Fonte: Middle East Online
by Theodor Gustavsberg (ricercatore presso il Centre national de la recherche scientifique (CNRS), Parigi) © 2008 Le Monde Diplomatique
4 settembre 2008
Tradotto da Baghdadhope
La Siria non aveva intenzione di assorbire così tante persone in fuga dagli scontri e dall’insicurezza nel vicino Iraq. Eppure ha lasciato entrare forse un milione e mezzo di persone – anche se non ci sono dati ufficiali. Ma cosa succederà loro nel futuro a lungo termine? Ci sono caffè nei sobborghi di Damasco dove è più facile sentire parlare arabo con accento iracheno che siriano. Samoun appena sfornato (pane bagnato nello sciroppo), venditori di te in strada, e ristoranti che offrono specialità irachene sono ormai familiari a Jaramana o a Saida Zainab. I taxi parcheggiati davanti alla agenzie di viaggio e che vanno a Baghdad, Mosul e Bassora ricordano che la gente lascia ancora l'Iraq malgrado la situazione sembra stia migliorando.
Un uomo d'affari che ora vive in Svezia ha dichiarato: "Abbiamo dovuto lasciare Mosul nel 2004 perché non era sicura e ci siamo rifugiati a Qamishli, una cittadina siriana vicina al confine iracheno. Per sei mesi ho viaggiato avanti e indietro dalla Siria all’Iraq per far andare avanti la mia impresa di costruzioni. All'inizio del 2005, quando la sicurezza è migliorata, sono tornato a vivere a Mosul, ma un anno dopo siamo stati costretti a partire nuovamente, questa volta per sempre. Ci siamo stabiliti fuori Damasco. Avevo venduto tutto e mia moglie ed io siamo riusciti ad emigrare in Svezia quest’anno. Ma i miei due figli più grandi non riescono ad avere i visti per raggiungerci. Hanno tentato due volte di venire illegalmente ma i loro tentativi sono falliti ed hanno perso un sacco di soldi dati ai trafficanti." Questa storia non è unica. Molti iracheni sono partiti pensando di ritornare presto a casa e cercando di mantenere le proprie attività quando tornando di tanto in tanto in patria.
La Siria non aveva intenzione di assorbire così tante persone in fuga dagli scontri e dall’insicurezza nel vicino Iraq. Eppure ha lasciato entrare forse un milione e mezzo di persone – anche se non ci sono dati ufficiali. Ma cosa succederà loro nel futuro a lungo termine? Ci sono caffè nei sobborghi di Damasco dove è più facile sentire parlare arabo con accento iracheno che siriano. Samoun appena sfornato (pane bagnato nello sciroppo), venditori di te in strada, e ristoranti che offrono specialità irachene sono ormai familiari a Jaramana o a Saida Zainab. I taxi parcheggiati davanti alla agenzie di viaggio e che vanno a Baghdad, Mosul e Bassora ricordano che la gente lascia ancora l'Iraq malgrado la situazione sembra stia migliorando.
Un uomo d'affari che ora vive in Svezia ha dichiarato: "Abbiamo dovuto lasciare Mosul nel 2004 perché non era sicura e ci siamo rifugiati a Qamishli, una cittadina siriana vicina al confine iracheno. Per sei mesi ho viaggiato avanti e indietro dalla Siria all’Iraq per far andare avanti la mia impresa di costruzioni. All'inizio del 2005, quando la sicurezza è migliorata, sono tornato a vivere a Mosul, ma un anno dopo siamo stati costretti a partire nuovamente, questa volta per sempre. Ci siamo stabiliti fuori Damasco. Avevo venduto tutto e mia moglie ed io siamo riusciti ad emigrare in Svezia quest’anno. Ma i miei due figli più grandi non riescono ad avere i visti per raggiungerci. Hanno tentato due volte di venire illegalmente ma i loro tentativi sono falliti ed hanno perso un sacco di soldi dati ai trafficanti." Questa storia non è unica. Molti iracheni sono partiti pensando di ritornare presto a casa e cercando di mantenere le proprie attività quando tornando di tanto in tanto in patria.
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I rifugiati cercano di ricostruire le loro vite a Damasco, ma una volta che i risparmi sono finiti hanno delle difficoltà. Abu Jaber è un sarto di una cinquantina d’anni che ha lasciato Baghdad nel luglio del 2006 e che ora vive in un sobborgo di Damasco con la moglie e quattro figli. "Uno dei miei figli faceva l’autista per il ministero del petrolio", ha detto, "e nel 2003 ha iniziato a ricevere minacce di morte perché lavorava per il governo. A Baghdad avevo un negozio di sartoria con 20 macchine da cucire. Ho dovuto partire in fretta ed ho potuto vendere solo alcuni dei miei beni. Sono arrivato qui con 4.000 dollari. Avevo pensato di andare in Giordania dove ho una parte della famiglia ma ho scelto la Siria perché offre migliori strutture. Ho preso in affitto un appartamento per 400 dollari. Per un po’ sono stato disoccupato o ho fatto lavori occasionali ma ora ho in affitto un piccolo laboratorio con una macchina da cucire. I miei due figli lavorano con me e guadagniamo in tutto 10 dollari al giorno."
Anche se gli iracheni in Siria hanno accesso alla pubblica istruzione ed alla sanità come tutti i cittadini stranieri devono ottenere un permesso di lavoro. Ma i datori di lavoro raramente li mettono in regola per non aumentare i costi. Così la maggior parte degli iracheni finisce per lavorare in nero guadagnando poco e non regolarmente (Circa la metà dei siriani che lavorano nel settore privato si trovano nella stessa situazione) Ma l'enorme afflusso di iracheni, tollerato dalle autorità siriane, ha determinato un notevole aumento delle attività commerciali a Damasco.
Nessun diritto di asilo
L'instabilità che ha seguito l'invasione dell'Iraq nel 2003 ha creato un gran numero di profughi: Secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM)sono più di due milioni gli sfollati e l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) stima che un numero simile ha lasciato il paese.
La Siria ha accolto diverse ondate di profughi anche se non è firmataria della Convenzione di Ginevra del 1951 sul diritto di asilo. Alcuni sono profughi a lungo termine, come ad esempio i palestinesi arrivati nel 1948. Altri, come i libanesi arrivati dopo il conflitto nel luglio del 2006, hanno cercato un rifugio temporaneo. Sebbene l'attuale migrazione degli iracheni sia stata paragonata all'esodo dei palestinesi essa ha però assunto una forma diversa. I migranti non sono arrivati ad ondate ma in un flusso intermittente, con alcuni che hanno lasciato l'Iraq per sempre, ed altri che hanno continuato a fare da pendolari. A differenza dei palestinesi poi, la maggior parte iracheni è arrivata dalle aree urbane per trasferirsi in città e paesi e non nei campi profughi.
Non ci sono dati ufficiali sugli iracheni che vivono in Siria. L'UNHCR ha registrato più di 200.000 persone ma molte altre non sono registrate. Provengono da diversi ambienti, arrivano per vie diverse, e vivono in situazioni diverse per cui è molto difficile conoscere il loro numero esatto. Le stime vanno da qualche centinaio di migliaia a un milione e mezzo di persone. Si tratta di uno dei più significativi movimenti di persone nel mondo in termini di numeri e impatto regionale. 22.115 iracheni hanno presentato domanda di asilo nei paesi industrializzati nel 2006, e gli Stati confinanti con l'Iraq, in particolare la Siria e Giordania, hanno accolto la maggior parte dei profughi.
(Fa eccezione la Svezia che ne ha accolto diverse migliaia) Negli anni 90 centinaia di migliaia di iracheni si erano già rifugiati in Giordania, e decine di migliaia in Siria.
Protezione temporanea
Prima dell’ottobre del 2007 la frontiera siriana era aperta per gli iracheni che hanno potuto entrare nel paese e rimanervi alle stesse condizioni degli altri cittadini provenienti da paesi arabi. Successivamente, ed in accordo con le autorità irachene, la Siria ha introdotto un obbligo di visto, da richiedere in anticipo, e limitato a determinate categorie (uomini d'affari, scienziati, studenti, tassisti, e persone da riunire alle proprie loro famiglie). Dato che la Siria non ha leggi in materia di asilo (tranne nel caso dei palestinesi), gli iracheni non godono dello status di rifugiato. L'UNHCR può dar loro lettere di protezione temporanea rinnovabili su base annuale che in teoria li proteggono dal rischio di essere rimandati in Iraq, e danno loro accesso agli aiuti (denaro, cibo, materassi, coperte e altri beni primari) ed ai servizi sanitari attraverso la Mezzaluna Rossa siriana, le associazioni locali di beneficenza e, recentemente, le organizzazioni straniere .
Il numero di iracheni che entrano nel paese è sceso in maniera significativa dal momento che la nuova procedura riguardante i visti è stata introdotta. La relativa diminuzione della violenza in Iraq ha anche portato meno persone a lasciare il paese e le nuove restrizioni hanno causato una riduzione significativa del numero di persone che facevano i pendolari tanto che circa solo 40.000 persone sono tornate in Iraq da quando il visto è stato introdotto. Si tratta di una cifra relativamente bassa dato il numero totale di rifugiati. La maggior parte di coloro che ritornano lo fanno per ragioni economiche o perché si trovano nell'impossibilità di estendere i loro permessi di soggiorno. Secondo le indagini l'apparente miglioramento della sicurezza in Iraq ha solo un piccolo ruolo nelle loro decisioni.
Gli iracheni che sono arrivati in Siria prima del mese di ottobre 2007 vivono ora in una situazione difficile. Prima di quella data potevano rinnovare il visto turistico semplicemente lasciando il paese e facendovi ritorno. Ora devono richiedere un visto prima di entrare in Siria. Impossibile. Alcuni hanno il diritto ad un anno di permesso temporaneo se hanno figli che vanno a scuola in Siria o se loro, o un membro della famiglia, stanno seguendo un trattamento medico. Ma le autorità siriane hanno dichiarato che non rimpatrieranno forzatamente le persone con i visti scaduti, una promessa mantenuta secondo l'UNHCR. Ciò nonostante molti iracheni vivono illegalmente in Siria, una situazione che li rende più vulnerabili. Tra i rifugiati ci sono gruppi minoritari sono fuggiti dall’Iraq a causa delle discriminazioni, come nel caso dei Mandei, o perché, come i cristiani Nestoriani o Caldei, si sentivano isolati.* Mentre i musulmani sunniti rappresentano la maggioranza dei rifugiati in Siria, secondo le statistiche dell’UNHCR, le minoranze mandea e cristiana sono sovra-rappresentate (15% e 4%) rispetto al loro essere pochi in Iraq. Ciò è in parte dovuto al fatto che esse possono contare su una consolidata rete migratoria e, per alcuni gruppi sulla diaspora in Occidente.
Per diverse migliaia di iracheni la Siria può essere solo la prima tappa di un viaggio che termina in Europa, negli Stati Uniti o in Australia. Ma per la maggior parte essa rappresenta un rifugio dove possono provare a vivere normalmente. Nonostante le promesse di essere ricollocati all'estero (l'UNHCR ha segnalato più di 7800 iracheni ai diversi paesi di accoglienza nel 2007), solo 833 rifugiati sono stati re-insediati in un paese terzo nel 2007, e meno di 1500 nel 2008. Come un iracheno ha dichiarato a Damasco: "La Siria ci ha aperto le porte e noi abbiamo iniziato a vivere di nuovo senza paura di uscire o mandare i nostri figli a scuola. Ma ora che abbiamo perso tutto in Iraq ed i paesi occidentali non ci vogliono, cosa ne sarà di noi? "-
*Decine di chiese distrutte, un vescovo, sacerdoti e diaconi uccisi o sequestrati, migliaia di persone costrette ad abbandonare le proprie case ed a diventare profughi in patria ed all’estero. Forse gli iracheni cristiani si sono sentiti un pò più che “isolati”
Nota di Baghdadhope
Prima dell’ottobre del 2007 la frontiera siriana era aperta per gli iracheni che hanno potuto entrare nel paese e rimanervi alle stesse condizioni degli altri cittadini provenienti da paesi arabi. Successivamente, ed in accordo con le autorità irachene, la Siria ha introdotto un obbligo di visto, da richiedere in anticipo, e limitato a determinate categorie (uomini d'affari, scienziati, studenti, tassisti, e persone da riunire alle proprie loro famiglie). Dato che la Siria non ha leggi in materia di asilo (tranne nel caso dei palestinesi), gli iracheni non godono dello status di rifugiato. L'UNHCR può dar loro lettere di protezione temporanea rinnovabili su base annuale che in teoria li proteggono dal rischio di essere rimandati in Iraq, e danno loro accesso agli aiuti (denaro, cibo, materassi, coperte e altri beni primari) ed ai servizi sanitari attraverso la Mezzaluna Rossa siriana, le associazioni locali di beneficenza e, recentemente, le organizzazioni straniere .
Il numero di iracheni che entrano nel paese è sceso in maniera significativa dal momento che la nuova procedura riguardante i visti è stata introdotta. La relativa diminuzione della violenza in Iraq ha anche portato meno persone a lasciare il paese e le nuove restrizioni hanno causato una riduzione significativa del numero di persone che facevano i pendolari tanto che circa solo 40.000 persone sono tornate in Iraq da quando il visto è stato introdotto. Si tratta di una cifra relativamente bassa dato il numero totale di rifugiati. La maggior parte di coloro che ritornano lo fanno per ragioni economiche o perché si trovano nell'impossibilità di estendere i loro permessi di soggiorno. Secondo le indagini l'apparente miglioramento della sicurezza in Iraq ha solo un piccolo ruolo nelle loro decisioni.
Gli iracheni che sono arrivati in Siria prima del mese di ottobre 2007 vivono ora in una situazione difficile. Prima di quella data potevano rinnovare il visto turistico semplicemente lasciando il paese e facendovi ritorno. Ora devono richiedere un visto prima di entrare in Siria. Impossibile. Alcuni hanno il diritto ad un anno di permesso temporaneo se hanno figli che vanno a scuola in Siria o se loro, o un membro della famiglia, stanno seguendo un trattamento medico. Ma le autorità siriane hanno dichiarato che non rimpatrieranno forzatamente le persone con i visti scaduti, una promessa mantenuta secondo l'UNHCR. Ciò nonostante molti iracheni vivono illegalmente in Siria, una situazione che li rende più vulnerabili. Tra i rifugiati ci sono gruppi minoritari sono fuggiti dall’Iraq a causa delle discriminazioni, come nel caso dei Mandei, o perché, come i cristiani Nestoriani o Caldei, si sentivano isolati.* Mentre i musulmani sunniti rappresentano la maggioranza dei rifugiati in Siria, secondo le statistiche dell’UNHCR, le minoranze mandea e cristiana sono sovra-rappresentate (15% e 4%) rispetto al loro essere pochi in Iraq. Ciò è in parte dovuto al fatto che esse possono contare su una consolidata rete migratoria e, per alcuni gruppi sulla diaspora in Occidente.
Per diverse migliaia di iracheni la Siria può essere solo la prima tappa di un viaggio che termina in Europa, negli Stati Uniti o in Australia. Ma per la maggior parte essa rappresenta un rifugio dove possono provare a vivere normalmente. Nonostante le promesse di essere ricollocati all'estero (l'UNHCR ha segnalato più di 7800 iracheni ai diversi paesi di accoglienza nel 2007), solo 833 rifugiati sono stati re-insediati in un paese terzo nel 2007, e meno di 1500 nel 2008. Come un iracheno ha dichiarato a Damasco: "La Siria ci ha aperto le porte e noi abbiamo iniziato a vivere di nuovo senza paura di uscire o mandare i nostri figli a scuola. Ma ora che abbiamo perso tutto in Iraq ed i paesi occidentali non ci vogliono, cosa ne sarà di noi? "-
*Decine di chiese distrutte, un vescovo, sacerdoti e diaconi uccisi o sequestrati, migliaia di persone costrette ad abbandonare le proprie case ed a diventare profughi in patria ed all’estero. Forse gli iracheni cristiani si sono sentiti un pò più che “isolati”
Nota di Baghdadhope