Fonte: SIR
“E’ urgente che Chiese e comunità internazionale si mobilitino per aiutare i cristiani iracheni, come anche i non cristiani, a restare in Iraq. Il Paese non può e non deve svuotarsi della sua parte cristiana”. Lo ha ribadito oggi al Sir il procuratore caldeo presso la Santa Sede e visitatore apostolico dei caldei per l’Europa, mons. Philip Najim riaffermando “la necessità di trovare linee di intervento comuni per alleviare le sofferenze del popolo”. “Tale scelta – ha spiegato – avrebbe effetti positivi anche sugli iracheni attualmente rifugiati nei Paesi confinanti, come Siria, Giordania, Libano e Turchia che potrebbero cominciare a programmare un rientro in patria, compatibilmente con le migliorate condizioni di sicurezza e di stabilità”. “Quanto stanno vivendo i nostri compatrioti in questi Paesi è molto grave. Sono lontani dalla loro terra, senza lavoro, senza un riconoscimento del loro status, senza casa, facili prede di gente senza scrupoli che sfrutta la loro disperazione”. Da qui la denuncia: “molte famiglie irachene, disperate, vendono i loro bambini, bambine, ragazze che poi vengono sfruttate a fini sessuali nei Paesi del Golfo. Si tratta di un grave fenomeno che non tocca solo i cristiani ma tutti gli iracheni e che deve finire al più presto”.
Per quanto riguarda la situazione degli iracheni rifugiati in Europa, mons. Najim ha ribadito un concetto già espresso, in più di una occasione, dal card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali: “sul rilascio dei visti non si può decidere in base alla religione del richiedente ma al suo effettivo bisogno e necessità. Il rischio – ha aggiunto Najim - è creare delle aspettative inutili e favorire un ulteriore esodo dal Paese verso l’Europa. In questa prospettiva potrebbero risultare controproducenti alcune iniziative condotte, anche da vescovi iracheni, per sensibilizzare alcuni governi europei verso i rifugiati iracheni. La parola d’ordine, in questi casi, è coordinare tutte le azioni, anche diplomatiche, per trovare una soluzione utile e lungimirante per gli iracheni all’estero. Serve adoperarsi per creare progetti volti a favorire la permanenza in Iraq ed il ritorno nel Paese dei profughi anche per ridare speranza ad alcune zone del Paese, come Baghdad e Bassora che restano, anche per motivi di sicurezza, un po’ fuori dal giro degli aiuti. Lo scopo è quello che la Chiesa da sempre persegue, pacificare il Paese e favorire il benessere, il dialogo e la convivenza tra musulmani e cristiani”.
“E’ urgente che Chiese e comunità internazionale si mobilitino per aiutare i cristiani iracheni, come anche i non cristiani, a restare in Iraq. Il Paese non può e non deve svuotarsi della sua parte cristiana”. Lo ha ribadito oggi al Sir il procuratore caldeo presso la Santa Sede e visitatore apostolico dei caldei per l’Europa, mons. Philip Najim riaffermando “la necessità di trovare linee di intervento comuni per alleviare le sofferenze del popolo”. “Tale scelta – ha spiegato – avrebbe effetti positivi anche sugli iracheni attualmente rifugiati nei Paesi confinanti, come Siria, Giordania, Libano e Turchia che potrebbero cominciare a programmare un rientro in patria, compatibilmente con le migliorate condizioni di sicurezza e di stabilità”. “Quanto stanno vivendo i nostri compatrioti in questi Paesi è molto grave. Sono lontani dalla loro terra, senza lavoro, senza un riconoscimento del loro status, senza casa, facili prede di gente senza scrupoli che sfrutta la loro disperazione”. Da qui la denuncia: “molte famiglie irachene, disperate, vendono i loro bambini, bambine, ragazze che poi vengono sfruttate a fini sessuali nei Paesi del Golfo. Si tratta di un grave fenomeno che non tocca solo i cristiani ma tutti gli iracheni e che deve finire al più presto”.
Per quanto riguarda la situazione degli iracheni rifugiati in Europa, mons. Najim ha ribadito un concetto già espresso, in più di una occasione, dal card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali: “sul rilascio dei visti non si può decidere in base alla religione del richiedente ma al suo effettivo bisogno e necessità. Il rischio – ha aggiunto Najim - è creare delle aspettative inutili e favorire un ulteriore esodo dal Paese verso l’Europa. In questa prospettiva potrebbero risultare controproducenti alcune iniziative condotte, anche da vescovi iracheni, per sensibilizzare alcuni governi europei verso i rifugiati iracheni. La parola d’ordine, in questi casi, è coordinare tutte le azioni, anche diplomatiche, per trovare una soluzione utile e lungimirante per gli iracheni all’estero. Serve adoperarsi per creare progetti volti a favorire la permanenza in Iraq ed il ritorno nel Paese dei profughi anche per ridare speranza ad alcune zone del Paese, come Baghdad e Bassora che restano, anche per motivi di sicurezza, un po’ fuori dal giro degli aiuti. Lo scopo è quello che la Chiesa da sempre persegue, pacificare il Paese e favorire il benessere, il dialogo e la convivenza tra musulmani e cristiani”.