By SIR
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Pioggia di danaro sulla Primavera araba: la decisione del G8, riunitosi nei giorni scorsi in Francia, di versare 20 miliardi di dollari, in gran parte a Egitto e Tunisia, per sostenere i Paesi arabi scesi in piazza contro le dittature e per chiedere governi democratici, rivela da una parte la volontà d’instaurare nuove relazioni con le fragili democrazie emergenti della Regione, dall’altra parte, quella di lasciarsi alle spalle i decenni di sostegno ai dittatori rimossi.
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Pioggia di danaro sulla Primavera araba: la decisione del G8, riunitosi nei giorni scorsi in Francia, di versare 20 miliardi di dollari, in gran parte a Egitto e Tunisia, per sostenere i Paesi arabi scesi in piazza contro le dittature e per chiedere governi democratici, rivela da una parte la volontà d’instaurare nuove relazioni con le fragili democrazie emergenti della Regione, dall’altra parte, quella di lasciarsi alle spalle i decenni di sostegno ai dittatori rimossi.
Aiuti che dovrebbero servire per appoggiare il cammino verso la democrazia, il rispetto dei diritti fondamentali e la giustizia, ma che potrebbero non bastare se non si guardasse anche ad altri aspetti, come spiega al SIR, l’arcivescovo latino di Baghdad, mons. Jean Benjamin Sleiman.
“Il momento è pericoloso – dichiara il presule - ciò che temo è che il rovesciamento di un regime, come accaduto anche in Iraq, senza preparare un’alternativa, possa portare il cammino verso la democrazia in un vicolo cieco o peggio spingerlo a fare un salto nel vuoto che potrebbe essere riempito dal fondamentalismo. La primavera araba potrebbe, così, rivelarsi pericolosissima per le minoranze cristiane mediorientali ed anche per le stesse società. Mi chiedo quale giovamento potrà avere l’Egitto uscendo da un regime per cadere in un altro integralista? Il mio timore è che si voglia creare un Medio Oriente frammentato. Queste rivoluzioni rischiano di divedere i Paesi al loro interno: l’Egitto era forse la nazione più unita, omogenea, se si dividesse ci sarebbero problemi di relazioni, di confessionalismo, con conflitti pronti ad esplodere a causa anche della spartizione delle risorse”.
Grave assenza.
Secondo mons. Sleiman, il pericolo di deriva fondamentalista per la “primavera araba” è alimentato anche “dall’assenza dell’Europa che fino al XIX secolo aveva rappresentato per il mondo arabo una sorta di ideale da perseguire fino a quando le istanze laiciste non ne hanno oscurato le grandi radici di fede. Nel XIX secolo, effettivamente, l'Europa era religiosa, credente, all’avanguardia sotto il profilo tecnologico, militarmente potente. Agli occhi dei musulmani appariva la migliore. Oggi però il Vecchio Continente è molto cambiato, al punto da non voler riconoscere nemmeno le proprie origini cristiane”.
Un’Europa che fa paura.
Un’Europa che rinuncia alla sua identità fa paura al mondo arabo profondamente attaccato alla propria fede. Spiega mons. Sleiman: “Questa Europa fa paura, l’Europa delle leggi contro tutte le fobie, cristianofobia, islamofobia, omofobia, leggi a sfondo populista, non studiate a fondo. Non si può sacrificare il concetto di natura all’economia, alla politica. Non si può parlare di uguaglianza tra uomo e donna e creare poi una situazione in cui non c’è più differenza. Cosa guadagna una donna nel diventare un uomo? Perderebbe tutto ciò che le è proprio, e lo stesso vale per l’uomo. Le leggi sull’omosessualità, per esempio, vengono prese dagli integralisti come motivo per attaccare il Cristianesimo, accusandolo di essere falso poiché va contro Dio e contro la natura, senza sapere che in Europa ci sono tanti credenti, e anche non credenti, che non le condividono”.
Relativismo tiranno.
“Questo relativismo che diventa tirannia fa paura all’altra sponda del Mediterraneo, facendo scaturire, in fasce della popolazione, una reazione esattamente opposta, quella di legarsi alla religione in modo integralista e tradizionalista. Quando si vedono promuovere dei valori che contrastano con quelli islamici allora a prendere il sopravvento sono i fondamentalisti”. Ed è in questo terreno che acquista valore la presenza cristiana in Medio Oriente: “I cristiani sono necessari poiché, essendo più liberi di pensare, possono proporre qualcosa di razionale, in cui fede e ragione convivano non per il bene di pochi ma di tutti, senza distinzione di fede, etnia o classe sociale”.