Fonte: Asia News
Mosul vive una vera e propria “emergenza umanitaria”, nella sola giornata di ieri “centinaia di famiglie cristiane” hanno abbandonato la città in cerca di riparo, lasciando alle proprie spalle case, beni, attività commerciali: la situazione “è drammatica”. Mons. Emil Shimoun Nona, arcivescovo caldeo di Mosul, conferma ad AsiaNews l’esodo dei fedeli dalla città. Intanto mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, intende lanciare “una manifestazione di piazza e un digiuno”, per sensibilizzare la comunità internazionale sul “massacro dei cristiani irakeni” e fermare le violenze nel Paese.
L’arcivescovo di Mosul è preoccupato per le tantissime famiglie, “centinaia” nella sola giornata di ieri, che hanno abbandonato la città. Mons. Nona parla di “una Via Crucis che non finisce mai” e denuncia il “cambiamento nei metodi” operato dalle bande armate. “In passato dicevamo ai cristiani di rimanere chiusi in casa – ricorda – ma ora arrivano ad attaccare perfino nelle abitazioni private”. Il riferimento è all’omicidio avvenuto lo scorso 23 febbraio: un commando è entrato nella casa di Aishwa Marosi, cristiano di 59 anni, uccidendo l’uomo e i due figli maschi. Alla scena hanno assistito anche la moglie e la figlia, risparmiate dai criminali.
Mons. Nona conferma il rischio che “Mosul si svuoti completamente dei cristiani”, in fuga verso la piana di Ninive e altri luoghi considerati più sicuri. “Ieri ho visitato alcune famiglie – continua – ho cercato di portare conforto, ma la situazione è drammatica. La gente scappa senza portare nulla con sé”. Per questo l’arcidiocesi locale ha avviato un primo intervento di emergenza, cercando di fornire “generi di prima necessità e soccorso”, ma il pericolo di “una crisi umanitaria è concreto”.
L’arcivescovo di Mosul intende recarsi a Baghdad per incontrare i politici e il governo centrale, chiedendo il loro intervento. Mantenere la presenza cristiana in città è difficile, continua, ed è probabile che alle elezioni generali – in programma il 7 marzo – nessuno andrà a votare. Confinare i cristiani nella piana di Ninive, vittime di un conflitto di potere fra arabi e curdi, pare una realtà sempre più concreta, sebbene i vertici della Chiesa si siano sempre opposti alla loro “ghettizzazione”. Finora le fazioni in lotta hanno usato i mezzi della religione e delle bande armate per trascinare i cristiani nel conflitto. “Per questo – conclude mons. Nona – ora è necessario trovare una ‘risposta politica’ ai conflitti, alla lotta di potere”.
Mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, intende lanciare – per i prossimi giorni – “una manifestazione di piazza e un digiuno”, per sensibilizzare la comunità internazionale sul “massacro dei cristiani irakeni” e fermare le violenze nel Paese. Il progetto politico che intende svuotare Mosul dei cristiani va fermato, avviando un negoziato con il governo centrale e il parlamento locale e rafforzando al contempo “l’idea di unità nazionale” che si è perduta nei conflitti fra le varie etnie, confessioni religiose e influenze straniere che hanno frantumato l’Iraq. Il prelato conferma la volontà della comunità cristiana di “partecipare alla vita politica del Paese”, mentre si fa sempre più concreto il pericolo che vengano considerati “cittadini di serie B”.
Le elezioni generali in programma il 7 marzo potranno causare un’escalation ancora maggiore delle violenze. Le parti in lotta – sunniti, sciiti, curdi – non risparmieranno metodi e forze per conquistare il controllo del territorio. Baghdad, come Mosul e Kirkuk, fa gola a molti per i ricchi giacimenti di petrolio. Le violenze settarie a Mosul, inoltre, non sembrano riconducibili ad al Qaeda, ma confermano piuttosto le infiltrazioni nell’esercito e nella polizia di “poteri forti” che si rifanno ai partiti, alle confessioni religiose, alle tribù. Esse sono il segnale evidente del fallimento del progetto di creare uno stato unitario, quella “Repubblica dell’Iraq” menzionata nella Costituzione e mai nata a causa delle divisioni interne. A queste si aggiungono le pressioni dei Paesi confinanti, fra i quali l’Iran: fonti di AsiaNews a Baghdad confermano che “Teheran è immischiata a piene mani nella politica interna irachena” ed è un’influenza che tocca l’ambito economico, politico e religioso.
“Non esiste uno Stato, una patria – sottolinea mons. Sako – e le divisioni settarie sono un dato evidente. Ai cristiani non interessano i giochi di potere, l’egemonia economica, ma la creazione di uno Stato in cui le diverse etnie possano convivere in modo pacifico”. Un obiettivo che, per essere raggiunto, deve partire prima di tutto “dall’unità della comunità cristiana e dei vertici della Chiesa, che deve fare dell’unità un punto di forza al tavolo delle trattative con il governo centrale e le forze politiche del Paese”.
L’arcivescovo di Mosul è preoccupato per le tantissime famiglie, “centinaia” nella sola giornata di ieri, che hanno abbandonato la città. Mons. Nona parla di “una Via Crucis che non finisce mai” e denuncia il “cambiamento nei metodi” operato dalle bande armate. “In passato dicevamo ai cristiani di rimanere chiusi in casa – ricorda – ma ora arrivano ad attaccare perfino nelle abitazioni private”. Il riferimento è all’omicidio avvenuto lo scorso 23 febbraio: un commando è entrato nella casa di Aishwa Marosi, cristiano di 59 anni, uccidendo l’uomo e i due figli maschi. Alla scena hanno assistito anche la moglie e la figlia, risparmiate dai criminali.
Mons. Nona conferma il rischio che “Mosul si svuoti completamente dei cristiani”, in fuga verso la piana di Ninive e altri luoghi considerati più sicuri. “Ieri ho visitato alcune famiglie – continua – ho cercato di portare conforto, ma la situazione è drammatica. La gente scappa senza portare nulla con sé”. Per questo l’arcidiocesi locale ha avviato un primo intervento di emergenza, cercando di fornire “generi di prima necessità e soccorso”, ma il pericolo di “una crisi umanitaria è concreto”.
L’arcivescovo di Mosul intende recarsi a Baghdad per incontrare i politici e il governo centrale, chiedendo il loro intervento. Mantenere la presenza cristiana in città è difficile, continua, ed è probabile che alle elezioni generali – in programma il 7 marzo – nessuno andrà a votare. Confinare i cristiani nella piana di Ninive, vittime di un conflitto di potere fra arabi e curdi, pare una realtà sempre più concreta, sebbene i vertici della Chiesa si siano sempre opposti alla loro “ghettizzazione”. Finora le fazioni in lotta hanno usato i mezzi della religione e delle bande armate per trascinare i cristiani nel conflitto. “Per questo – conclude mons. Nona – ora è necessario trovare una ‘risposta politica’ ai conflitti, alla lotta di potere”.
Mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, intende lanciare – per i prossimi giorni – “una manifestazione di piazza e un digiuno”, per sensibilizzare la comunità internazionale sul “massacro dei cristiani irakeni” e fermare le violenze nel Paese. Il progetto politico che intende svuotare Mosul dei cristiani va fermato, avviando un negoziato con il governo centrale e il parlamento locale e rafforzando al contempo “l’idea di unità nazionale” che si è perduta nei conflitti fra le varie etnie, confessioni religiose e influenze straniere che hanno frantumato l’Iraq. Il prelato conferma la volontà della comunità cristiana di “partecipare alla vita politica del Paese”, mentre si fa sempre più concreto il pericolo che vengano considerati “cittadini di serie B”.
Le elezioni generali in programma il 7 marzo potranno causare un’escalation ancora maggiore delle violenze. Le parti in lotta – sunniti, sciiti, curdi – non risparmieranno metodi e forze per conquistare il controllo del territorio. Baghdad, come Mosul e Kirkuk, fa gola a molti per i ricchi giacimenti di petrolio. Le violenze settarie a Mosul, inoltre, non sembrano riconducibili ad al Qaeda, ma confermano piuttosto le infiltrazioni nell’esercito e nella polizia di “poteri forti” che si rifanno ai partiti, alle confessioni religiose, alle tribù. Esse sono il segnale evidente del fallimento del progetto di creare uno stato unitario, quella “Repubblica dell’Iraq” menzionata nella Costituzione e mai nata a causa delle divisioni interne. A queste si aggiungono le pressioni dei Paesi confinanti, fra i quali l’Iran: fonti di AsiaNews a Baghdad confermano che “Teheran è immischiata a piene mani nella politica interna irachena” ed è un’influenza che tocca l’ambito economico, politico e religioso.
“Non esiste uno Stato, una patria – sottolinea mons. Sako – e le divisioni settarie sono un dato evidente. Ai cristiani non interessano i giochi di potere, l’egemonia economica, ma la creazione di uno Stato in cui le diverse etnie possano convivere in modo pacifico”. Un obiettivo che, per essere raggiunto, deve partire prima di tutto “dall’unità della comunità cristiana e dei vertici della Chiesa, che deve fare dell’unità un punto di forza al tavolo delle trattative con il governo centrale e le forze politiche del Paese”.