Da questa settimana incomincia la collaborazione tra NuovaSocietà e Alessandro Ciquera, che si trova in Kurdistan per un progetto di cooperazione. Attraverso le sue parole, i suoi articoli i lettori potranno approfondire un argomento spesso dimenticato dai media
L'Iraq di oggi, per come lo conosciamo, è un insieme di notizie e ricordi lontani, legati ad un passato che ci ha visto incollati al televisore, quando nel 2003 gli Stati Uniti dichiararono guerra a Saddam, ma che successivamente, pian piano si sono andati affievolendo; l'interesse della cronaca per questa nazione ha avuto un respiro sempre più breve, simile a quello di un malato terminale, fino ad oggi. Ci sono molti elementi che presto potrebbero far tornare i riflettori su queste terre desolate: partendo da una città contesa, la Gerusalemme curda: Kirkuk. Essa conta più di un milione di abitanti, tra capoluogo ed omonima provincia, divisi in quattro diverse etnie: curda, araba, turcomanna e caldea (cristiani assiri). Ognuna di esse rivendica le proprie radici sul territorio, ognuna di esse si sta avviando verso forme sempre più pressanti di intolleranza verso i vicini. L'atmosfera sta fermentando, il Parlamento nazionale ha concesso ai curdi una regione autonoma federata al resto del paese, con capitale Erbil, governata attualmente da Barzani.
Il governo curdo ha approvato una nuova costituzione il 25 giugno scorso, in cui si rivendicano le contestate provincie di Ninive ma soprattutto la pericolosa Kirkuk, ricca di interessi e giacimenti petroliferi, ago della bilancia per quanto concerne gli equilibri politici. Per precisazione stiamo parlando di vera e propria stabilità interna: pur di annetterla infatti molti si dichiarano pronti ad imbracciare ancora una volta le armi, per dichiarare guerra al governo del Primo Ministro iracheno, Nuri al Maliki, per espandere il territorio con la forza. Il contesto attuale è frutto dell'esilio che Saddam impose ai curdi durante gli anni del regime fino alla sua disfatta, Kirkuk fu letteralmente "arabizzata". Casa per casa, furono inviate numerose famiglie arabe e ne furono deportate al nord, altrettante curde. Ora purtroppo antichi odi e profondi rancori stanno tornando a colpire. Barzani ha concesso incentivi a tutti i curdi che sceglieranno di tornare nella loro città natale, tuttavia il nucleo arabo non è intenzionato ad abbandonare i propri quartieri. Tutti si accusano a vicenda di esproprio e le violenze hanno subito un tasso di incremento notevole negli ultimi sei mesi. I Turcomanni, per bocca dei loro leader, fanno sapere che pur di difendersi, dopo i gravissimi attentati di Taza e di Mosul, saranno pronti a mettere in azione uomini armati, come è già stato fatto in passato, quando fu posta un autobomba durante una manifestazione curda a Kirkuk e soggetti mascherati spararono sulla folla. Il bilancio fu pesante: più di 150 morti. L' anarchia non e' ancora arrivata, ma se non si prende seriamente in analisi la questione l'Iraq diventerà una nuova Bosnia, partendo proprio da Kirkuk. Le giornate nella città trascorrono tra caldo, lavoro e sudore, ma sono in molti a muoversi preparandosi ad un conflitto. Gruppi paramilitari legati al leader radicale sciita Muqtada al Sadr girano per le strade a bordo di Bmw (dal motore potente) e sparano con pistole silenziate su civili, pashmerga, medici, vigili urbani e qualsiasi cosa abbia a che fare con l'Occidente: il tragico bilancio e' di quasi venti morti in meno di una settimana, sono Fantasmi della Morte, invisibili e letali, senza pietà. La gente ha paura a fare qualsiasi cosa, non si fida a sbottonarsi troppo sulle proprie opinioni, è in attesa, in un limbo dalle pareti bianche, in cui ognuno perde la propria identità, per trasformarsi in un automa, capace solo di lavorare e correre a casa una volta finito il proprio mestiere; c'è pochissima vita mondana, i pochi ristoranti sono spesso presi di mira dai terroristi, se non pagano vengono fatti saltare in aria. In questo ambiente vivono tanti ragazzi giovani, con un'immensa voglia di vivere, abituati al clima di tensione, ma che sognano, ogni giorno, i loro miti: Cristiano Ronaldo e Francesco Totti. C'è qualcosa che sa di tenerezza nei loro sguardi, nella voglia di andare avanti sempre e comunque, perché non potrà piovere per sempre.