"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

19 settembre 2008

Chiesa caldea. Una realtà anche in Europa

By Baghdadhope
Foto: cortesia di P. Sami Dinkha
per Baghdadhope



Nella località di Kamena Vourla, affacciata sull’azzurro mare della Grecia centrale, si è svolto il quarto raduno dei sacerdoti caldei che risiedono e svolgono la loro opera in Europa.
Comunione, vicinanza, accordo, sono le parole che vengono in mente ad ascoltare Monsignor Philip Najim, Procuratore Caldeo presso la Santa Sede e Visitatore Apostolico per l’Europa che ha fortemente voluto quest’incontro.
"Eravamo in 13 sacerdoti. Oltre a me e a Padre Yousef Shamoun che è parroco a Karamles e che si trovava in visita in Grecia proprio in quei giorni, c’erano sacerdoti provenienti da 7 paesi europei: Svezia, Germania, Belgio, Olanda, Danimarca, Francia e Grecia. Già questo si può considerare un successo ed una dimostrazione di quanto il nostro clero voglia e sappia trovare il tempo e l’occasione di riunirsi per confrontarsi per il bene della chiesa e dei suoi fedeli. Per un intero giorno, inoltre, è stato ed ha pregato con noi Monsignor Dimitrios Salachas, l’Esarca Apostolico per i cattolici greci di rito bizantino titolare della sede vescovile di Carcabia che ha reso materialmente possibile l’incontro e che ha voluto manifestare il suo aprezzamento per l’iniziativa con una bella lettera."
Un ritiro spirituale ma anche una riunione con molti temi in agenda, quali?
"Dal punto di vista spirituale l’incontro è stato caratterizzato dalla Santa Messa che ogni mattina veniva celebrata alla presenza di tutti i sacerdoti, e da una bellissima conferenza tenuta da Padre Firas Ghazi, il nostro parroco in Olanda, incentrata sul tema della Carità e dell’Amore. Sulla necessità di “sentire” nel profondo del nostro animo la carità e l’amore per poter comunicare questi valori non in modo superficiale ma penetrando nel cuore dei fedeli che diventano a loro volta loro comunicatori nei loro ambiti di vita: la famiglia, gli amici, i colleghi di lavoro.
Dal punto di vista dell’agenda dell’incontro ci sono stati diversi momenti. Per iniziare ogni sacerdote ha raccontato l’esperienza del proprio lavoro pastorale, le problematiche che la comunità del paese in cui vive deve affrontare, specialmente quelle legate all’enorme afflusso di fedeli fuggiti dall’Iraq e che in molti casi vivono una situazione difficilissima di illegalità, di mancanza di lavoro, di incertezza del futuro.
A questi racconti seguivano le domande degli altri sacerdoti che in questo modo cercavano di capire ed apprendere dall’esperienza altrui per servire meglio le proprie comunità."
Come sono organizzate le parrocchie caldee in Europa?
"L’organizzazione è diversa da quelle latine. Secondo il diritto canonico si parla di “parrocchie personali” nel senso che, ad esempio, Padre Faris Toma, parroco in Danimarca, segue le circa 400 famiglie che risiedono nel paese in due centri diversi e la sua parrocchia, quindi, non ha confini."
Come ha già accennato l’emigrazione è stato uno degli argomenti principe dell’incontro. Che proposte sono state fatte dai sacerdoti che come primi referenti delle comunità migranti sono anche i depositari di tutti i dolori e le difficoltà che la fuga dal proprio paese sempre comporta?
"Si è discusso sui programmi da attuare per aiutare queste persone a ricostruirsi una vita, ad integrarsi nei paesi che li hanno accolti. Una discussione interessante perché ha chiarito che scopo dell’integrazione della nostra comunità all’estero non è solo la loro sistemazione burocratica ed economica, ma anche la conservazione dei valori della tradizione, della liturgia, della lingua e della cultura che sono il prezioso bagaglio di queste persone. Un bagaglio che deve essere valorizzato per due motivi. Il primo è far capire a queste persone che essendo state costrette a lasciare la propria patria, il proprio lavoro, i propri beni sentono di aver perso tutto e di non contare nulla che sono invece importanti perché ognuna di esse, a proprio modo ed in misura diversa, è parte integrante della nostra antichissima storia. Il secondo è far comprendere ai paesi che li ospitano che proprio quel bagaglio culturale diverso è fonte di arricchimento e non di scontro o incomprensione. Integrazione non vuol dire cancellazione del proprio essere. Così come i caldei in Europa apprenderanno nuovi modi di vivere e di affrontare il futuro, gli europei verranno a conoscenza di una realtà religiosa, quella delle chiese d’oriente, che non potrà non stupirli per la profondità del sentire cristiano.
Un altro tema in agenda ha riguardato proprio il campo liturgico con la riforma del Messale approvata dalla Santa Sede nel febbraio 2006 e studiata a fondo dalla Commissione Liturgica Patriarcale della Chiesa Caldea di cui, ricordo, fanno parte Mons. Sarhad P. Jammo (California), Mons. Jacques Isaac (Baghdad) e Mons. Petrus Yosif (Francia). A questo proposito abbiamo inviato a Monsignor Jammo la richiesta dei testi già stampati in aramaico e dei libretti che spiegano il rito della Santa Messa dai punti di vista della tradizione e liturgico in arabo ed inglese. Ricevuto il materiale i sacerdoti inizieranno a studiarlo per poterlo spiegare ai fedeli e, gradualmente metterlo in pratica."
Può farci un esempio di come, in applicazione della riforma liturgica, il rito caldeo differisce da quello latino?
"Di esempi ce ne sarebbero molti ma per citarne uno che salta agli occhi è che il sacerdote durante la presentazione del pane e del vino e durante la preghiera eucaristica rivolge, come i fedeli, la propria preghiera a Dio e lo fa volgendo lo sguardo alla Croce, il simbolo di Cristo Figlio di Dio."
Sarà difficile avvicinare i fedeli al rito secondo le nuove disposizioni?
"Sarà una sfida per i sacerdoti che li guideranno ma che mi sono apparsi pronti a raccoglierla. In ogni caso durante l’incontro in Grecia sono nate due comitati. Uno è quella liturgico, guidata da Padre Paul Rabban (Svezia) e Padre Roni Isaac (Grecia) che si occuperà proprio della materia così come di proporre l’uniformazione dei riti riguardanti i sacramenti come il battesimo, il matrimonio, il funerale. L’altro invece è il comitato per le vocazioni, guidato da Padre Sami Dinkha, ex rettore del seminario maggiore caldeo di Baghdad e da Padre Firas Ghazi che ha una speciualizzazione in spiritualità, il cui compito sarà quello di favorire e seguire la vocazione dei giovani che sentono di volersi avvicinare a Dio ed alla Sua chiesa."
La realtà di tanti immigrati dall’Europa è quindi fatta anche di vocazioni?
"Si. La parrocchia di Essen, ad esempio, d’accordo con il Rettore del Seminario Caldeo dei Santi Pietro e Paolo che ora è ad Erbil, Padre Bashar Warda, ha già inviato due studenti che hanno sentito la vocazione qui in Europa."
Come procede la Chiesa Caldea nel caso di queste vocazioni maturate al di fuori dell’Iraq?
"Per quanto riguarda l’Europa colui che sente di voler dedicare ed affidare la sua vita a Dio contatta in genere il suo parroco il cui compito è esaminare la vocazione della persona e le sue vere intenzioni per poi comunicarle al vescovo latino della diocesi nel cui territorio si trova la chiesa. A quel punto l’aspirante sacerdote viene inviato a compiere il suo percorso di studio o presso un seminario latino o presso quello patriarcale in patria."
Come Visitatore Apostolico della Chiesa Caldea in Europa ed organizzatore dell’incontro avvenuto in Grecia ha certamente il polso della situazione riguardo alle decine di migliaia di iracheni cristiani che vivono nel Vecchio Continente sia perché immigrati anni fa, sia perché fuggiti recentemente dall’Iraq. Cosa ci può dire delle diverse realtà europee?
"Sono diverse perché diverse sono le regole che riguardano i rifugiati. La Svezia, ad esempio, ha accolto il maggior numero di profughi iracheni, musulmani e cristiani, ma ora, proprio a causa del loro alto numero e di nuove regole, cominciano ad esserci dei problemi ad esempio dei ritardi nella concessione del permesso di residenza.
In Grecia la situazione è peggiore perché al profugo non viene riconosciuto il diritto alla residenza e quindi alla sanità, all’istruzione ed al lavoro. I profughi sono clandestini e come tali sono costretti a vivere. I 2500 iracheni cristiani caldei presenti in Grecia, ad esempio, dipendono dalla chiesa perché anche quando e se trovano lavoro è sempre un lavoro in nero sottopagato che non è sufficiente per vivere."
Come commenta la recente presa di posizione del governo olandese che vorrebbe favorire il rimpatrio di molti profughi iracheni assicurando però speciale protezione ai membri delle minoranze più a rischio come, tra le altre, i cristiani?
"Si tratta di una questione piuttosto delicata che per ora non vorrei commentare. Sarà meglio aspettare gli eventuali sviluppi futuri, ed in ogni caso la chiesa non interferisce con le decisioni dei singoli governi riguardo le diverse politiche da attuare nei confronti dei rifugiati."
In Italia ci sono profughi iracheni?
"Qualcuno certamente c’è, ma l’Italia è considerata solo una nazione di transito verso quelle che non solo hanno già sul proprio territorio delle comunità formate, quanto hanno un programma di assistenza ai profughi che l’Italia non prevede."
Al prossimo sinodo dei vescovi che si terrà a Roma dal 5 al 26 ottobre dedicato alla “Parola di Dio nella vita e nella missione della chiesa” prenderà parte il Patriarca della Chiesa Caldea, S.B. Cardinale Mar Emmanul III Delly. Che importanza avrà la testimonianza di un uomo di chiesa cha ha sempre sostenuto le parole del dialogo in una situazione delicata come quella che l’Iraq sta vivendo?
"In Iraq il dialogo è sempre esistito, non è nato dopo o in conseguenza degli ultimi eventi bellici. La Chiesa ed il popolo tutto né è sempre stato protagonista nella vita giornaliera, una vita fatta di chiese e moschee vicine, non solo fisicamente ma anche nei rapporti personali. L’importanza del dialogo è ovvia. Significa parlare, discutere, comprendere ma soprattutto costruire con l’altro. Se il dialogo si è interrotto è solo a causa delle forze oscure che hanno usato la religione per dividere il paese, per interrompere una tradizione di convivenza. Dialogare significa creare rapporti sulla base del rispetto dell’altro e non, come qualcuno erroneamente pensa, portare l’altro verso di sé. Il dialogo ha, e deve avere, al centro l’uomo ed il suo futuro e può averlo perché parte dal punto in comune a tutte le religioni che è Dio."
La fuga degli iracheni sembrerebbe però testimoniare il fallimento dell’opzione dialogo…
"Le cifre riguardanti gli iracheni che hanno lasciato il paese sono testimonianza viva dell’insuccesso delle scelte politiche attuate. Se l’UNHCR riferisce di 2.3 milioni di iracheni rifugiati all’estero ed il Dipartimento di Stato americano di 12.000 iracheni accolti negli Stati Uniti nell’ultimo anno la misura di questo insuccesso è evidente. Successo ci sarebbe stato se quelle persone non fossero state costrette a fuggire, o se avessero avuto la possibilità di tornare a casa. Purtroppo non è stato così."
In Europa ci sono ormai decine di migliaia di iracheni cristiani. In una comunità in diaspora che importanza ha, se esiste, il dialogo interreligioso?
"E’ un fatto che la realtà degli iracheni cristiani in Europa, in maggioranza caldei, non possa più essere ignorata. E’ una realtà che soffre ma è viva, e ciò ha fatto sì che anche qui si creassero forme di dialogo basate sul nostro essere una comunità in diaspora che condivide esperienze e problemi al di là dell’appartenenza religiosa. Proprio a testimonianza del fatto che il dialogo ed il confronto esistono venerdì 19 settembre noi cristiani iracheni che risiediamo a Roma siamo stati invitati alla cena di rottura del digiuno giornaliero del sacro mese di Ramadan all’Ambasciata irachena dall’incaricato d’affari Dr.Mazin Abdulwahab Thiab. Cena cui dovrebbe partecipare anche l’Ambasciatore iracheno presso la Santa Sede Dr.Albert Yelda.
Mi sembra che questo invito sia la migliore testimonianza di come gli uomini vogliano e possano incontrarsi e dialogare perché a dispetto dell’appartenenza religiosa siamo tutti iracheni in un periodo difficile, uniti da Dio e dalla patria alla cui rinascita ed al cui sviluppo tutti vogliamo contribuire."

I sacerdoti presenti alla riunione in Grecia:

Mons. Philip Najim (Italia)

Padre Peter Patto. Monaco di Baviera (Germania)
Padre Sami Dinkha. Essen (Germania)
Padre Cesar Sliwa. Stoccarda (Germania)
Padre Faris Toma. Danimarca
Padre Suleyman Oz. Belgio
Padre Samir Dawood. Svezia
Padre Maher Malko. Sodertalje(Svezia)
Padre Paul Rabban. Eskilstuna (Svezia)
Padre Roni Isaac. Grecia
Padre Firaz Ghazi. Olanda
Padre Sabri Anar. Sarcelles (Francia)
Padre Yousif Shamoun. Karamles (Iraq)