Il primo ministro iracheno Haider al Abadi ha confermato ieri che la
zona est di Mosul è stata liberata dai miliziani jihadisti. L'annuncio
era stato dato alle forze governative, a tre mesi dall'inizio della
Campagna per riprendere la seconda città del Paese, ultima roccaforte
dell’Is. Intanto nella zona ovest della città irachena ci sono ancora
750 mila civili che vivono sotto il controllo delle forze jihadiste.
Grande la preoccupazione da parte delle Nazioni Unite per le prossime
operazioni militari, che dovrebbero liberare questa parte di Mosul ma
che potrebbero essere causa della perdita di un numero non calcolabile
di vite umane. Ascoltiamo il commento del Patriarca caldeo Louis Raphael I Sako, al microfono di Marina Tomarro:
L’esercito iracheno ha liberato la parte nord-est della città, che è più grande. Adesso cominciano a liberare l’altra parte, al di là del Tigri: dunque la parte sud-est, che è più complessa perché le case sono antiche, c’è più gente, non ci sono strade: sono vicoli, solo per camminare, ma le macchine non possono passarci. Perciò è molto complicata, la situazione, che lì è anche tragica perché da quasi un mese non c’è acqua … Non sappiamo quale sia la reale situazione lì. Io parto domani per fare una visita al quartiere Al Nour, a 15 km da Mosul e vado a visitare la chiesa del Santo Spirito, liberata, dove era stato rapito il vescovo Raho e assassinato il padre Ragheed.
L’esercito iracheno ha liberato la parte nord-est della città, che è più grande. Adesso cominciano a liberare l’altra parte, al di là del Tigri: dunque la parte sud-est, che è più complessa perché le case sono antiche, c’è più gente, non ci sono strade: sono vicoli, solo per camminare, ma le macchine non possono passarci. Perciò è molto complicata, la situazione, che lì è anche tragica perché da quasi un mese non c’è acqua … Non sappiamo quale sia la reale situazione lì. Io parto domani per fare una visita al quartiere Al Nour, a 15 km da Mosul e vado a visitare la chiesa del Santo Spirito, liberata, dove era stato rapito il vescovo Raho e assassinato il padre Ragheed.
Com’è in questo momento la situazione? Quali sono i bisogni più urgenti della popolazione?
Dunque, adesso fa veramente molto freddo: la gente ha bisogno di riscaldamento ma non ne hanno; tanti vivono sotto le tende. Poi, serve cibo, medicinali, acqua … è una situazione molto, molto difficile!
Il vostro premier Abadi ha affermato che il neo-Presidente degli Stati Uniti, Trump, avrebbe promesso di rafforzare ulteriormente l’assistenza per il vostro Paese. Lei cosa ne pensa?
Non abbiamo tanta fiducia, perché ogni tanto cambia. E non sappiamo cosa succederà: non sappiamo ma anche forse loro – il governo iracheno – non sa cosa succederà “dopo” l'Isis. I problemi non saranno tutti risolti, perché ce ne saranno altri: la riconciliazione, il futuro di Mosul, della Piana di Ninive e tutto questo … non è facile.
Secondo lei, le Nazioni Unite adesso cosa dovrebbero fare?
La priorità è la sicurezza, che consenta alle persone di tornare. Poi, la politica: lo Stato deve avere una politica globale per l’Iraq, nella quale tutti saranno partecipi, tutti saranno integrati. Io spero che il regime sarà un regime neutro in cui tutti sono cittadini nuovi. Anche la ricostruzione delle case, delle infrastrutture – acqua, elettricità, scuole, ospedali … per la fine dell’estate, deve essere tutto finito affinché la gente possa tornare nelle case.
La parte est di Mosul è stata liberata: come sta riprendendo la vita in questi giorni?
Prima di tutto, non ci sono cristiani a Mosul: i cristiani sono sfollati in Kurdistan e a Erbil, Duhok, Baghdad, Kirkuk … ma anche per i musulmani, lì, è uno shock: anche loro hanno perso tutto, loro adesso sono rifugiati nei Campi ma c’è tanta gente che è rimasta nelle sue case, anche se manca loro quasi tutto.
Come potrebbe evolversi la situazione, a questo punto?
C’è una speranza. Noi inizieremo molto presto, come Chiesa, a ricostruire o riparare le case di coloro che vogliono tornare, soprattutto nella direzione verso Nord. In tutta questa linea di villaggi totalmente caldei, loro possono tornare! Abbiamo compilato una lista, in questi giorni, delle famiglie che vogliono tornare subito e abbiamo raccolto un po’ di denaro da tutte le diocesi caldee per aiutare questo ritorno, per riparare le case e così incoraggiare la gente a rientrare. E’ un inizio. Dopo faremo di più. Faremo un appello anche alle nostre Chiese, ma anche ad “Aiuto alla Chiesa che soffre”, alla Caritas, alle Conferenze episcopali perché è peccato che tutta questa gente vada via e non torni nei suoi villaggi …
Dunque, adesso fa veramente molto freddo: la gente ha bisogno di riscaldamento ma non ne hanno; tanti vivono sotto le tende. Poi, serve cibo, medicinali, acqua … è una situazione molto, molto difficile!
Il vostro premier Abadi ha affermato che il neo-Presidente degli Stati Uniti, Trump, avrebbe promesso di rafforzare ulteriormente l’assistenza per il vostro Paese. Lei cosa ne pensa?
Non abbiamo tanta fiducia, perché ogni tanto cambia. E non sappiamo cosa succederà: non sappiamo ma anche forse loro – il governo iracheno – non sa cosa succederà “dopo” l'Isis. I problemi non saranno tutti risolti, perché ce ne saranno altri: la riconciliazione, il futuro di Mosul, della Piana di Ninive e tutto questo … non è facile.
Secondo lei, le Nazioni Unite adesso cosa dovrebbero fare?
La priorità è la sicurezza, che consenta alle persone di tornare. Poi, la politica: lo Stato deve avere una politica globale per l’Iraq, nella quale tutti saranno partecipi, tutti saranno integrati. Io spero che il regime sarà un regime neutro in cui tutti sono cittadini nuovi. Anche la ricostruzione delle case, delle infrastrutture – acqua, elettricità, scuole, ospedali … per la fine dell’estate, deve essere tutto finito affinché la gente possa tornare nelle case.
La parte est di Mosul è stata liberata: come sta riprendendo la vita in questi giorni?
Prima di tutto, non ci sono cristiani a Mosul: i cristiani sono sfollati in Kurdistan e a Erbil, Duhok, Baghdad, Kirkuk … ma anche per i musulmani, lì, è uno shock: anche loro hanno perso tutto, loro adesso sono rifugiati nei Campi ma c’è tanta gente che è rimasta nelle sue case, anche se manca loro quasi tutto.
Come potrebbe evolversi la situazione, a questo punto?
C’è una speranza. Noi inizieremo molto presto, come Chiesa, a ricostruire o riparare le case di coloro che vogliono tornare, soprattutto nella direzione verso Nord. In tutta questa linea di villaggi totalmente caldei, loro possono tornare! Abbiamo compilato una lista, in questi giorni, delle famiglie che vogliono tornare subito e abbiamo raccolto un po’ di denaro da tutte le diocesi caldee per aiutare questo ritorno, per riparare le case e così incoraggiare la gente a rientrare. E’ un inizio. Dopo faremo di più. Faremo un appello anche alle nostre Chiese, ma anche ad “Aiuto alla Chiesa che soffre”, alla Caritas, alle Conferenze episcopali perché è peccato che tutta questa gente vada via e non torni nei suoi villaggi …