"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

8 maggio 2008

Parrocchia libanese prepara i giovani profughi iracheni per la prima Comunione


Di Doreen Abi Raad

Tradotto ed adattato da Baghdahope

Lo scorso settembre, Sondrine e Raymond Khamo vivevano con i genitori in una casa a due piani a Mosul, Iraq. Lo zio era stato colpito da un colpo di arma da fuoco alla testa mentre stava guidando e la madre, Khamo Haifa, aveva paura di lasciarli uscire da casa. Oggi questa famiglia di quattro persone vive in una camera a Beirut. Il padre dei bambini, Basel, contabile, di recente ha trovato lavoro come magazziniere in un supermercato. Non rimane molto dei 200$ del suo stipendio mensile dopo averne pagato 100 affitto. In Libano però la famiglia è in grado di praticare la propria fede cattolica caldea. Sondrine, 12, e Raymond, 11, farannola prima Comunione il 10 maggio presso la Cattedrale di St. Raphael the Archangel in un sobborgo di Beirut. Dei 38 bambini che si sono preparati per la prima Comunione a St. Raphael quest'anno, 24 sono i profughi iracheni, con un’età compresa tra gli 11 ed i 13 anni. Ogni sabato, dal mese di ottobre, le suore Rahma Talo e Veronica Daoud dell’Immacolata Concezione hanno insegnato la catechesi ai bambini.
La maggior parte delle famiglie di profughi iracheni in Libano vive nelle periferie di Beirut. Con bassi redditi - quando c’è il lavoro - le famiglie non possono permettersi di portare i bambini a St. Raphael, così è l’autobus della parrocchia a portarli avanti ed indietro. Il vescovo caldeo di Beirut Michel Kassarji celebrerà la Messa della prima Comunione con Padre Joseph Malkoun, un sacerdote cattolico maronita che ha chiesto di lavorare con i profughi iracheni in Libano vista la carenza di sacerdoti caldei. "E 'doloroso per me vedere tutte queste persone quasi disabili dal punto di vista emotivo, spirituale, anche intellettuale," ha detto Padre Malkoun "non sarebbero così se avessero vissuto una vita normale".

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Padre Malkoun fa notare, ad esempio, che molti dei bambini rifugiati sono aggressivi. "Considerate lo stress e tutte le violenze che hanno vissuto ...ciò che è stato fatto loro," ha detto Padre Malkoun. "Le circostanze in cui questi bambini vivono si riflettono su di loro. Quando si è violati, si è pieni di violenza", ha detto. "I loro diritti umani sono state rubati. Hanno il diritto di vivere come esseri umani."
A parte le atrocità che hanno vissuto nel loro paese devastato dalla guerra e la loro povera esistenza come rifugiati molti bambini iracheni in Libano, alcuni di solo 10 anni, devono lavorare per contribuire a sostenere le loro famiglie. Tre bambini iracheni che si sono preparati per la prima Comunione a St. Raphael lavorano a tempo pieno e non vanno a scuola. Uno di loro è il tredicenne Fadi, che lavora per una società privata di distribuzione dell’acqua così che suo fratello minore possa andare a scuola. I giri che Fadi fa nei camion di trasporto per le consegne sono la parte facile della sua giornata. Quando il camion si ferma deve arrampicarsi sulle scale fino ai tetti degli appartamenti trascinando un pesante tubo come un giovane pompiere per riempire le cisterne vuote. Un lavoro che diventerà ancora più estenuanti in estate quando le temperature Beirut raggiungono i 38 gradi.
"Il ruolo dei genitori è di fondamentale importanza" nella preparazione di ogni bambino per la prima Comunione, ha detto Padre Malkoun. Ma con i bambini iracheni il sacerdote ha notato che i loro genitori non riescono ad essere coinvolti come dovrebbero essere a causa dello stress e dell’ansia.
"Incontriamo i bambini per un paio d'ore al sabato pomeriggio, ma non nel resto della settimana", ha detto suor Rahma, arrivata in Libano dall’Iraq da cinque anni fa. "Ecco perché quando incontro i genitori li incoraggio a mostrare interesse in quello che i loro figli apprendono ed a chiedere loro di guardare oltre ciò che imparano in chiesa. Negli anni passati avevo più tempo e visitavo i bambini e le loro famiglie almeno un paio di volte la settimana. Ascoltavo i loro problemi e parlavo con loro, e sentivo che questo portava i bambini più vicino a Dio attraverso me," spiega Suor Rahma. Nel frattempo Padre Malkoun spiega di essere stato testimone di come "le famiglie irachene hanno poche opportunità di comunicare e di assimilarsi con la comunità libanese. Sono molto isolate." Il sacerdote, che anche organizzato un gruppo di Boy Scouts - libanesi ed iracheni - ha detto che la preparazione per la prima Comunione a St. Raphael offre ai bambini iracheni l'opportunità "di uscire dal bozzolo in cui stanno vivendo, sviluppare le loro energie ed interagire con i bambini libanesi ". "E inoltre è una bella esperienza per i bambini libanesi conoscere un'altra cultura, specialmente per quelli che provengono da famiglie benestanti, incontrare altri bambini che non hanno le stesse possibilità nella vita, giocare con loro, vivere con loro" ha detto Padre Malkoun. Le prospettive per i cristiani d’Iraq continuano ad essere tetre.
"Riceviamo telefonate da famiglie che non vogliono rimanere in Iraq e desiderano venire in Libano", ha il Generale Michel Kasdano, che lavora come volontario a tempo pieno a St. Raphael per aiutare i rifugiati. La Cattedrale di St. Raphael distribuisce pacchi alimentari a circa 500 famiglie di profughi iracheni ogni mese, ma sempre più rifugiati stanno arrivando in Libano, ed il costo dei prodotti alimentari continua ad aumentare. Nessuno dei rifugiati considera possibile il ritorno in Iraq, ha detto Kasdano, aggiungendo che il processo di reinsediamento da parte dell'Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite che dovrebbe durare uno o due anni sta diventando più lento. "Coloro che vengono respinti dall 'UNHCR sono depressi e non hanno alcuna speranza. E' come la fine del mondo per loro", ha detto Kasdano. "Sembra che essi siano bloccati qui", almeno fino a quando un altro paese deciderà di accoglierli.