"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

2 settembre 2008

Il sibilo minaccioso di una parola

By Baghdadhope

Solo qualche giorno fa l’Arcivescovo latino di Baghdad, Monsignor Jean Benjamin Sleiman, aveva denunciato in un’intervista alla sezione britannica di Aiuto alla Chiesa che Soffre il perdurare del fenomeno dei rapimenti di civili in Iraq a scopo estorsivo che, pur interessando ogni componente etnica e sociale del paese, colpisce in particolar modo la piccola comunità cristiana. : "Non solo i cristiani sono presi di mira, ma essi si sentono profondamente vittime dell'ingiustizia perché non hanno mai svolto alcun ruolo nel conflitto interno al paese" diceva Monsignor Sleiman.
I recentissimi avvenimenti hanno purtroppo confermato le parole del prelato.
Per un rapimento finito bene, quello di Jean Talia Dawod al-Yardawi, sequestrato a Baghdad e rilasciato dopo pochi giorni e dopo il pagamento di un riscatto di 10.000 $ a fronte di una richiesta iniziale di 50.000 $, la cronaca di oggi parla invece di due casi tragici.
A riferirne è AsiaNews che citando fonti anonime di Mosul racconta di un medico di 65 anni, Tariq Qattan, sequestrato ed ucciso dopo che la famiglia aveva già versato il riscatto pattuito in 20.000 $, e di Nafi Haddad, di cui si sa solo che è stato rapito ed ucciso, ma non se il riscatto sia stato o meno pagato.
Il fenomeno, è chiaro, è quindi ben lungi dall’essere stato sradicato dall’Iraq. In un paese che, così viene dichiarato, si sta avviando verso la normalizzazione tanto da pensare di far costruire la ruota panoramica più alta del mondo, il rapimento è ancora “tragicamente normale.” Un’eventualità giornaliera con cui convivere e contro la quale non ci si può difendere. Ed in questa realtà gli iracheni cristiani cosa fanno? A chi si rivolgono? Allo stato che in molte zone ancora non c’è, non controlla, non appare? Alle milizie che non hanno? Ai propri capi che vanamente invocano rispetto per la comunità ricordando il suo essere in quella terra - di quella terra - ancor prima dell’Islam?
I cristiani allora pregano. I cristiani pregano Dio. Ma la loro disperazione traspare dalle parole della fonte di AsiaNews che racconta degli ultimi assassinii, una voce che chiede la loro condanna da parte della comunità musulmana il cui dovere, nel nome dell’unico Dio, ed in rispetto del Sacro Corano, è quello di rispettare e proteggere la comunità cristiana. Una richiesta di protezione che rende vano qualsiasi tentativo di ricostruire un tessuto sociale fatto di cittadini, senza etnia o religione, solo iracheni, e che ha il sapore della resa, della faticosa ammissione di una dhimmitudine che nessuno nomina ma che gli iracheni cristiani sentono sulla propria pelle, nei propri nomi troppo occidentali, in quella parola diventata sibilo minaccioso: “Kafir”, infedele.
I cristiani invocano il Sacro Corano, affermano di non avere problemi di convivenza con la maggioranza musulmana, vedono alcuni dei loro leaders condividere con essa toccanti momenti di preghiera comune per la pace nel paese, ma non smettono di avere paura.
La paura di chi sa di avere un nemico ma non riesce a vederlo perché è ovunque. In chi li vuole vedere sparire dal paese che vuole destinato ad essere islamicamente puro ed in chi li considera facile ed inerme preda.
Persecuzione? Criminalità? Il destino degli iracheni cristiani è l’una o l’altra cosa ed entrambe, perché non c’è modo di distinguere tra esse, e perché il risultato è sempre uguale: il terrore che diventa fuga, disgregazione, diaspora.
Se un figlio, una madre, o l’amico di sempre muore a che serve sapere perché?
Forse, in futuro, i sopravvissuti a quel dolore si faranno quella domanda, ma non ora. Per ora si chiedono solo chi sono. Iracheni in una patria che non sembra né volerli né proteggerli ma che amano. Cristiani i cui correligionari nel mondo sembrano aver dimenticato.
Ecco, se c’è una differenza tra gli iracheni cristiani e musulmani è questa. Sunniti e sciiti sanno chi sono, difendono, anche con la forza e la violenza, la propria identità, e lottano per il potere, da riottenere per chi lo ha perso e da mantenere per chi lo ha raggiunto. I cristiani, invece, si agitano impazziti alla ricerca di una via, una via qualunque per sopravvivere. Chiedono aiuto, ma sottovoce, perché vorrebbero che il mondo intero partecipasse del loro dolore ma temono che la sua denuncia troppo esplicita si ritorca loro contro. Ascoltano le parole di chi ricorda loro il passato glorioso ed il valore del martirio, ma provano a dimenticare entrambi mentre in fila per un visto per l’estero sognano eldoradi lontani.