto una riduzione del 23% del proprio
territorio; un calo più vistoso rispetto al 14% dell’anno precedente,
che mostrava già i primi segni rispetto all’avanzata incontrastata della
seconda metà del 2014. Il movimento jihadista, sottolineano gli
esperti, ha perso “aree vitali” rispetto al “progetto” iniziale che
mirava alla (ri)nascita del Califfato islamico.
Le milizie governative oltre a operare sul fronte di Mosul “stanno
finendo di liberare la cittadina cristiana di Tel Kaif, ora a
maggioranza musulmana” racconta don Paolo. E ancora, sono in atto i
primi tentativi di bonifica “a Qaraqosh, Bartella, Karemles dove ci
rechiamo ogni giorno per controllare i lavori”. Ci sono molte
iniziative, aggiunge, ma “non si vede ancora un progetto complessivo di
ricostruzione, di rinascita della zona. Noi ci stiamo preparando, ma
senza un aiuto esterno dagli organismi internazionali, dai governi e
dalla Chiesa sarà difficile ripartire”.
I cristiani di Mosul e della piana “vogliono tornare nelle loro case,
nelle loro terre”, prosegue il sacerdote, ma “la situazione resta al
momento difficile, vi è ancora un problema relativo alla sicurezza e va
definito il futuro della regione a livello amministrativo”.
Superata la minaccia dello SI, conclude don Paolo, “speriamo in una
fase in cui si possa trovare tutti insieme un nuovo modo di vivere in
comune, un progetto serio di convivenza in cui si possa godere dei
servizi senza tensioni fra confessioni ed etnie. Serve una nuova visione
sotto il profilo dell’amministrazione e del controllo del territorio”.