"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

15 giugno 2011

Don Robert che resta a Baghdad

By Vino Nuovo, 15 giugno 2011
di Simone Sereni,


«Le famiglie rimaste sono probabilmente anche quelle dalla fede più profonda. Mi hanno mostrato il senso della mia e loro presenza»


"Don Robert vai in Italia, mi hanno detto. Ma tornerai? L'Italia è bella. Secondo me ti verrà voglia di fermarti lì". "Torno, Istfan, fidati".
Istfan è un giovane iracheno che sostiene di essere "l'ultimo cristiano che lascerà Baghdad". Don Robert è Robert Jarjis, quasi 40 anni, da 3 anni prete cattolico di rito caldeo. Da pochi mesi è il parroco della comunità di Santa Maria Assunta in Cielo di Baghdad, poco più di 120 famiglie.
Un piccolo resto.
Sono le famiglie più povere e i più anziani, quelli che non hanno potuto o voluto lasciare la loro casa per scappare al nord, nel territori controllato dai curdi, dove la vita è un po' più facile per i cristiani. Oppure, via dall'Iraq, prima in Giordania o Siria magari. Poi, chissà da qualche parte in Occidente, se riescono. "Le famiglie rimaste - dice don Robert - sono probabilmente anche quelle dalla fede più profonda". E don Robert vuole restare con loro "perché proprio queste famiglie mi hanno dato il coraggio e mi hanno mostrato il senso della mia e loro presenza. Riescono a creare cose belle con niente".

Il ritorno a casa


Dopo sei anni di seminario e studi a Roma, Robert Jarjis è tornato - da prete - in Iraq e nella sua città d'origine. È tornato subito dopo la strage del 31 ottobre 2010, messa in atto da un gruppo legato ad Al Qaeda, che ha spezzato 52 vite nella chiesa cattedrale della Madonna del Perpetuo soccorso (Saiydat al Nayat). Tra le vittime, due preti amici. Un "olocausto" lo ha definito don Robert in un'intervista rilasciata a Tracce solo pochi giorni dopo la strage.

Si veniva da due anni di relativa calma, un tempo in cui sembrava che le cose lentamente stessero cambiando per il meglio.
Don Robert non può nascondere un certo rimpianto per i tempi di Saddam: "Dopo il tiranno Saddam, sunnita e laico, l'Iraq è stato depredato e per i cristiani la vita è divenuta durissima. Vengono emarginati da tutte le possibilità di lavoro, che in genere vengono riservate a sciiti, ora al potere, e sunniti. E a Bagdad, poi, la vita è davvero cara".
Un rimpianto testimoniato anche da un giovane biologo cristiano Bassam Anis (fonte: bagdadhope.blogspot.com) - uno di quelli che ha deciso di espatriare e ha potuto farlo: "Il 9 aprile 2003 (il giorno della caduta del regime) è stato un giorno disastroso per noi. Non perché la nostra vita prima fosse un granché. Ma perché è stata davvero peggiore dopo".
Eppure, don Robert resta a Baghdad. Nonostante tutto questo.

L'insicurezza dei cristiani e la "morte silenziosa"


Don Robert resta nonostante i cristiani iracheni vivano in un clima di grave insicurezza.

La si potrebbe definire una persecuzione a bassa intensità, nonostante i continui impegni di tutela della minoranza cristiana manifestati dal governo iracheno a maggioranza sciita.
Tutta la vita di fede deve avvenire nell'ombra. Si rischia anche solo nel tragitto da casa alla chiesa per la messa, soprattutto le donne, che caduto il regime, hanno smesso il velo e sono facilmente riconoscibili come cristiane.
E resta nonostante la "morte silenziosa".
"Nella mia zona - spiega il sacerdote - è diffusa e famigerata la pistola col silenziatore. La morte da noi ora arriva in silenzio. E nessuno quasi ci fa più caso. Una volta ero in auto con un amico della parrocchia (a piedi è sempre e comunque pericoloso girare per la città, soprattutto se sei cristiano); passiamo da uno dei tanti check point che punteggiano Bagdad, alcuni dei quali non controllano proprio niente e nessuno. La guardia ci osserva da lontano. Mentre gli passiamo accanto si accascia improvvisamente. Per me, senza alcun preavviso. Io chiedo al mio 'autista' di fermarsi perché quell'uomo deve aver avuto un malore: 'Ma non hai visto?'. 'Ma non sta male. È morto. Vedi quella strisciolina di sangue sotto la testa? Lo hanno freddato col silenziatore. È morto. Lascia stare, non scendere'.
Si muore, e la gente si stringe nelle spalle".
Don Robert resta con Istfan. Perché non sia mai l'ultimo cristiano a lasciare Baghdad.