By Radiovaticana
Benedetto XVI ha eretto l'Eparchia caldea del Canada, con il titolo di Mar Addai di Toronto dei Caldei, nominandone come primo vescovo il 74.enne mons. Hanna Zora, trasferendolo dalla Sede di Ahwaz e conservandogli il titolo di arcivescovo ad personam.
Sono circa 38 mila i fedeli caldei in Canada, in maggioranza concentrati in alcune aree del Paese, nelle quali spiccano - oltre a Toronto - metropoli come Montréal, Vancouver ed Ottawa. La nuova Eparchia, pur essendo motivo di gioia perché offre un punto di riferimento ai cristiani caldei del nord America, custodisce in sé il segno della diaspora che interessa i cristiani iracheni nel mondo.
Al microfono della collega della redazione inglese, Emer McCarthy, ne parla l’arcivescovo caldeo di Kirkuk, mons. Louis Sako:
L'Eparchia di Toronto dei Caldei è una cosa molto positiva, che mostra l’universalità della Chiesa. Nello stesso tempo, però, è triste vedere tanti cristiani andare via dopo duemila anni ed essere isolati nella loro chiesa locale, con tutto il patrimonio cristiano, liturgico che li caratterizza. Con il tempo, i cristiani caldei dovrebbero essere integrati nella società occidentale, sia in Canada, che in America che altrove. L’importante è non incoraggiare i cristiani ad andare via o ad essere delusi, perché l'Iraq è la loro patria, qui pure c’è bisogno di dare una testimonianza del Vangelo. Qui noi abbiamo una nazione: questa è la nostra terra e ci sono le nostre chiese. Ci sono chiese, del V-VI-VII secolo. C'è dunque una grande storia alle spalle, e bisogna cercare di non svuotare il Paese di cristiani.
Ci può dare un quadro della situazione odierna dei cristiani e della comunità cristiana, caldea e non, in Iraq?
L’esodo continua sempre per tante ragioni, anche molto complicate. da noi manca una visione stabile del futuro. La gente è preoccupata e ha paura del futuro; ha paura del fondamentalismo musulmano. Penso, però, che ci sia un modo per vivere qui con gli altri ed è compito della Chiesa locale quello di vedere, di dialogare, di preparare il terreno e di continuare questa testimonianza cristiana, che dura da duemila anni. Nel Nord, nel Kurdistan, mancano i servizi - l’elettricità, l’acqua, le scuole – ma è possibile fare qualche piccolo progetto nei villaggi, per dare alla gente la speranza. Ci sono problemi per tutti gli iracheni e non solo per i cristiani. Anche i cristiani, dunque, hanno una loro parte di sofferenza, ma devono resistere, secondo me.
Benedetto XVI ha eretto l'Eparchia caldea del Canada, con il titolo di Mar Addai di Toronto dei Caldei, nominandone come primo vescovo il 74.enne mons. Hanna Zora, trasferendolo dalla Sede di Ahwaz e conservandogli il titolo di arcivescovo ad personam.
Sono circa 38 mila i fedeli caldei in Canada, in maggioranza concentrati in alcune aree del Paese, nelle quali spiccano - oltre a Toronto - metropoli come Montréal, Vancouver ed Ottawa. La nuova Eparchia, pur essendo motivo di gioia perché offre un punto di riferimento ai cristiani caldei del nord America, custodisce in sé il segno della diaspora che interessa i cristiani iracheni nel mondo.
Al microfono della collega della redazione inglese, Emer McCarthy, ne parla l’arcivescovo caldeo di Kirkuk, mons. Louis Sako:
L'Eparchia di Toronto dei Caldei è una cosa molto positiva, che mostra l’universalità della Chiesa. Nello stesso tempo, però, è triste vedere tanti cristiani andare via dopo duemila anni ed essere isolati nella loro chiesa locale, con tutto il patrimonio cristiano, liturgico che li caratterizza. Con il tempo, i cristiani caldei dovrebbero essere integrati nella società occidentale, sia in Canada, che in America che altrove. L’importante è non incoraggiare i cristiani ad andare via o ad essere delusi, perché l'Iraq è la loro patria, qui pure c’è bisogno di dare una testimonianza del Vangelo. Qui noi abbiamo una nazione: questa è la nostra terra e ci sono le nostre chiese. Ci sono chiese, del V-VI-VII secolo. C'è dunque una grande storia alle spalle, e bisogna cercare di non svuotare il Paese di cristiani.
Ci può dare un quadro della situazione odierna dei cristiani e della comunità cristiana, caldea e non, in Iraq?
L’esodo continua sempre per tante ragioni, anche molto complicate. da noi manca una visione stabile del futuro. La gente è preoccupata e ha paura del futuro; ha paura del fondamentalismo musulmano. Penso, però, che ci sia un modo per vivere qui con gli altri ed è compito della Chiesa locale quello di vedere, di dialogare, di preparare il terreno e di continuare questa testimonianza cristiana, che dura da duemila anni. Nel Nord, nel Kurdistan, mancano i servizi - l’elettricità, l’acqua, le scuole – ma è possibile fare qualche piccolo progetto nei villaggi, per dare alla gente la speranza. Ci sono problemi per tutti gli iracheni e non solo per i cristiani. Anche i cristiani, dunque, hanno una loro parte di sofferenza, ma devono resistere, secondo me.