Fonte: Famiglia Cristiana n° 36
di Maurizio de Paoli
Nel febbraio del 2003, Giovanni Paolo II inviò il porporato francese a Baghdad per una "missione impossibile": convincere il dittatore iracheno a scongiurare la guerra.
Tra le tante "missioni impossibili" che il cardinale Etchegaray è stato chiamato ad assolvere, figura certamente l’incontro con Saddam Hussein nel febbraio del 2003, alla vigilia della seconda Guerra del Golfo. Ecco come il cardinale francese racconta quell’incontro, in uno dei capitoli del libro Ho sentito battere il cuore del mondo di Benard Lecomte (San Paolo, pagg. 440, 32 euro).
"Sono arrivato a Baghdad l’11 febbraio. In attesa dell’appuntamento con Saddam, sono partito per Mosul e Ninive, quattrocento chilometri a Nord di Baghdad, dove ho passato la giornata con alcuni cristiani locali, sacerdoti, religiose, famiglie, in maggioranza caldee, con cui ho pregato per la pace, scandendo la parola in arabo, tra gli applausi: Salam! Salam! Salam!
Il 15 febbraio, al mattino presto, è stato confermato il mio colloquio con Saddam Hussein. Dopo avere cambiato posto tre volte, sono arrivato, infine, verso le 11, in uno dei palazzi del presidente. Il colloquio è durato un’ora e mezza.
Dopo aver rammentato a Saddam il nostro incontro del 1985, gli ho consegnato una lettera personale del Papa, ricordando la solidarietà del Santo Padre con «le sofferenze e le privazioni del popolo iracheno» – un’allusione all’embargo – e il suo desiderio di «fare tutto» per evitare la guerra.
Ho insistito perché lo Stato iracheno intensificasse la propria collaborazione con le Nazioni Unite, in conformità ai princìpi della giustizia e del diritto internazionale, affinché il ristabilimento della fiducia permettesse all’Irak di ritrovare il suo posto nella comunità mondiale. Ho aggiunto che «la sorte del popolo iracheno, amante della pace, doveva prevalere su qualunque altra considerazione».
Che cosa si esige dall’Irak?
Risposta di Saddam: «Conosco e apprezzo la posizione del Papa e della Santa Sede. L’Irak non possiede armi di distruzione di massa. Nonostante tutto, siamo pronti a collaborare con gli ispettori dell’Onu, e anche con gli agenti della Cia (!). Ma non spetta a nessuno raccomandare un cambiamento di regime a Baghdad! Che cosa si esige dall’Irak? L’Irak non ha alcuna pretesa egemonica, contrariamente agli Stati Uniti... Quanto ai princìpi, quelli che hanno sempre ispirato il nostro regime sono il rispetto degli altri Paesi e di tutte le credenze religiose. Fra tutti i Paesi arabi, l’Irak è quello che rispetta nel migliore dei modi la libertà dei cristiani. Eppure, vede come la comunità internazionale tratta in maniera diversa l’Irak e Israele!...».
Dopo aver rilevato il nostro accordo sui princìpi del diritto internazionale, ho sottolineato che il Papa faceva appello alla «coscienza» di tutti, «e specialmente dei governanti», che deve «prevalere su tutte le strategie, tutte le ideologie e, perfino, tutte le religioni».
Saddam non ha visto che nel corso di tutto il colloquio stringevo in mano il rosario mariano... così come anche lui sgranava di quando in quando il rosario coranico! E ha messo fine al colloquio con una battuta inaspettata. Congratulandosi con me per la mia buona salute ha detto: «Se lei non fosse un sacerdote, le avrei suggerito di sposarsi, E le avrei trovato anche una bella irachena!». Questo spiega, sulla foto scattata alla fine del colloquio, una risata proprio fuori luogo, in una circostanza così grave.
Ho pregato e meditato molto su questa missione mai terminata. Il mercoledì delle Ceneri ho scritto a Giovanni Paolo II: «Santo Padre, non dovrei scriverle oggi, in questo giorno in cui, mediante un rinnovato impegno nella preghiera e nel digiuno, lei ha invitato a credere che la pace sia ancora possibile. Se le scrivo, è perché sono spinto dalla mia coscienza di semplice discepolo di Cristo a sottoporle una richiesta che non è né un colpo di testa, né un moto del cuore, ma rientra (mi sembra) nella pura logica del Vangelo.
Perché non tornare a Baghdad?
Ho avuto la grazia di essere il suo inviato in Irak, come messagero di pace. La sua preoccupazione principale era testimoniare il suo amore paterno per una popolazione che ha sofferto tanto, e vive un’ansia indicibile. Ora, perché non portare a questa popolazione, in maniera ancora più forte, un altro segno di questa solidarietà con coloro per i quali ormai Dio è l’unica speranza?
All’epoca di un esodo sotto la minaccia di una guerra imminente, perché – controcorrente – non tornarvi senza alcuna missione, semplicemente (non come scudo umano) per condividere in silenzio – giusto per il tempo eccezionale della prova – le condizioni di vita probabilmente molto dure che si annunciano? Santo Padre, perché non lasciarmi partire... con la sua benedizione, che si diffonderà tutt’intorno? So che una tale domanda deve passare al vaglio della "sapienza del mondo", ma essa non può rientrare maggiormente nel campo della "stoltezza di Dio... più sapiente degli uomini" (1Cor 1,25)?Ecco, Santo Padre, non le presento né un sogno, né una perorazione, ancor meno una richiesta imbarazzante. Mi affido totalmente al Signore che, attraverso di lei, dirà al suo servo: "Va!’", ed egli va. "Resta!", ed egli resta»’’.
di Maurizio de Paoli
Nel febbraio del 2003, Giovanni Paolo II inviò il porporato francese a Baghdad per una "missione impossibile": convincere il dittatore iracheno a scongiurare la guerra.
Tra le tante "missioni impossibili" che il cardinale Etchegaray è stato chiamato ad assolvere, figura certamente l’incontro con Saddam Hussein nel febbraio del 2003, alla vigilia della seconda Guerra del Golfo. Ecco come il cardinale francese racconta quell’incontro, in uno dei capitoli del libro Ho sentito battere il cuore del mondo di Benard Lecomte (San Paolo, pagg. 440, 32 euro).
"Sono arrivato a Baghdad l’11 febbraio. In attesa dell’appuntamento con Saddam, sono partito per Mosul e Ninive, quattrocento chilometri a Nord di Baghdad, dove ho passato la giornata con alcuni cristiani locali, sacerdoti, religiose, famiglie, in maggioranza caldee, con cui ho pregato per la pace, scandendo la parola in arabo, tra gli applausi: Salam! Salam! Salam!
Il 15 febbraio, al mattino presto, è stato confermato il mio colloquio con Saddam Hussein. Dopo avere cambiato posto tre volte, sono arrivato, infine, verso le 11, in uno dei palazzi del presidente. Il colloquio è durato un’ora e mezza.
Dopo aver rammentato a Saddam il nostro incontro del 1985, gli ho consegnato una lettera personale del Papa, ricordando la solidarietà del Santo Padre con «le sofferenze e le privazioni del popolo iracheno» – un’allusione all’embargo – e il suo desiderio di «fare tutto» per evitare la guerra.
Ho insistito perché lo Stato iracheno intensificasse la propria collaborazione con le Nazioni Unite, in conformità ai princìpi della giustizia e del diritto internazionale, affinché il ristabilimento della fiducia permettesse all’Irak di ritrovare il suo posto nella comunità mondiale. Ho aggiunto che «la sorte del popolo iracheno, amante della pace, doveva prevalere su qualunque altra considerazione».
Che cosa si esige dall’Irak?
Risposta di Saddam: «Conosco e apprezzo la posizione del Papa e della Santa Sede. L’Irak non possiede armi di distruzione di massa. Nonostante tutto, siamo pronti a collaborare con gli ispettori dell’Onu, e anche con gli agenti della Cia (!). Ma non spetta a nessuno raccomandare un cambiamento di regime a Baghdad! Che cosa si esige dall’Irak? L’Irak non ha alcuna pretesa egemonica, contrariamente agli Stati Uniti... Quanto ai princìpi, quelli che hanno sempre ispirato il nostro regime sono il rispetto degli altri Paesi e di tutte le credenze religiose. Fra tutti i Paesi arabi, l’Irak è quello che rispetta nel migliore dei modi la libertà dei cristiani. Eppure, vede come la comunità internazionale tratta in maniera diversa l’Irak e Israele!...».
Dopo aver rilevato il nostro accordo sui princìpi del diritto internazionale, ho sottolineato che il Papa faceva appello alla «coscienza» di tutti, «e specialmente dei governanti», che deve «prevalere su tutte le strategie, tutte le ideologie e, perfino, tutte le religioni».
Saddam non ha visto che nel corso di tutto il colloquio stringevo in mano il rosario mariano... così come anche lui sgranava di quando in quando il rosario coranico! E ha messo fine al colloquio con una battuta inaspettata. Congratulandosi con me per la mia buona salute ha detto: «Se lei non fosse un sacerdote, le avrei suggerito di sposarsi, E le avrei trovato anche una bella irachena!». Questo spiega, sulla foto scattata alla fine del colloquio, una risata proprio fuori luogo, in una circostanza così grave.
Ho pregato e meditato molto su questa missione mai terminata. Il mercoledì delle Ceneri ho scritto a Giovanni Paolo II: «Santo Padre, non dovrei scriverle oggi, in questo giorno in cui, mediante un rinnovato impegno nella preghiera e nel digiuno, lei ha invitato a credere che la pace sia ancora possibile. Se le scrivo, è perché sono spinto dalla mia coscienza di semplice discepolo di Cristo a sottoporle una richiesta che non è né un colpo di testa, né un moto del cuore, ma rientra (mi sembra) nella pura logica del Vangelo.
Perché non tornare a Baghdad?
Ho avuto la grazia di essere il suo inviato in Irak, come messagero di pace. La sua preoccupazione principale era testimoniare il suo amore paterno per una popolazione che ha sofferto tanto, e vive un’ansia indicibile. Ora, perché non portare a questa popolazione, in maniera ancora più forte, un altro segno di questa solidarietà con coloro per i quali ormai Dio è l’unica speranza?
All’epoca di un esodo sotto la minaccia di una guerra imminente, perché – controcorrente – non tornarvi senza alcuna missione, semplicemente (non come scudo umano) per condividere in silenzio – giusto per il tempo eccezionale della prova – le condizioni di vita probabilmente molto dure che si annunciano? Santo Padre, perché non lasciarmi partire... con la sua benedizione, che si diffonderà tutt’intorno? So che una tale domanda deve passare al vaglio della "sapienza del mondo", ma essa non può rientrare maggiormente nel campo della "stoltezza di Dio... più sapiente degli uomini" (1Cor 1,25)?Ecco, Santo Padre, non le presento né un sogno, né una perorazione, ancor meno una richiesta imbarazzante. Mi affido totalmente al Signore che, attraverso di lei, dirà al suo servo: "Va!’", ed egli va. "Resta!", ed egli resta»’’.