Fonte: AsiaNews
A Sydney non ci sarà alcun giovane irakeno: nessuno di quelli che aveva programmato il viaggio ha ricevuto il visto per l'Australia. Pur non nascondendo la “profonda delusione” per la mancata concessione dei visti, mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk non si perde d'animo. “In concomitanza con la Giornata Mondiale della Gioventù abbiamo organizzato un raduno al quale parteciperanno più di 5mila giovani”, provenienti dalle diocesi del nord dell’Iraq per “per pregare assieme al Papa”. II prelato caldeo sottolinea la portata “storica” dell’evento che non esita a definire “un miracolo” in una situazione ancora oggi segnata da conflitti e violenze. Mons. Sako ribadisce che “la vera sfida è ricostruire l’Iraq”, preservando la tradizione “cristiana che costituisce una parte fondamentale della cultura irachena”. Pur fra sofferenze e difficoltà essa intende “rimanere viva e collaborare con la comunità musulmana per portare una pace stabile e duratura”.
Clicca su "leggi tutto" per l’intervista rilasciata da mons. Louis Sako ad AsiaNews
Eccellenza, qual è lo stato d’animo dei giovani iracheni ai quali è stato negato il visto per partecipare alla Gmg?
Un sentimento di delusione è naturale, ma dalle sofferenze nasce sempre un segno di speranza: in occasione della giornata mondiale della gioventù abbiamo organizzato un incontro al quale prenderanno parte più di 5mila ragazzi provenienti dalle diocesi del nord del Paese fra cui Kirkuk, Amadiyah, Erbil. Questo è un evento storico, perché ribadisce la volontà dei giovani di testimoniare la loro fede pur in mezzo a difficoltà e sofferenze; la comunità cristiana è viva, e la testimonianza offerta dai giovani è il frutto di un vero miracolo.
Quali eventi avete organizzato in occasione dell’incontro?
Il 17 e il 18 luglio ci saranno dei momenti di preghiera, di catechesi, di riflessione che intendono testimoniare la vicinanza della comunità cristiana irachena ai giovani e al Papa. Egli ha sempre dimostrato un’attenzione particolare alla nostra realtà, e se anche non potremo essere fisicamente vicini a loro, il nostro spirito e il nostro cuore sono a Sydney. Certo è un peccato perdere un momento unico di confronto con altre realtà, altre culture e altre esperienze che hanno in comune la fede in Cristo, ma è altrettanto importante e significativo mostrare che la Chiesa locale è viva, che intende lavorare per promuovere la pace e lo sviluppo. Per questo abbiamo voluto mandare un messaggio a Papa Benedetto XVI e ai giovani che parteciperanno alla Gmg, per affermare con forza che siamo lì, in mezzo a loro.
Vi sono dei segnali di speranza per il Paese?
La situazione è ancora molto difficile, in particolare in alcune zone dell’Iraq, ma non abbiamo perso la voglia di lavorare per costruire la pace, testimoniando allo stesso tempo la nostra fede. La vicinanza del Papa è un segnale importante non solo per la comunità cristiana, ma per tutto l’Iraq e per i nostri fratelli musulmani.
Fra cristiani iracheni nascono delle vocazioni?
Questo è un punto essenziale per mantenere viva la comunità cristiana. Ad oggi mancano preti, suore, ma soprattutto personale con una formazione specifica nella dottrina e nella pastorale. In passato abbiamo registrato delle fughe significative dal Paese a causa delle violenze, sequestri, omicidi, ma la vera sfida è rimanere qui e lavorare per la nostra terra e il nostro popolo. Segni flebili di speranza ci sono: oggi in cattedrale abbiamo organizzato un incontro con 300 giovani fra i 7 e i 16 anni che hanno manifestato con forza il desiderio di pace, di sicurezza. Essi chiedono di poter vivere liberamente la propria fede e un piccolo gruppo – 7 su una classe composta da 25 elementi – ha anche detto di voler consacrare la propria vita a Cristo, perché vedono nei religiosi dei veri testimoni della fede, dei modelli da seguire.
Quali sono le maggiori difficoltà per chi lascia il Paese ?
C’è un problema evidente di integrazione con la cultura e il mondo occidentale, che è sempre più disgregato e secolarizzato. È vero, da noi manca la sicurezza, i pericoli ci sono; ma c’è anche un profondo senso di unità, di comunione, la famiglia è ancora oggi il cardine portante della società. Per questo invito i cristiani a non abbandonare il Paese, perché le difficoltà che incontrano all’estero, attratti dal miraggio della sicurezza e del benessere, possono essere persino più grandi. La vera sfida è rimanere qui e contribuire alla rinascita dell’Iraq.
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Eccellenza, qual è lo stato d’animo dei giovani iracheni ai quali è stato negato il visto per partecipare alla Gmg?
Un sentimento di delusione è naturale, ma dalle sofferenze nasce sempre un segno di speranza: in occasione della giornata mondiale della gioventù abbiamo organizzato un incontro al quale prenderanno parte più di 5mila ragazzi provenienti dalle diocesi del nord del Paese fra cui Kirkuk, Amadiyah, Erbil. Questo è un evento storico, perché ribadisce la volontà dei giovani di testimoniare la loro fede pur in mezzo a difficoltà e sofferenze; la comunità cristiana è viva, e la testimonianza offerta dai giovani è il frutto di un vero miracolo.
Quali eventi avete organizzato in occasione dell’incontro?
Il 17 e il 18 luglio ci saranno dei momenti di preghiera, di catechesi, di riflessione che intendono testimoniare la vicinanza della comunità cristiana irachena ai giovani e al Papa. Egli ha sempre dimostrato un’attenzione particolare alla nostra realtà, e se anche non potremo essere fisicamente vicini a loro, il nostro spirito e il nostro cuore sono a Sydney. Certo è un peccato perdere un momento unico di confronto con altre realtà, altre culture e altre esperienze che hanno in comune la fede in Cristo, ma è altrettanto importante e significativo mostrare che la Chiesa locale è viva, che intende lavorare per promuovere la pace e lo sviluppo. Per questo abbiamo voluto mandare un messaggio a Papa Benedetto XVI e ai giovani che parteciperanno alla Gmg, per affermare con forza che siamo lì, in mezzo a loro.
Vi sono dei segnali di speranza per il Paese?
La situazione è ancora molto difficile, in particolare in alcune zone dell’Iraq, ma non abbiamo perso la voglia di lavorare per costruire la pace, testimoniando allo stesso tempo la nostra fede. La vicinanza del Papa è un segnale importante non solo per la comunità cristiana, ma per tutto l’Iraq e per i nostri fratelli musulmani.
Fra cristiani iracheni nascono delle vocazioni?
Questo è un punto essenziale per mantenere viva la comunità cristiana. Ad oggi mancano preti, suore, ma soprattutto personale con una formazione specifica nella dottrina e nella pastorale. In passato abbiamo registrato delle fughe significative dal Paese a causa delle violenze, sequestri, omicidi, ma la vera sfida è rimanere qui e lavorare per la nostra terra e il nostro popolo. Segni flebili di speranza ci sono: oggi in cattedrale abbiamo organizzato un incontro con 300 giovani fra i 7 e i 16 anni che hanno manifestato con forza il desiderio di pace, di sicurezza. Essi chiedono di poter vivere liberamente la propria fede e un piccolo gruppo – 7 su una classe composta da 25 elementi – ha anche detto di voler consacrare la propria vita a Cristo, perché vedono nei religiosi dei veri testimoni della fede, dei modelli da seguire.
Quali sono le maggiori difficoltà per chi lascia il Paese ?
C’è un problema evidente di integrazione con la cultura e il mondo occidentale, che è sempre più disgregato e secolarizzato. È vero, da noi manca la sicurezza, i pericoli ci sono; ma c’è anche un profondo senso di unità, di comunione, la famiglia è ancora oggi il cardine portante della società. Per questo invito i cristiani a non abbandonare il Paese, perché le difficoltà che incontrano all’estero, attratti dal miraggio della sicurezza e del benessere, possono essere persino più grandi. La vera sfida è rimanere qui e contribuire alla rinascita dell’Iraq.